Voti degli schieramenti a Cagliari
Quanti hanno commentato il risultato del referendum antinucleare in Sardegna hanno messo in rilievo che si è trattato di un cosciente esercizio di sovranità del popolo sardo. Qualcuno si è forse lasciato andare all'enfasi, non dando a “sovranità” il significato pieno della parola, cosa di cui è possibile si penta quando se ne dovesse render conto. Ma sono convinto, con i più, che di consapevolezza sovranista si tratti. È vero che ogni volta che si va a votare si esercita la sovranità che risiede nel popolo, ma un conto è scegliere un partito o un candidato, altro conto è andare a votare sapendo che non si decide alcunché e si esprime un sentimento o una coscienza collettiva per niente scontati.E allora viene da chiedersi com'è che questa voglia di sovranità sarda non si traduce anche in consensi per movimenti o partiti che della sovranità (fino all'indipendenza che ne è ritenuta lo sbocco) fanno argomento di battaglia politica ed elettorale. Prendiamo la capitale della Sardegna dove, oltre che per il referendum, si è votato per il Comune. Non si ha ancora il numero degli elettori cagliaritani che hanno detto la loro sul nucleare, ma non deve essere dissimile da quello dei votanti per il Comune: 97.805. (Alle 22 di domenica, la percentuale degli elettori per il Comune era del 43,69 per cento; quella dei partecipanti al referendum era del 47,3 per cento).Vedete qui sopra i voti ottenuti dagli schieramenti. Qui non sono considerati quelli ottenuti dai candidati a sindaco. Insieme, gli indipendentisti, ma insieme non erano, superano di poco il 2 per cento. Eppure, si deve proprio ai movimenti indipendentisti, e in particolar modo a Sardigna natzione e al suo leader Bustianu Cumpostu, se non altro l'idea del referendum e la capacità di coalizzare in un Comitato partiti, movimenti politici e culturali, politici, amministrazioni comunali, intellettuali, artisti, circa ottomila persone. E di rendere credibile questo movimento spontaneo davanti al Governo e al Parlamento sardo, tanto credibile da spingere il presidente della Regione ad abbinare referendum e elezioni comunali e a fare, cosa inedita, una forte campagna promozionale del referendum.Che cosa fa sì, allora, che le stesse persone, non solo ritenute affidabili e rispettate, ma la cui leadership culturale e morale è indiscussa, possano guidare processi come quello cui abbiamo partecipato e al momento del voto abbiano neanche 1.700 consensi nelle elezioni comunali in una città in cui almeno 90 mila persone hanno sposato quella idea di sovranità? Sappiamo bene tutti che i meccanismi del consenso elettorale hanno spesso niente a che fare con il consenso culturale o di immagine e che quanti in una campagna elettorale investono pochi soldi non vincono, vince chi ne investe molti. Ma questa è solo una delle ragioni possibili e neppure la principale. Sta di fatto che sulla questione nucleare gli indipendentisti sono stati ritenuti credibili e affidabili dagli stessi elettori che tali non li hanno considerati in quanto candidati ad amministrare. È una questione che dovrebbe spingerli a riflettere non tanto sulla adeguatezza delle parole d'ordine, ormai lessico familiare per gran parte dei sardi, quanto sulla capacità di organizzare programmi e progetti credibili intorno a quelle parole d'ordine. Capacità che, a giudizio degli elettori, non esiste. Molti, me compreso, hanno sempre pensato che i buoni risultati mancavano perché non esisteva unità fra gli indipendentisti. Sbagliavo io e chi l'ha pensata come me. L'unità oggi esiste, ma i risultati complessivi sono inferiori alla somma dei voti ricevuti dalle singole sigle nel passato: come si è visto, 1,9% a Cagliari, 0,64% a Olbia. Forse il timore di identità perduta, forse uno spirito di setta, quello che fa diffidare prima di tutto dei più vicini, oppure che cosa? Resta il fatto che se l'idea sovranista mette radici nella società altrettanto non fanno i movimenti che l'interpretano. Nell'euforia dei risultati referendari, oggi è un proliferare di proposte di estendere questa esperienza ad altre questioni. C'è chi pensa al referendum in Italia sul nucleare, chi pensa a quello sulla cosiddetta privatizzazione dell'acqua e c'è vorrebbe senza pudore buttarla direttamente in politica politicante cercando voti per il referendum sul legittimo impedimento. Ma le proposte più gettonate sono quelle di referendum sulle basi militari e sui tre o cinque radar che si vogliono impiantare intorno all'Isola.Sembrano, o meglio sono, obiettivi che incidono su competenze di pertinenza dello Stato e sono così considerati in grado di mettere in mora sia il centralismo sia la sovranità che lo Stato non vuole compartire con la Sardegna. Credo che, come già è capitato nel 1987 col referendum contro la base statunitense dalla Maddalena, né il Governo (nessun Governo) né la Corte costituzionale accetterebbero referendum di questo genere. Ma c'è, a monte, un possibile pronunciamento dei sardi in linea con la loro voglia di sovranità: quello su uno Statuto speciale che definisca le competenze di ordine federale dello Stato e affidi tutte le altre alla Sardegna. Una proposta simile di Statuto già esiste, ma niente impedisce al mondo sovranista, molto più ampio di quello indipendentista, di mettersi d'accordo su un altro testo di uguale o superiore pregnanza. Quel che i partiti non riescono a fare, dopo anni di dibattiti fra sordi, può farlo un movimento come quello che ha portato al referendum e ai suoi risultati.Magazine Informazione regionale
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