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Criminalizzazione della critica d’israele in canada

Creato il 17 maggio 2014 da Eurasia @eurasiarivista
CRIMINALIZZAZIONE DELLA CRITICA D’ISRAELE IN CANADA

Disegno di legge C-13, un “cavallo di Troia digitale per la sorveglianza di stato”
La campagna internazionale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele – quale mezzo pacifico di persuasione nei confronti di Israele ad abbandonare le sistematiche violazioni del diritto internazionale e le politiche di apartheid, espropriazione, colonizzazione e blocco nei territori palestinesi occupati – ha riscontrato ultimamente numerosi successi. (1)
Ad inizio febbraio 2014, The Economist sottolineava che la BDS “sta diventando una tendenza dominante” (2), mentre l’ex portavoce alla Knesset israeliana, Avraham Burg, scriveva su Haaretz che “il movimento BDS sta guadagnando terreno e si avvicina il momento […in cui] le sanzioni contro Israele diverranno fatto compiuto. (3)
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che lui e i suoi alleati risponderanno con forza a tale tendenza. Alcuni resoconti relativi a una riunione del consiglio, dove si discussero le “tattiche”, mettono in luce le divisioni intestine più che la sostanza stessa della riunione: “Netanyahu indìce riunioni strategiche per contrastare i boicottaggi” – ma ha escluso di proposito alcuni Ministri più esperti:
“Ministri di sinistra tenuti fuori dalla seduta straordinaria del consiglio sulla BSD.” (4)

Tuttavia, sebbene la stampa israeliana sostenne “che ‘la discussione fu tenuta in segreto’, con un imposto ‘oscuramento televisivo’,” una delle fonti che riportarono il fatto diede un significato piuttosto preciso a ciò che accadde a porte chiuse:
A quanto pare, le idee discusse dai Ministri inclusero cause “in corti europee e nordamericane contro organizzazioni [pro-BDS]” e “azioni legali contro istituzioni finanziarie che boicottano gli insediamenti israeliani… e compagnie israeliane [complici]”. Vi è anche la possibilità di “promuovere leggi anti-boicottaggio in capitali amiche nel mondo, come Washington, Ottawa e Canberra” e, a tale scopo, “attivare la lobby pro-Israele negli Stati Uniti”. (5)
Questa specie di “guerra legislativa”, com’è a volte chiamata, non è una novità (né, si può aggiungere, lo è il concetto, altresì discusso in tale riunione, di sostenere la sorveglianza di organizzazioni pro-BDS da parte dei servizi segreti militari – la Shin Bet Security Service e il Mossad). È altrettanto evidente che la lobby pro-Israele ha mobilitato politici nelle “capitali amiche” di Washington, Ottawa e Canberra per molti anni.

Recenti sviluppi di queste iniziative hanno portato alle minacce perpetrate a Canberra, nel giugno 2013, da Julie Bishop – membro del nuovo governo australiano di Julia Gillard – secondo le quali “i sostenitori di un boicottaggio accademico di Israele” vedrebbero “sommariamente tagliati i fondi per la ricerca pubblica” (6). A Washington, è stata sottoposta all’attenzione del Congresso una legge chiamata “Protect Academic Freedom Act”, la quale negherebbe l’accesso a fondi federali “per college ed università che partecipano al boicottaggio di istituzioni accademiche o di studiosi israeliani” (7).

E cosa dire del Canada, il cui Primo Ministro è l’amico più fidato del signor Netanyahu? (8)
Questo saggio stima che le revisioni del codice penale canadese, proposte dal governo Harper, contengono espressioni usate ad arte al fine di consentire procedimenti legislativi contro attivisti per la difesa dei diritti umani, esattamente come voluto dal signor Netanyahu e collaboratori.

1. Disegno di legge C-13 e relativi sotterfugi
Il disegno di legge (DDL) C-13, la legge che protegge i canadesi da crimini sulla rete, ha ricevuto una prima lettura presso la Camera dei comuni nel novembre del 2013. In una pagina web dedicata a “miti e fatti” del progetto di legge in questione, il dipartimento della giustizia rigetta il “mito” secondo cui “il DDL C-13 è un’antologia di diritto penale che tratta qualcosa di più del bullismo in rete”.
Il DDL C-13 non è un’antologia di diritto penale. Esso propone un nuovo reato di distribuzione non consensuale di immagini a contenuto intimo per affrontare il bullismo virtuale mediante strumenti legali autorizzati ad aiutare polizia e procuratori nell’investigare non solo il nuovo illecito proposto, bensì anche altri reati che vengono commessi via internet o includono prove elettroniche. […] Il DDL non contiene il vecchio e controverso emendamento del DDL C-30, relativo all’accesso illegittimo ad informazioni circa i firmatari e alla modifica dell’infrastruttura delle telecomunicazioni. (9)
Ciononostante, il dottor Michael Geist – preside Canada Research di Diritto informatico e commercio elettronico all’Università di Ottawa – osserva che in realtà il DDL C-13 conserva provvedimenti che permettono un maggior accesso illegittimo ad informazioni personali, ben oltre ciò che è previsto dall’odierno codice penale. (10) L’avvocato penalista Michael Spratt stigmatizza il DDL come un “cavallo di Troia digitale per la sorveglianza statale”:
Gran parte del C-13 ha poco a che fare col proteggere chi è vittima [del bullismo virtuale]. Questo DDL espanderebbe a dismisura i poteri di sorveglianza dello Stato. Sacrifica la privacy della persona. Limita o elimina il controllo giudiziario. È incompatibile con la giurisprudenza della corte suprema. È un DDL pericoloso. (11)

