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Credevo fosse un solitone e invece…

Creato il 04 febbraio 2014 da Media Inaf

Caratteristiche anomale osservate in un condensato ultrafreddo di atomi di litio, attribuite inizialmente a solitoni inspiegabilmente lenti e pesanti, potrebbero in realtà essere dovute ad anelli vorticosi quantistici. L’articolo su Physical Review Letters.

di Marco Malaspina Esempi d'anelli vorticosi, chiamati anche bolle toroidali, creati sott'acqua dai delfini. Crediti: University of Washington

Esempi d’anelli vorticosi, chiamati anche bolle toroidali, creati sott’acqua dai delfini. Crediti: University of Washington

… e invece erano anelli vorticosi. Questa la conclusione d’una storia che ha a che fare con un probabile scambio d’identità in ambito quantistico. Una storia recente – l’articolo dal quale tutto ha inizio è stato pubblicato su Nature nell’agosto scorso – ma con due protagonisti bizzarri descritti per la prima volta nell’Ottocento. E presenti in natura nei contesti più disparati, dalle fibre ottiche ai delfinari, dagli estuari dei fiumi fino all’interno dei nostri cuori: i solitoni e gli anelli vorticosi.

Partiamo dalla storia recente, quella degli ultimi mesi. All’inizio del 2013 un gruppo di ricercatori del Center for Ultracold Atoms, un centro d’eccellenza che raccoglie scienziati dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) e dalla Harvard University, invia a Nature i risultati d’un’osservazione condotta su un “superfluido fermionico” – una ricetta creata in laboratorio a base di atomi di litio portati a temperature bassissime, inferiori a quelle pur già prossime allo zero assoluto d’un condensato di Bose Einstein. Superfluido all’interno del quale i ricercatori hanno notato un’anomalia: la generazione di “solitoni pesanti”, ovvero variazioni di fase (“phase twist”) che si manifestano come regioni a bassa densità che si propagano a lunghezze d’onda talmente superiori a quanto atteso da risultare inspiegabili dai modelli teorici a disposizione.

A questo punto la palla passa a un altro team di fisici, quelli della University of Washington, e a un supercomputer di nome Titan, della Oak Ridge Leadership Computing Facility, in Tennesse: il più potente fra tutti quelli disponibili negli USA a scopo scientifico. Le righe di codice che i ricercatori danno in pasto a Titan ricostruiscono virtualmente il superfluido fermionico dei loro colleghi, e rappresentano una fra le più grandi simulazioni numeriche di sempre. Il responso dell’oracolo cibernetico non si fa attendere, ed è spiazzante: quella che appare come un’anomalia, dicono i numeri sfornati da Titan, non è in realtà altro che il frutto d’uno scambio d’identità. Ad agitare il brodo quantistico del superfluido, spiegano gli scienziati, non sono solitoni incredibilmente pesanti, bensì una sorta di anelli di fumo: gli anelli vorticosi.

«Ciò che la nostra simulazione dimostra è che praticamente tutto quel che si osserva nell’esperimento del MIT può essere spiegato dagli anelli vorticosi», dice uno degli coautori dello studio, Michael Forbes, della University of Washington. Simulazioni analoghe, sottolinea Forbes, potranno rivoluzionare l’approccio ad alcuni problemi della fisica, permettendo per esempio di studiare le reazioni nucleari senza la necessità di eseguire alcun test sul campo. O di comprendere i meccanismi alla base dei cosiddetti “glitch”, brusche variazioni nella velocità di rotazione delle stelle di neutroni, come quella osservata di recente dal telescopio spaziale Swift nel magnetar 1E 2259. Variazioni, suggeriscono gli autori, che potrebbero essere indotte proprio da interazioni fra i vortici in atto all’interno delle stelle stesse.

Pattern quantistici dai nomi esotici, gli anelli vorticosi e i solitoni, ma con corrispettivi nel mondo macro piuttosto comuni e già descritti nell’Ottocento. La prima formulazione matematica d’un anello vorticoso, per dire, fu pubblicata dal fisico tedesco Hermann von Helmholtz nel 1858. E manifestazioni naturali se ne incontrano in abbondanza. Oltre ai già citati anelli di fumo, per esempio, sono anelli vorticosi quelli prodotti in acqua – pare per gioco – dai delfini. Ma li si può osservare in azione anche in altri fluidi: nei tornado, nelle eruzioni vulcaniche, quando un elicottero va in stallo durante una discesa e persino nel nostro sangue, in particolare durante la diastole, al termine del passaggio dalla valvola mitrale al ventricolo sinistro.

Quanto ai solitoni, queste singolari – in tutti i sensi – formazioni ondose, pare che il primo a rendersi conto d’averne uno sotto gli occhi sia stato uno scozzese, John Scott Russell. Il quale narra come, nell’agosto del 1834, sia rimasto talmente affascinato dall’onda anomala prodotta da un’imbarcazione trainata da due cavalli lungo uno stretto canale da seguirla – anch’egli a cavallo – per quasi due miglia. Russell descrisse accuratamente il fenomeno, lo battezzò wave of translation, e praticamente non se ne occupò più nessuno più fino agli Sessanta del secolo scorso, quando il pattern tipico dei solitone divenne di nuovo interessante per l’analisi della propagazione in particolari mezzi, come per esempio le fibre ottiche, i superconduttori e, appunto, i superfluidi. Ma possono esibire un comportamento da perfetti solitoni anche i cosiddetti mascheretti: i fronti d’onda occasionalmente prodotti dalla marea mentre risale un fiume, partendo dall’estuario.

Per saperne di più:

  • Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Quantized Superfluid Vortex Rings in the Unitary Fermi Gas“, di Aurel Bulgac, Michael McNeil Forbes, Michelle M. Kelley, Kenneth J. Roche e Gabriel Wlazłowski
  • Leggi su Nature l’articolo “Heavy solitons in a fermionic superfluid“, di Tarik Yefsah, Ariel T. Sommer, Mark J. H. Ku, Lawrence W. Cheuk, Wenjie Ji, Waseem S. Bakr e Martin W. Zwierlein

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina



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