Come suo solito, il Premier Renzi ha voluto festeggiare una buona notizia con uno dei suoi tweet, nello specifico la pubblicazione dei dati sul lavoro, riguardanti il mese di aprile, da parte dell'Istat.
Dati ISTAT: abbiamo 159mila occupati in più in aprile primo mese pieno di #jobsact. Avanti tutta su riforme: ancora più decisi #lavoltabuona
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 3 Giugno 2015
Cosa dice di positivo l'Istituto statistico? Che, dopo anni di segno negativo, finalmente l'occupazione fa un piccolo passo avanti: +0,7%, circa 159 mila occupati in più, rispetto ai mesi precedenti (261 mila, invece, se si considera lo stesso periodo dello scorso anno).
Una buona notizia, che si aggiunge ai piccoli passi avanti fatti nei mesi scorsi e di cui il rottamatore si è subito intestato la paternità, attribuendo il trend positivo al suo Jobs Act. In realtà, però, le cose sono un po' più complicate.
Tanto per cominciare, insieme ai contratti "a tutele crescenti" hanno fatto un balzo in avanti anche i contratti precari a tempo determinato (72 mila in più rispetto all'anno scorso), nonostante gli allettanti sgravi fiscali garantiti dalla Legge di Stabilità. Inoltre, altro paradosso, rispetto all'anno scorso, l'occupazione (+1,2%) cresce più della produzione industriale (+0,1%), facendo abbassare la produttività media del Paese.
Aggiungiamo, infine, che secondo uno studio della Banca d'Italia, la crisi ha preteso un costo salatissimo ai lavoratori: tra il 2008 ed il 2014, la disoccupazione è schizzata oltre il 12% (quella giovanile oltre il 42%), toccando record che non si vedevano dal lontano 1977, con ben 3,2 milioni di senzalavoro. E quel che è peggio, tanti altri sono ancora in pericolo, a causa degli oltre 800 tavoli di crisi che coinvolgono aziende, lavoratori, sindacati e governo (Mercatone Uno e Whirlpool, solo per citare i casi più famosi).
C'è, quindi, da rilevare che i dati dell'Istat sono sì incoraggianti, ma la situazione economica è ancora incerta e fragile per cantar vittoria troppo presto. Ma su una cosa Renzi ha ragione: bisogna rimboccarsi le maniche e darsi da fare, per permettere a questa piccola scintilla di espandersi e non morire troppo presto.
Attenzione, però, agli strumenti da usare: il Rottamatore e i suoi glorificano il Jobs Act, ma dimenticano due cose fondamentali.
1. Il Jobs Act non è completo, anzi mancano ancora delle parti importanti e una domanda sorge spontanea: che fine hanno fatto quei provvedimenti ancora in sospeso? Né Renzi né Poletti hanno più tirato in ballo la riforma dei Centri per l'Impiego, né la questione del reddito minimo (cavallo di battaglia del M5S, ripreso anche dalla Lega) e ora la loro posizione si fa più difficile, specie dopo le elezioni regionali, che hanno lasciato pesanti strascichi nella maggioranza. Difficile, quindi, che i due possano portare avanti il loro programma senza intoppi.
2. Il merito del passo in avanti dell'occupazione appartiene più alla Legge di Stabilità – ad ai suoi sgravi alle assunzioni – che al Jobs Act stesso. Il problema principale, è che gli sgravi hanno una durata massima di tre anni, passati i quali decadono. Tre anni è anche la durata massima per la stabilizzazione dei contratti a tutele crescenti, erroneamente definiti "a tempo indeterminato", in realtà assolutamente precari.
Non serve, quindi, molta fantasia per capire cosa accadrà, una volta che gli sgravi saranno terminati: il numero degli assunti tornerà a calare drasticamente.
Questo perchè, da sempre, le soluzioni facili lasciano il tempo che trovano, mentre al Paese servono interventi strutturali e permanenti. Non basta, mica, un tweet.
Danilo