L’affermazione del Dipartimento della giustizia che “il DDL C-13 non è un’antologia di diritto penale” è evidentemente falsa. Come sottolinea un altro critico, Terry Wilson, sebbene promossa “come legge di prevenzione del bullismo virtuale, il DDL ha in realtà molto poco a che vedere con i bulli, inoltre prevede sezioni che vanno dal furto di cavi, dalla pirateria informatica, dalla sorveglianza, fino al terrorismo (il bullismo virtuale conta due pagine del DDL su cinquanta totali) […]. Il DDL include persino ‘crimini d’odio’…”. (12)

In questo senso, il DDL C-13 costituisce, ancora una volta, un cavallo di Troia. Il DDL aggiunge alcuni enunciati a quelle sezioni del codice penale relative alla propaganda dell’odio che sembrano, a giudicare dalle apparenze, non fare altro che conformare quelle sezioni ad altri testi paralleli – con molteplici documenti rilevanti in materia di diritto internazionale e con provvedimenti di condanna, successivi nel codice penale, dove già compaiono le stesse espressioni. Ma in questa parte del DDL C-13, v’è presumibilmente un secondo fine in atto, poiché si ha motivo di pensare che le nuove espressioni mirino, evitando ingannevolmente qualsivoglia dibattito pubblico sulla questione, a rendere penalmente perseguibili come incitamento all’odio il discorso e la difesa dei diritti umani – in relazione al trattamento oppressivo dei palestinesi da parte dello Stato d’Israele.
Questa visione dell’intento sottostante il DDL C-13 è sostenuta dal Primo Ministro Harper nel suo discorso alla Knesset tenuto il 20 gennaio 2014 (che verrà discusso più avanti). Essa trova poi supporto anche dal fatto che un’identica modifica alla formulazione del codice penale francese, implementata nel 2003 dalla cosiddetta legge Lellouche, ha permesso la condanna per incitamento all’odio razziale di ben venti attivisti francesi per i diritti umani. (13)

In Francia, il risultato è stato paradossale. La Francia è, come il Canada, un’Alta Parte contraente della Quarta convenzione di Ginevra del 1949 – il cui primo articolo recita che “le Alte Parti contraenti s’impegnano a rispettare e a far rispettare la presente Convenzione in ogni circostanza” (14). Le persone condannate dalla legge Lellouche per incitamento all’odio razziale, partecipano ad un movimento consistente nel fermo ripudio dell’antisemitismo e di qualunque altra forma di razzismo. (15) Questo movimento raccomanda un esercizio pacifico di pressione economica, allo scopo di persuadere lo Stato d’Israele a mettere fine alle molteplici e sistematiche violazioni del diritto internazionale, in particolare della Quarta convenzione di Ginevra, per la cui trasgressione Israele è stato ripetutamente condannato da commissioni e rapporti dell’ONU, nonché da agenzie indipendenti come la Human Rights Watch e Amnesty International. La realtà dei fatti è dunque inequivocabile: applicando la legge Lellouche e ridefinendo i suddetti attivisti in qualità di persone colpevoli di crimini d’odio, lo Stato francese ha simultaneamente violato il precedente impegno “a rispettare e a far rispettare” la Quarta convenzione di Ginevra “in ogni circostanza”.

Uno degli obiettivi del DDL C-13 sembra essere quello di mettere il Canada in una situazione simile, in piena violazione di uno dei principali strumenti del diritto internazionale.

2. Modifiche al significato delle sezioni 318 e 319 del codice penale
La sezione 12 del DDL C-13 propone svariate aggiunte, di minor entità, a quella parte del codice penale (sezioni 318-321.1) che porta il titolo di “Propaganda all’odio”. La sezione 12 recita come segue:
12. La sottosezione 318.(4) della legge è sostituita dalla seguente:
(4) In questa sezione, l’espressione “gruppo identificabile” rappresenta qualsiasi settore del pubblico distinguibile per colore, razza, religione, identità nazionale o etnica, età, sesso, orientamento sessuale o disabilità mentale e fisica. (16)
(Il grassetto indica la formulazione aggiunta all’attuale codice penale tramite il DDL B-13).
Queste aggiunte alla sezione 318 del codice penale, riguardante il reato di “esortazione al genocidio”, impattano anche su significato ed applicazione della sezione 319, riguardante il reato di “pubblico incitamento all’odio” e “intenzionale promozione dell’odio”, in cui – come enuncia la sottosezione 319.(7) – “‘gruppo identificabile’ ha lo stesso valore presente nella sezione 318”. Le clausole rilevanti della sezione 319 sono:
319. (1) Chiunque, attraverso dichiarazioni pubbliche, inciti all’odio contro quale che sia gruppo identificabile, dove tale incitamento risulti in una violazione della pace, è considerato colpevole di
(a) un’offesa incriminabile che prevede la reclusione per una durata di non più di due anni; oppure
(b) un’offesa incriminabile, punibile con una condanna sommaria.
(2) Chiunque, per mezzo di dichiarazioni, oltre ad altre forme di conversazione privata, promuova intenzionalmente l’odio contro quale che sia gruppo identificabile si rende colpevole di
(a) un’offesa incriminabile che prevede la reclusione per una durata di non più di due anni; oppure
(b) un’offesa incriminabile, punibile con una condanna sommaria. (17)
L’aggiunta più importante al concetto di “gruppo identificabile” risiede nella categoria d’identità nazionale, che non ha legami evidenti con il verosimile obiettivo del DDL C-13, ma che potrebbe essere percepita come legata ad un’altra agenda, enfaticamente pronunciata dal Primo Ministro Stephen Harper nel suo discorso alla Knesset israeliana nel gennaio 2014 – ossia quella di ridefinire, come propaganda all’odio, la critica di politiche e comportamenti dello stato-nazione di Israele nei confronti dei cittadini palestinesi e degli abitanti dei territori palestinesi occupati.
Come evidenziò il principale quotidiano israeliano, Haaretz, in un servizio del febbraio 2014, le condanne per crimini d’odio promulgate in Francia, parecchi mesi prima, contro dodici attivisti per i diritti umani – sostenitori della campagna internazionale esortante al boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele – furono assicurate grazie alla legge Lellouche, la quale “estendeva la definizione di discriminazione oltre i previsti parametri di razza, religione ed orientamento sessuale, per includere membri appartenenti ai gruppi nazionali”. (18)

