Magazine Cinema
Inauguriamo le rubriche settimanali di Filmbuster(d)s con un articolo scritto da alexdiro sotto sostanze allucinogene scadute.
Lo confesso, sono una persona affetta da una grave forma di sindrome da acquisto impulsivo, il che mi porta spesso e volentieri ad acquistare montagne di roba inutile e di scarso valore, come ad esempio le riviste cinematografiche italiane. Tante riviste, quasi tutte quelle disponibili.
Non posso farci niente: nonostante il panorama sotto il punto di vista contenutistico sia piuttosto desolante, mi piace sfogliarle, mi piace anche solo guardare le figure, non gli resisto quando le vedo lì, abbandonate sugli scaffali dell'edicola sotto casa, mentre mi dicono <<COMPRAMI! COMPRAMI! COMPRAMI!>>. Ma non tutte sono carta straccia: nonostante sia perennemente sull'orlo della cancellazione, Duellanti è ottima, ma anche Empire si salva, almeno per quanto riguarda i contributi tradotti dalla versione inglese della rivista. Tuttavia, anche quelle che lo sono a volte propongono articoli interessanti e spunti di discussione da affrontare in sede di registrazione del podcast, un po' come il vituperato crowdfounding, scovato sulle pagine di Best Movie, di cui vi abbiamo parlato nell'episodio #1. Tra tutti gli articoli, quelli che per un motivo o un altro trovo più interessanti sono le interviste agli “addetti ai lavori”: se capita un regista che parla della lavorazione del film del momento o l'ormai appuntamento fisso con la “Lezione di cinema” di Ciak magari si riesce a estrapolare qualcosa di stimolante. Se invece è un attore, un divo, ad essere intervistato, la fiera della banalità è servita e il divertimento non sta più nel carpire informazioni interessanti dall'articolo, piuttosto nel cercare di ipotizzare quanto di quello che c'è scritto sia farina del sacco dell'intervistato oppure di un ufficio stampa che cerca di vendere un “prodotto” preconfezionato. Arrivo al punto: giorni fa, mentre sfogliavo il numero di Aprile di Ciak, mi sono imbattuto in un'intervista a Elio Germano dove, a sentire il titolista, l'attore romano si scagliava contro il cinema contemporaneo <<Schiacciato dal profitto.>> Io a Germano gli voglio bene sin da quando sulla bicicletta cantava “Noi siamo gli intoccabili e voi c'avete rotto”, lo reputo un grande attore, uno dei migliori dell'attuale panorama italiano, abbastanza versatile da cimentarsi in ruoli completamente diversi (così su due piedi, Mio fratello è figlio unico e La nostra vita), però ho trovato sempre un po' forzato il suo atteggiamento da voce fuori dal coro, come quando nel discorso di premiazione a Cannes ci ficcò a forza una critica alla classe dirigente. A là Marlon Brando che manda la falsa indiana a ritirare il premio Oscar, per intenderci. Fatta questa premessa, nell'articolo di Ciak si legge:
<<Non guardo quasi mai film stranieri contemporanei, preferisco il cinema italiano degli anni Sessanta o Settanta, i lavori di Zampa, Petri, Risi, De Santis. Mi piace l'idea di un cinema legato al mestiere, segnato da una professionalità concreta e poco appariscente. Allora ci si realizzava attraverso la realizzazione del film, non tramite gli incassi. Oggi mi sembra tutto schiacciato dal profitto, c'è solo l'obiettivo commerciale e chiunque, dal produttore al regista, deve seguire quello.>>
Meh. E io che mi aspettavo una critica al sistema italiano anti-meritocratico che tarpa le ali ai giovani talenti. Andiamo con ordine: innanzitutto, mi hanno insegnato che non si parla di ciò che non si conosce, quindi criticare qualcosa di cui, per propria ammissione (“Non guardo quasi mai film stranieri”), si ha una conoscenza superficiale mi da la sensazione di affermazione buttata lì a caso per fare scalpore e fomentare (leggasi vendere) l'immagine di “voce fuori dal coro” di cui sopra. La successiva sviolinata di nomi dell'eccellente passato italiano ne è la conferma definitiva. Bisogna poi vedere cosa intenda Germano per la categoria “Film stranieri”, perché così com'è scritta si tratta un calderone dove finiscono dentro personalità del cinema che con la ricerca ossessiva del profitto c'entrano ben poco. No, la lista dei nomi non la faccio, però attendo con trepidazione il giorno in cui venderanno la Action Figure di Jessica Chastain in The tree of life e un'orda di ragazzine urlanti attenderà, in fila fuori dal cinema opportunamente transennato, di poter acquistare un biglietto per il nuovo film di Haneke. E' tutto troppo commerciale lì fuori, baby.
alexdiro
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