Alle varie domande di Roger Waters, nella splendida Mother, la madre risponde “Mamma's gonna make all of your nightmares come true, Mamma's gonna put all of her fears into you, (mamma realizzerà tutti i tuoi incubi, mamma ti passerà tutte le sue paure)Signori e signore, il delitto è servito e la vittima è il rapporto genitore-figlio.
Nel libro di Mishna Wolff (Fandango Libri), Credetemi c’ho provato, questo rapporto, se vogliamo, conflittuale e amaro viene raccontato in prima persona, con grandissima ironia e le giuste distanze da Waters, con contraltare la figura paterna.
Un romanzo autobiografico che sviscera, pescando dall’infanzia dell’autrice, la difficile componente di accettazione del proprio padre, un ex hippie bianco, americano, che più bianco non si può, che si risveglia negro, che vuole essere negro, con una forza talmente grande e una convinzione autistica tale da farlo essere negro a tutti gli effetti.
Dallo slang alla musica ascoltata, dall’abbigliamento agli amici, dal ghetto poverissimo in cui vive al disgusto provato verso la borghesia bianca, dalle movenze alla chiesa da frequentare, tutto fa di John Wolff un “fratello” in ogni cazzo di senso. Il fatto però è che lui non si accontenta di essere quel che vuole in totale autonomia e rispetto del pensiero altrui, no. Lui vuole che tutta la famiglia sia nera, che si comporti da famiglia del ghetto e viva il ghetto.
Ora il problema maggiore con cui Mishna comincia a fare i conti all’inizio è proprio il fatto che alle sorelle non gliene sbatte nulla di vederla come una di loro, perché un bianco è un cazzo di bianco! Perché è una mozzarella, perché non c’è niente da fare e il rispetto, cazzo, te lo devi guadagnare e la frase detta dal detenuto di colore a Edward Norton in American History X “Ricordati che qui il negro sei tu”, racchiude tutto il senso di quello che la bambina passava per strada.
Primi incubi realizzati da John per Mishna: amici inesistenti, giornate da outsider, prevaricazioni e la vergogna di essere poveri allo stadio più penoso e difficilmente camuffabile.
La giovane ha sua più piccola sorella che se la cava meglio, prende il fatto di essere nera in modo festoso, si integra, riesce sempre dove la sorellona fallisce, ovvero nel compiacimento del padre.
Prime paure passate da John a Mishna: l’affermazione della propria esistenza. Lui deve dimostrare e provarsi, idem la figlia più grande. Un Wolff è un Wolff, e non ci sono santi che reggano. La figlia grande non ha progettualità o mancanza di qualità perché il padre non ne ha. Tu sei come me che problema c’è? Discorso chiuso.
Dopo il divorzio dalla madre, hippie fuori di testa, Mishi si ritrova ancora di più immersa con la testa nel fango, dovendo crescere la piccola Anora e crescere sé stessa, con un padre che sembra sempre remare contro qualsivoglia sintomo di ragionevolezza o razionalità e per di più continuamente al verde perché incapace di (cercarsi) tenersi un lavoro. Ma, piove sempre sul bagnato e ecco anche l’aggiunta di una serie di improbabili mamme sostitutive, ovviamente tutte all black, che si alternano e avvicendano in modi totalmente differenti nelle vite delle due sorelle, lasciando ogni volta, a loro modo, segni indelebili.
Cosa fa Mishna? Reagisce, si chiude, riflette, vive, reagisce. Ad ogni colpo ricevuto passivamente, inizia a realizzare che deve farsi valere, che deve provarci e lo fa in ogni modo: assecondando i deliri paterni, scontrandosi con le stravaganze e le irrispettose imposizioni genitoriali, cercando di farsi gli affari suoi, integrandosi. Lei. Le prova. Tutte.
Eppure, ogni volta qualcosa non va, ogni volta è costretta con le spalle al muro da cambiamenti e dissesti emozionali: e passa dal ghetto alla scuola dei bianchi, all’elegante scuola dei bianchi dove tutta l’esperienza maturata negli scontri verbali della scuola per neri (il colpisci e affonda, in cui si spara a zero su qualcuno usando tagliente comicità e fatti o difetti che lo riguardano) viene visto come out, dove le capacità che davano rispetto per strada sono inutili sciocchezze di una povera idiota.
Nuovi inizi, nuove (dis)avventure, nuovi modi per sopravvivere.
Questo romanzo è brillante, seducente, altamente ironico e autoironico, riesce a mantenere il tenore narrativo più vicino a quelli che possono essere i pensieri di un’adolescente in preda allo schizofrenico e bellicoso amore del padre, senza il rancore o i giudizi dell’età adulta.
La Wolff, ex modella, ora scrittrice, sa dimostrare di aver imparato a raccontare storie, di essere in grado di prendere la realtà, la vita e farne un colpisci e affonda capace di stordire il lettore.
La vita della scrittrice americana si snocciola tra le risate e la rabbia che si prova a leggerne, e alcune volte ci si chiede “Perché? Perché lei non ha mai reagito in maniera “violenta” al padre? Perché si è preoccupata di lui anche quando non avrebbe dovuto?”.
Ma le domande a un genitore alcune volte sarebbe meglio non porle perché, come per Waters, non sempre le risposte potrebbero piacere e allora è meglio vivere e pensare, alla sera, che il giorno è passato e dopo un anno che la vita è cambiata e dopo cinque che ormai non si è più quelli di un tempo e che dopo più di dieci, scrivere un romanzo possa essere il miglior modo per farsi una risata su quello che è stato e dire “Ciao papà”.
Credetemi c’ho provato
Autore: Mishna Wolff
Fandango- pp.gg. 341- euro 18,00- 2010
Buona scelta
IBD