3. Legge Lellouche: un altro cavallo di Troia?
Intenzionalmente o meno, la legge Lellouche ha funzionato come una specie di cavallo di Troia. Il dottor Jean-Yves Camus ha osservato che questa legge, “approvata il 3 gennaio 2003, a seguito di un’ondata di violenza antisemita senza precedenti, permette ai giudici di imporre pene più severe nei confronti degli autori di violenze a stampo razzista, rispetto a quelle che riceverebbero normalmente nel caso di violenze simili non motivate da razzismo.” (19) Come nota Haaretz, in un rapporto sulla criminalizzazione del movimento BDS in Francia, l’obiettivo apparente della legge – in un’epoca in cui l’apertamente antisemita e neofascista Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen vedeva crescere il proprio supporto, specialmente nel sud della Francia – era di “rafforzare i valori repubblicani e contrastare le tendenze settarie”.
La legge passò nel 2003, poco dopo i successi strabilianti del Fronte Nazionale di estrema destra alle elezioni presidenziali.
La misura fu adottata per rispondere al clima sociale caratterizzato non solo da un crescente sentimento antisemita, ma anche da discriminazione antiaraba e xenofobia. (20)
Il “quadro dei motivi” che introduce la legge Lellouche al momento della presentazione all’assemblea nazionale, nel Novembre del 2002, fu esplicito nelle sue ripetute dichiarazioni che le aggiunte al codice penale proposte dalla legge erano prettamente volte a combattere la violenza di chiara matrice razzista:
“Violenze chiaramente razziste”, “atti di violenza volutamente razzista”, “violenze di carattere razzista”, “aggressioni di stampo razzista”. (21)
Sebbene il testo specificasse che la violenza razzista poteva essere sia “morale” che fisica, (22) i due esempi suggeriti ai deputati dell’assemblea nazionale erano uno, nell’ottobre del 2002, “l’omicidio chiaramente razzista” di un giovane francese di origine marocchina nel nord della Francia; l’altro, ad inizio novembre, un’aggressione razzista rivolta contro giovani studenti di una scuola privata ebraica della tredicesima circoscrizione di Parigi. (23) Ponendo l’attenzione sul fatto che in Francia esistono già leggi che si occupano di discriminazione razziale, incitamento all’odio o alla violenza e negazionismo dell’Olocausto, il quadro introduttivo definisce il fine della legge come tentativo di incrementare sensibilmente le pene imposte nei casi in cui gli attacchi a cose o persone siano di matrice razzista – come quando il razzismo si fa movente di atti di tortura e barbarie, violenza con morte preterintenzionale, atti che sfociano in mutilazioni o disabilità permanenti e, ancora, atti che comportano danno o distruzione di proprietà. (24)
Nonostante l’esplicita dichiarazione di intenti, la legge Lellouche è stata applicata in ben altra maniera – col pretesto che, in otto dei nove articoli, viene inclusa la categoria di “nazione” nella definizione di gruppi percepibili come vittime. Come osserva il servizio di Haaretz, la legge “è stata invocata ripetutamente contro attivisti anti-Israele”. In Francia, hanno avuto luogo dieci processi contro sostenitori della BDS, iniziati per mano della legge Lellouche. (25)
Pascal Markowitz, capo dell’unità legale della BDS, facente parte del consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF), è chiaro nel dare un giudizio al valore strumentale della legge Lellouche. Haaretz lo cita testualmente: “la legge è ‘ad oggi, la più efficace legislazione in materia di BDS’. ‘C’è stata una sola assoluzione, perciò le statistiche sono positive’, ha detto”. (26) Ma in Francia, altri personaggi politici sostengono posizioni differenti sulla questione:
“Queste condanne sono irragionevoli,” si esprime a proposito del caso Nicole Kiil-Nielsen – membro francese del Parlamento europeo – durante una sessione straordinaria a Strasburgo nel 2011. “I governi non stanno facendo nulla per mettere fine all’occupazione illegale [dei territori palestinesi] da parte di Israele e la corte francese sta ingiustamente negando ai cittadini la possibilità di agire attraverso la BDS”. (27)
È essenziale capire cosa significhi, nel contesto odierno, “cavallo di Troia”. In ogni versione della storia antica, da Omero a Virgilio,xxviii il punto nodale è sempre lo stesso. Il cavallo vuoto fatto di legno fu uno sleale stratagemma utilizzato dall’armata greca che assediava Troia da dieci anni; ebbe successo perché il cavallo era un’ingannevole artifizio dalla duplice natura. Fingendo di disertare l’assedio, i greci lasciarono indietro l’enorme oggetto: la funzione manifesta più plausibile era quella di un’offerta fatta agli dei, che i troiani furono persuasi a trasportare all’interno della città come celebrazione per la loro presunta vittoria. Tuttavia, l’artefatto aveva una seconda funzione segreta – quale sleale espediente per portare un manipolo di greci armati entro le mura di Troia, cosicché costoro potessero poi aprire le porte di notte, quando il resto dell’esercito avrebbe fatto ritorno.
La legge Lellouche è servita come cavallo di Troia perché, quando fu promulgata, sembrò un mezzo verosimile ed appropriato per far fronte ad un aumento della violenza razziale in Francia, che coincideva con un brusco sollevamento a sostegno di un partito politico di estrema destra, incline a posizioni nettamente razziste. Ma da allora la legge viene usata per uno scopo alquanto diverso: criminalizzare le posizioni degli attivisti per i diritti umani, i quali affermano palesemente la necessità di rispettare e far rispettare le norme di diritto umanitario internazionale.

