Le speranze che finalmente qualcosa potesse cambiare si sono rivelate per quelle che sono: nient’altro che illusioni.
L’anno scorso ci dicevamo: finalmente abbiamo un governo di tecnici che, quando adotterà provvedimenti, non farà i soliti pasticci all’italiana a cui ci hanno abituato i politicanti; finalmente avremo leggi e norme che, nel rispetto della migliore tecnica legislativa e della tradizione giuridica, saranno comprensibili ed attuabili.
È vero che la nostra situazione economica era (e nonostante tutto lo è ancora) ad un passo dal default e che per evitare il peggio era necessario assumere rimedi drastici e tempestivi; è però vero anche che il diritto e la coerenza non possono sempre essere immolati sull’altare del supremo interesse nazionale e ciò soprattutto quando questo interesse non coincide con quello della società civile ma bensì (esclusivamente) con quello dei poteri economici come banche, assicurazioni, ecc.
Sono state emanate, ad esempio, delle norme che, almeno sulla carta, danno la possibilità alle imprese che vantano crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione di poterli cartolarizzare, cioè tramutarli in liquidità cedendoli a banche od imprese fornitrici.
Idea geniale dal momento che la Pubblica Amministrazione è notoriamente inadempiente nei confronti dei fornitori che riescono ad ottenere il saldo delle forniture ad anni di distanza rispetto a quanto stabilito contrattualmente.
Peccato però che all’azione iniziale del Governo non siano seguite le necessarie norme regolamentari e di coordinamento, rendendo di fatto impossibile ottenere dalla Pubblica Amministrazione la documentazione necessaria ed obbligatoria per potere dimostrare la titolarità, entità ed esigibilità del credito che si vorrebbe cedere.
Una disattenzione che rende impossibile l’effettiva applicazione della norma e le imprese continueranno a sperare di ottenere i pagamenti dovuti prima di divenire insolventi.
Tuttavia, pur vantando crediti, a volte ingenti, nei confronti della Pubblica Amministrazione, non ci si può esimere dal pagare le tasse e tutta la miriade di tributi diretti ed indiretti che ci flagellano quotidianamente.
Poi magari leggiamo di imprenditori che falliscono perché le banche hanno chiuso le linee di credito nonostante annosi crediti delle PP.AA. oppure, come le recenti cronache testimoniano, case di cura e strutture sanitarie costrette a minacciare la chiusura per mancato pagamento dei rimborsi sanitari regionali.
Infine anche l’ABI, Associazione Bancaria Italiana, ha emanato una circolare sulle procedure che le banche devono osservare per valutare i crediti che le imprese vorrebbero cedere, perché la presenza in bilancio di questi crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione di fatto peggiora il rating (ovvero il merito di credito) delle imprese che dovranno sobbarcarsi un costo percentuale maggiore per invogliare la banca cessionaria ad acquistare il credito scontandolo.
Quindi, di fatto, o non si riesce a cedere il credito perché non si riesce ad ottenere la documentazione necessaria oppure il costo finanziario dell’operazione potrebbe non essere appetibile. Ma non era forse più semplice permettere alle imprese di compensare, magari a scaglioni dilazionati, i crediti con i debiti fiscali, erariali, previdenziali, ecc.? Sicuramente sarebbe stato più semplice ma di fatto irrealizzabile perché avrebbe tolto il flusso di cassa necessario a “tenere a galla” questo nostro Paese.
Mi rimane solo la speranza, che spero non diventi un’illusione irrealizzabile, che questo Paese possa diventare un Paese normale ma ciò non potrà accadere finché vedremo all’opera certi “personaggi”, per i quali la politica non è mai una missione civica ma solamente uno strumento per accaparrarsi prebende e vitalizi.
Credo che faremo tutti bene a ricordarcene alle prossime elezioni.
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