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Questa lettura rapida e molto, molto natalizia, mi è stata simpatica fin dall'inizio, fin dalla dedica: a mio padre e alla sua romantica idea che ognuno di noi debba avere almeno un libro nel cassetto. Già, un cassetto, con un libro o magari soltanto un sogno. Da bambini ce l'avevamo no? Lo conservavamo gelosi fino a quando lo buttavamo su una carta da lettere colorata, dove la nostra calligrafia storta, che ci sforzavamo di fare meglio possibile, giurava la nostra bontà e in cambio non chiedeva altro che quel sogno uscisse da quel cassetto. Ma quanto farebbe comodo avere anche da grandi qualcuno in grado di aiutarci a realizzare un nostro progetto? Ma quanto sarebbe bello riscrivere davvero a Babbo Natale e ricrederci, soprattutto, almeno un po'? I cinque protagonisti di questo libricino ci provano: sono Daniele, Alessio, Marco, Chiara, Andrea, giovani adulti trentenni alle prese con la loro vita che adulta ancora non è e che non sa esattamente come spiccare il volo. È Daniele che invita i suoi amici a scrivere a Babbo Natale, la prima volta nel 2008, fingendo di crederci, scrivendo in realtà alla propria coscienza. Sono lettere più complesse di quelle della loro infanzia, il sogno nel cassetto non è chiuso in uno scatolone e non lo troveranno mai sotto l'albero, eppure continuano a scrivere lettere per cinque anni, alla ricerca di risposte, della propria casa, della propria famiglia, della propria strada da battere. Succede così che, di anno in anno, con l'aiuto o no di Babbo Natale (chi lo sa), tutti diventano grandi. Nascono bambini, muoiono madri, si piantano radici o si vola via. Tutti cresciuti, nel giro di cinque anni.
Non so voi, ma io nei miei diari scrivo quasi ogni anno una letterina simile a quella dei cinque protagonisti. Non chiedo mai qualcosa di materiale, convinta come sono che non sia il concreto la mia mancanza più grande. Di solito chiedo intraprendenza, forza di volontà, un po' di coraggio, tanta autostima. Non pensavo ci fosse qualcuno, adulto, in grado di scriverci un libro, su Babbo Natale. E invece. A me è anche piaciuto molto, sarà che appunto mi sento tante volte incompleta come quei cinque trentenni, sarà che mi piace sperare che anche a me porteranno fortuna le lettere che scrivo. Certo, ora che ci penso, non le spedisco da quasi vent'anni, funzioneranno lo stesso?
Credere ancora a Babbo Natale è una lettura che consiglio con tutto il cuore, perché nella sua semplicità, adatta al Natale, è in realtà anche un affresco piuttosto realistico della generazione dei trentenni di oggi, considerati giovanissimi dalla società, ma che in fondo giovanissimi-issimi-issimi non sono più, non abbastanza per non avere quel senso di inadeguatezza che li caratterizza, nei confronti del lavoro, dell'amore o, più in generale, verso tutte le responsabilità.
Ecco, caro Babbo Natale, ti prego fai in modo che i trentenni abbiano voglia di prendersi qualche responsabilità, fai in modo che qualcuno abbia voglia di responsabilizzarli e fai in modo che si smetta di considerare ragazzini i quarantenni. Per favore.