4. Inserimento di “nazionale” nelle sezioni 318 e 319: semplice “messa in regola”?
Secondo un rapporto di Paul McLeod dell’Halifax Chronicle-Herald, l’aggiunta della parola “nazionale” alle sezioni 318 e 319 del codice penale si deve, spiega il dipartimento della giustizia, al fatto di essere stata “adottata per uniformarsi alla formulazione di un protocollo del Consiglio d’Europa, un’organizzazione per i diritti dell’uomo” (29) Si fa qui riferimento al Protocollo addizionale alla Convenzione sulla criminalità informatica, riguardante l’incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di computer, adottato a Strasburgo nel gennaio del 2003. Nel capitolo I, all’articolo 2.1 di questo testo, la parola “nazionale” ricorre in una definizione dei gruppi percepiti come vittime di “materiale razzista e xenofobico”. (30)
McLeod afferma che alcuni esperti di diritto hanno inteso che la modifica è “probabilmente un mero emendamento di messa in regola al fine di portare il codice penale in linea con le formulazioni di altre normative”. (31) La parola “nazionale” appare, infatti, in contesti similari, nel Patto internazionale sui diritti civili e politici dell’ONU (articolo 20) e nella Convenzione sul genocidio (articolo 2), sempre dell’ONU. Inoltre, il DDL C-13 adegua le sezioni 318 e 319 del codice penale alle disposizioni di condanna della sezione 718, che include già tutti i gruppi (identità nazionale, età, sesso e disabilità mentale e fisica) che non erano inclusi nella sezione 318.(4), ma che ora sono stati aggiunti.
Una decifrazione delle modifiche in chiave “riassestamento” risulta così totalmente plausibile.
Ad ogni modo, non vi è stata poi troppa meticolosità nella messa in regola. Nella sua forma attuale, la sezione 318 del codice penale, che definisce la giusta pena per il crimine di difesa o promozione del genocidio, è un testo alquanto particolare – dato che la relativa sottosezione 2, malgrado derivi chiaramente dall’articolo 2 della Convenzione sul genocidio dell’ONU, omette però le clausole (b), (d) ed (e) attinenti alla definizione di quello stesso articolo. (32)
David MacDonald e Graham Hudson sottolineano che quando il parlamento ratificò la Convenzione sul genocidio nel 1952, risparmiò il codice penale canadese da alcune delle clausole pertinenti all’articolo 2, in virtù del fatto che tematiche come quella dell’allontanamento forzato di bambini non sono rilevanti per questo paese. (Siccome il sistema canadese prevede l’esistenza di istituti scolastici gestiti dalla Chiesa, sotto la cui custodia vengono forzatamente trasferiti bambini indigeni, pare ovvio che l’ultima clausola dell’articolo 2 della Convenzione fu esclusa in cattiva fede). MacDonald e Hudson rilevano altresì che quando il parlamento adottò, nel 2000, la Legge sui crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, inglobò lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 1958 (che include la definizione completa di genocidio in seno alla Convenzione sul genocidio) all’interno della Legge canadese. (33) La sezione 318 del codice penale è pertanto anomala nella sua forma corrente, in quanto la sua definizione di crimine di genocidio esclude clausole che, tuttavia, non sono parte della Legge canadese, a causa della loro assimilazione nella Legge sui crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.
Uno scrupoloso riassestamento di questa parte del codice penale avrebbe di certo incluso le tre clausole omesse dall’articolo 2 della Convenzione sul genocidio.
Dico ciò non per dare contro all’interpretazione in chiave “riassestamento” dell’aggiunta della parola “nazionale” alle sezioni 318 e 319 del DDL C-13 del codice penale: come si è visto prima, tale spiegazione rimane totalmente credibile. Invece, ciò che l’esempio suggerisce è che gli estensori del DDL C-13 potrebbero non essere stati risolutamente concentrati sulla messa in regola.
Il discorso del Primo Ministro Harper, tenuto il 20 gennaio 2014 alla Knesset israeliana, ci porta ad una seconda lettura riguardo ai propositi dell’inserimento della parola “nazionale” nella definizione di gruppi potenzialmente vittimizzabili dalla propaganda all’odio. Nel suggerire che il discorso rivela, con un certo grado di chiarezza, il pensiero sottostante tale aggiunta al testo del codice penale, non intendo insinuare che la spiegazione primaria e manifesta della modifica come “messa in regola” sia rimpiazzata da questo secondo intento – poiché non è così che funzionano i cavalli di Troia.
Un cavallo di Troia è, per sua natura, sleale; ma questa slealtà può avere successo solamente nella misura in cui l’obiettivo primo e dichiarato del cavallo rimanga credibile.

5. Il discorso del Primo Ministro Harper alla Knesset israeliana il 20 gennaio 2014
Durante il suo discorso, il Primo Ministro chiese, in modo retorico, cosa sia oggi a minacciare società che, come Israele, abbracciano “gli ideali di libertà, democrazia e stato di diritto”. La sua risposta fu piuttosto ampia:
Coloro che aborrono la modernità, che minacciano la libertà altrui e che guardano con disprezzo alle diversità di popoli e culture. Coloro che, spesso cominciando con l’odiare gli ebrei, finiscono – la storia ce lo insegna – con l’odiare chiunque sia diverso da loro. Quelle forze che hanno minacciato lo stato di Israele ogni singolo giorno della sua esistenza e che, oggi – l’11/9 ne è la riprova – minacciano tutti noi (34)
Ciò può sembrare approssimativo. Ma il Primo Ministro Harper continuò dicendo che “viviamo in un mondo in cui […] il relativismo morale dilaga incontrollato”.
E nell’orto di siffatto relativismo morale, possono essere piantati facilmente i germi di concetti ben più sinistri.
Così abbiamo assistito, negli ultimi anni, alla mutazione dell’antico male dell’antisemitismo e alla progressiva affermazione di una nuova tensione.
Tutti conosciamo lo storico antisemitismo.
Fu rozzo ed ignorante e condusse agli orrori dei campi di concentramento.
Certo, in molti angoli bui, ci persegue ancora.
Ma, in gran parte del mondo Occidentale, l’antico odio si è trasformato in un più sofisticato strumento di comunicazione delle società civilizzate.
Le persone non diranno mai di odiare ed accusare gli ebrei per i loro propri fallimenti o problemi del mondo; al contrario, dichiareranno il proprio odio verso Israele, trovando in esso soltanto la causa delle problematiche mediorientali.
Come un tempo venivano boicottate le aziende israeliane, oggi i capi di società civilizzate chiedono il boicottaggio di Israele.
In alcune sedi universitarie, argomentazioni intellettuali contro Israele mascherano debolmente le realtà sottostanti, quali la repulsione di professori israeliani e la molestia di studenti ebrei.
La cosa più vergognosa, è che alcuni definiscono Israele come stato-apartheid. (35)
A parere del il Primo Ministro, qualsiasi aspra critica di politiche ed amministrazione di Israele può essere solamente il risultato dell’odio antisemita da parte di persone alla ricerca di ulteriori mezzi con cui accusare gli ebrei. Dal resoconto traspare che gli ebrei, in veste di membri di un gruppo nazionale – in quanto cittadini di Israele, presenti o futuri che siano –, vengono accusati da questi nuovi antisemiti raffinati. Gli stessi ebrei canadesi sono vittima di tali accuse, visto che secondo la Legge del ritorno, anche coloro che non possiedono la cittadinanza israeliana sono comunque potenziali cittadini d’ Israele.
L’assunto che le critiche di Israele siano motivate da una “nuova tensione” antisemita, e che quindi possano essere legittimamente categorizzate e stigmatizzate come forma di propaganda all’odio, non è un’invenzione del Primo Ministro. Come scrive nel 2005 lo storico Norman G. Finkelstein, “l’accusa di neo-antisemitismo non è né nuova né riguarda l’antisemitismo”: è, piuttosto, un’ideologia plasmatasi nei primi anni settanta con il chiaro scopo di allentare la pressione sullo stato di Israele circa l’occupazione dei territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania, conquistati da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967. (36)
Nel paragrafo successivo, si dimostrerà che l’ideologia e la retorica del “neo-antisemitismo” è stata decisamente rigettata da molti accademici e funzionari pubblici ebrei contemporanei, di cui una parte significativa ha riconosciuto, nel dibattito etico interno alla comunità ebraica a proposito del trattamento dei palestinesi da parte di Israele, una ragione per appoggiare il crescente movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele. Questa divisione intestina della comunità ebraica fornisce prove extra alla condanna delle affermazioni del Primo Ministro come fuorvianti e false. Si dimostrerà inoltre che l’etichetta affibbiata ad Israele quale stato-apartheid (che il signor Harper reputa “la cosa più vergognosa”) è stata effettivamente avallata da eminenti studiosi e personaggi pubblici sia in Israele che a livello internazionale – compreso il Sudafrica, ove esperti legali e funzionari pubblici possono tranquillamente affermare di sapere meglio del signor Harper cosa significhi la parola apartheid.

6. Rifiuto del cosiddetto “neo-antisemitismo”
Il neo-antisemitismo può essere brevemente definito come stratagemma retorico consistente nell’affermare che i tropi dell’antisemitismo, una delle cui funzioni è stata (e continua ad essere) quella di giustificare l’esclusione degli ebrei dal diritto di cittadinanza in qualunque paese abitino, vengono ora a ritorcersi contro la “collettività ebraica”, incarnata nello stato di Israele – con l’intento, questa volta, di impedire agli ebrei, intesi come collettività, di godere di pieni diritti di partecipazione alla famiglia delle nazioni. Lo scopo di tale atteggiamento retorico è di difendere azioni e politiche d’Israele, asserendo che i corrispettivi critici stiano esclusivamente fingendo di agire sulla base di princìpi universali quali giustizia e uguaglianza. In realtà, queste persone sono antisemiti che hanno “educatamente” riversato il proprio odio contro lo stato-nazione di Israele.
Ritroviamo le medesime dinamiche del suddetto stratagemma in tre istanze recenti, riguardanti attribuzioni di reimpiego di alcuni dei più crudeli tropi circa l’antisemitismo: “ebreo” come incarnazione di degrado, lerciume ed escremento; “ebreo” come presenza contaminatrice o avvelenatrice (specialmente di fonti d’acqua comuni); “ebreo” come assassino di bambini. (37) Nel corso dei secoli, gli antisemiti hanno usato queste ripugnanti accuse, in particolar modo la terza (conosciuta come la “calunnia del sangue”), per sollevare violenze di massa e persecuzioni di stato delle comunità ebraiche.
Il primo di questi tropi fu usato contro il giornalista inglese Johann Hari quando, nel 2008, scrisse di non poter prendere parte ai festeggiamenti del sessantesimo anniversario della fondazione di Israele, a seguito degli accertati abusi nei confronti di palestinesi all’interno dei territori occupati – come lo scarico di acque di scolo non trattate su colture palestinesi dalla cima di insediamenti illegali sulle colline e l’embargo su attrezzature necessarie alla riparazione del sistema fognario di Gaza, con conseguenze potenzialmente devastanti per la salute. La Community Security Trust britannica (simile per certi aspetti alla B’nai Brith Canada) accusò Hari di “strumentalizzare la questione dei ‘liquami non trattati’ e della ‘merda’ israeliana per spiegare il perché non potesse festeggiare i sessant’anni dalla creazione di Israele” – lasciando così supporre ai lettori, siccome non venne fatta menzione del reportage di Hari né di riferimenti ad inchieste sul tema, di essersi cimentato in una vera e propria turpe apologia antisemita contro la collettività ebraica di Israele. (38)
Il secondo tropo fu introdotto dall’ex Ministro alla giustizia canadese Irwin Cotler in uno scritto sui “Diritti umani e la nuova anti-ebraicità”, pubblicato sul Gerusalem Post nel 2004. Egli dichiarava che “in un mondo in cui i diritti umani sono comparsi come la nuova religione secolare del nostro tempo, il ritratto di Israele [da parte dell’ONU] come metafora del violatore di diritti umani vale ad additare Israele quale ‘nuovo anticristo’, ‘avvelenatore dei pozzi internazionali’…”. (39)Notevole il fatto che Cotler non offra alcuna prova di tali traslati antisemiti, adottati da chiunque all’interno delle commissioni ONU che egli attacca – ci si può solo rammaricare che un esperto di legge, famoso a livello internazionale per essere un difensore dei diritti umani, sia diventato ostile a questo discorso al punto da caricaturizzarlo come pseudo-religione pervasa di antisemitismo.
Il terzo tropo venne usato il 22 marzo 2009 da Jonathan Kay, quando protestò sul National Post che “dall’avvio della campagna di Gaza [Operazione Piombo fuso], le calunnie del sangue quali ‘massacro’ e ‘genocidio’ si sono susseguite spesso e volentieri”; lo stesso giorno Melanie Philips, scrivendo sullo Spectator, accusava il quotidiano israeliano Haaretz di calunnia di sangue per aver pubblicato la testimonianza di soldati israeliani rei di aver partecipato a crimini di guerra contro civili di Gaza. (40)
Comune a tutti e tre i casi l’intenzionale omissione di prove materiali relative alle accuse di illecito contro Israele: simili prove vengono puntualmente fatte sparire da un’inversione retorica che trasforma lo stato d’Israele da persecutore di palestinesi in vittima dei propri accusatori antisemiti; e che trasforma giornalisti o attivisti per i diritti umani – che raccolgono e denunciano prove su crimini di guerra e crimini contro l’umanità – in qualcuno che deve invece rispondere alle accuse di diffusione di odio antisemita.
In breve, la strategia retorica dell’ideologia di questo “neo-antisemitismo” è di allontanarsi tempestivamente da prove materiali per nascondersi nell’inversione retorica e nella diffamazione. Nel 2009, Yuli Edelstein, Ministro della Diplomazia pubblica e degli affari sulla diaspora, spiegò come approcciare il problema durante il Forum globale per la lotta all’antisemitismo a Gerusalemme. Le parole in maiuscolo sono sue:
Dobbiamo ribadire più volte questi dati di fatto – ESSERE ‘anti-Israele’ significa ESSERE ANTISEMITA. BOICOTTARE ISRAELE, I PROFESSORI ISRAELIANI e le aziende ISRAELIANE, non sono mosse politiche, sono atti di odio, atti di antisemitismo! L’isteria anti-Israele è isteria antisemita. Sono la stessa identica cosa. (41)
Massimi intellettuali israeliani hanno screditato l’ideologia da cui si genera codesta retorica “neo-antisemita”. Dei molti che si potrebbero citare, ne menziono solo due. (42)Il filosofo dell’Università di Oxford, Brian Klug, scrisse in un saggio sul “Mito del neo-antisemitismo” che “quando ciascun antisionista è antisemita, non sappiamo più distinguere la verità – l’accezione antisemitismo perde di significato”. (43) La filosofa e teorica letteraria americana Judith Butler, insistendo sul fatto che ci si debba “rifiutare di bollare l’istinto critico come antisemita o di accettare il dettame antisemita come attendibile sostituto della critica”, analizza con estrema lucidità la maniera in cui false accuse di antisemitismo “servono ad immunizzare la violenza di Israele contro la critica, rifiutando di tollerare l’integrità delle affermazioni fatte contro tale violenza”. Ha denunciato il bisogno di “un certo coraggio collettivo” per dar modo al pubblico di “dichiararsi fermamente contrario all’ovvia ed illegittima violenza…”. (44)
Un tentativo di riaccendere questa già rifiutata ideologia “neo-antisemita” fu intrapreso in Canada fra il 2009 ed il 2011 per mano di un gruppo di deputati – guidati da Irwin Cotler e dal Ministro della Cittadinanza, immigrazione e multiculturalismo Jason Kenney – che formò una Coalizione parlamentare canadese per la lotta all’antisemitismo (CPCCA). Il tentativo fallì. Le prove fornite da ufficiali di polizia ed amministratori universitari alla commissione d’inchiesta, rappresentata dalla CPCCA, confutano le affermazioni di quest’ultima secondo cui il Canada sta assistendo ad un incremento di incidenti antisemiti e che gli ebrei (specie quelli che sostengono Israele) vengono regolarmente perseguitati e molestati nelle università canadesi. La CPCCA, che inizialmente godeva di rappresentanza in ogni partito, perse l’appoggio dei membri del Blocco del Québec, i quali non approvarono il rifiuto della CPCCA di concedere spazio, durante le sue sedute, a gruppi per la difesa dei diritti umani aventi opinioni contrastanti con quelle dei principali organizzatori. La pubblicazione del rapporto finale della CPCCA maturò un ritardo di molti mesi dovuto a disaccordi creatisi, in parte, dallo scandaloso tentativo (per il quale Jason Kenney rifiutò di scusarsi) del Partito conservatore di danneggiare Irwin Cotler nella sua campagna di robo-chiamate e, in parte, dalla campagna diffamatoria che lo accusava, ironicamente, di prestare troppo poco sostegno a Israele. Seppure la CPCCA si premurò di non accettare alcuna presentazione d’istanza alla propria inchiesta che fosse critica nei confronti dei suoi stessi presupposti, diciotto di quelle petizioni furono pubblicate in un libro che uscì svariati mesi prima del tardivo rapporto della CPCCA e che fu consigliato dal Globe and Mail quale lettura estiva “per Tories desiderosi di imparare”. (45)

7. Il dibattito fra ebrei circa l’eticità del trattamento dei palestinesi da parte di Israele
Come si è detto sopra, molti professori ed intellettuali ebrei, sia in Israele che nel mondo, si sono schierati in ferma opposizione alle politiche israeliane di apartheid nei confronti dei palestinesi e alla continua colonizzazione dei territori occupati. In tali circostanze, assieme al fatto che in Canada e altrove si uniscono a queste posizioni anche vari cittadini ebrei attivisti, vi è un profondo rifiuto della ripetizione retorica “antisemita” del Primo Ministro Harper.
Come ci si poteva aspettare, le opinioni in Israele circa il significato delle parole di Harper non furono unanimi. In attesa delle dichiarazioni di Harper, Benjamin Netanyahu lo definì “un amico che sta sempre dalla nostra parte”. (46)Altri israeliani, sebbene siano di certo una minoranza, la pensano diversamente. Uri Avnery, ex membro della Knesset, figura importante del (purtroppo vacillante) movimento per la pace israeliano, nonché rispettato giornalista a livello mondiale, rigetta il discorso di Harper come “ridicolo”. (47)
Due settimane dopo quel discorso, uno dei massimi sociologi in Israele, la professoressa Eva Illouz dell’Università Ebraica di Gerusalemme, pubblicò un lungo saggio su Haaretz che esplorava la profondità e l’importanza della divisione fra gli ebrei riguardo alla problematica morale del trattamento dei palestinesi da parte di Israele. Il titolo del saggio, “Quarantasette anni schiavo: una nuova prospettiva sull’occupazione”, è alquanto impressionante;xlviii lo studio della Illouz lo è ancora di più.
Illouz inizia ricordando che, ogni giorno, tre quarti delle notizie presenti su Haaretz “girano regolarmente attorno agli stessi due argomenti: persone che lottano per proteggere il buon nome di Israele e persone che si battono contro le sue violenze ed ingiustizie”. Poi menziona due sorprendenti caratteristiche di questa lotta: primo, benché ci si cerchi di infangare a vicenda, “il fango è lanciato da ebreo a ebreo”; secondo, “i valorosi combattenti per il buon nome di Israele dimenticano un fatto essenziale: le critiche a Israele negli Stati Uniti provengono sempre più da ebrei, e non da antisemiti”. (49)
Affermando che “se Israele viene certamente identificato fra le molte nazioni che registrano scarsi risultati in materia di diritti umani, ciò è dovuto al sentimento di vergogna e imbarazzo che gran parte degli ebrei in Occidente prova verso uno Stato che, con le sue politiche e i suoi costumi, non li rappresenta più”, Illouz cita l’osservazione di Peter Beinart secondo cui “gli ebrei sembrano essere divisi in due fazioni distinte…”. (50)
Diversamente dalle più comuni divisioni della storia, questa, dice la Illouz, è avvenuta a causa di un problema morale, e cioè quello del trattamento dei palestinesi nei territori occupati da Israele. Entrambe le parti affermano di dover rispondere ad imperativi morali. Quello che lei chiama il gruppo di “sicurezza come moralità” crede che “siccome gli ebrei furono le grandi vittime della storia e vista l’intrinseca vulnerabilità dello Stato d’Israele, accerchiato da un mare di nemici”, Israele “è doppiamente irredarguibile”. Il secondo gruppo, invece, si basa su princìpi universali di giustizia, sottolineando che Israele si sta allontanando rapidamente dalle pacifiche, multietniche e pluralistiche democrazie del mondo. Israele smise di rappresentare una valida fonte di identificazione per questi ebrei, non perché essi odino se stessi, ma perché molti di loro hanno partecipato attivamente, a parole o con i fatti, alla liberazione delle rispettive società – cioè, all’estensione di diritti umani, economici e sociali ad una più vasta gamma di gruppi. (51)
Illouz sostiene, precisamente, che il miglior esempio di parallelismo storico utile a comprendere questa divisione comunitaria è dato dalla disputa del diciannovesimo secolo che ebbe luogo negli Stati Uniti intorno al tema della schiavitù.
Due elementi rendono convincente tale analogia. Il primo è suggerito dal sociologo di Harvard Orlando Patterson, “esperto di storia e sociologia della schiavitù”, secondo cui il fulcro della questione della schiavitù non è rappresentato dal fatto che le persone vengono comprate e vendute come proprietà, ma piuttosto dal fatto che esse vengono obbligate a sopportare condizioni di “dominazione permanente, violenta e personale” e “isolate dalla nascita e generalmente disonorate”. (52) Illouz osserva che “quello che iniziò come un conflitto militare nazionale” fra israeliani e palestinesi si è trasformato in una forma di dominazione dei palestinesi che sfiora le condizioni di schiavitù. Se concepiamo la schiavitù come condizione di esistenza e non come proprietà e commercio di corpi umani, la dominazione che Israele esercita sui palestinesi risulta aver creato il contesto di dominazione che definisco “condizione di schiavitù”. (53)
Come spiega in dettaglio, il contesto di dominazione include l’assoggettamento ad arresti arbitrari, incarcerazione e tortura; imposizione di un sistema legale kafkiano, alquanto diverso da quello che regola la vita degli israeliani; attacchi militari (che comprendono l’uso di palestinesi come “scudo umano”), violenza e distruzione di proprietà senza inflizione di pena nei confronti dei colonizzatori; rigorose restrizioni al movimento, accompagnate da strangolamento economico; contenimento dei matrimoni e sistematica violazione della proprietà privata; imposizione di “un costante senso di disonore” su persone che “conducono una vita imprevedibile e discontinua, che vivono nel terrore ebraico e nella violenza delle milizie israeliane e che temono di non trovare lavoro, riparo o famiglia”. (54)
Il secondo elemento è la sconcertante ideologia predicante l’intrinseca superiorità ebraica rispetto agli arabi – totalmente analoga a quella delle dottrine fondate sulla Bibbia relative alla supremazia bianca propugnata da sostenitori della schiavitù nell’America del diciannovesimo secolo – adottata in Israele per giustificare l’assoggettamento dei palestinesi, oggi tendenza dominante circa il tema degli insediamenti. “Come i bianchi in Sudamerica,” scrive Illouz, gli ebrei d’Israele “si considerano evidentemente più virtuosi, superiori, civilizzati e tecnologicamente ed economicamente più avanzati rispetto agli arretrati arabi”; “parimenti alla controparte sudista del diciannovesimo secolo, i coloni hanno largamente santificato la loro terra attraverso predicazioni bibliche e credono, come i proprietari schiavisti, di eseguire la volontà di Dio”. (55)
Da professore responsabile, Illouz descrive con precisione sia le limitazioni di quest’analogia, sia – mediante ampie analisi e citazioni piene di dettagli sulle condizioni di schiavitù sopportate dai palestinesi e sul motivo della dominazione ormai radicato in Israele – il suo potere esplicativo.
Le sue conclusioni sono infatti convincenti. Israele, pur essendo “lo stato maggiormente preoccupato al mondo in materia di sicurezza,” ha fallito nel tramutare il conflitto coi palestinesi in conflitto militare. Viceversa, è stato trasposto in un disastro umanitario che ha provocato una guerra morale ed un’incolmabile frattura in seno alla comunità ebraica. Le strategie di relazioni pubbliche dello stato non metteranno a tacere questa guerra morale.
Ciò implica un crescente isolamento internazionale:
L’Israele sta pericolosamente salpando dal vocabolario etico della maggioranza dei Paesi civilizzati di questo pianeta. A riprova di ciò sta il fatto che molti lettori giudicheranno inaffidabili le mie fonti poiché provengono da organizzazioni che difendono i diritti umani. Israele non parla più la comune lingua etica delle nazioni illuminate. E rifiutandosi di parlarla, si sta di fatto condannando all’isolamento. (56)
Dovrebbe dunque risultare ovvio quanto duramente il saggio della professoressa Illouz critichi le false pietà del discorso tenuto alla Knesset da Stephen Harper. Alla radice dei fatti, la dichiarazione di Harper che i critici delle politiche e dell’amministrazione di Israele siano per definizione antisemiti si dimostra sventuratamente falsa – e qualcheduno auspicherà che il parallelismo, sviluppato in maniera così puntuale ed esauriente dalla professoressa Illouz, farà torcere il naso persino a qualcuno della sua (di Harper) stessa obliquità mentale.

8. La cosa più vergognosa di tutte… un stato-apartheid
Nella parte finale del saggio, Eva Illouz sottolinea che gli israeliani non realizzano l’entità della loro colonizzazione ed occupazione “perché la lingua stessa è stata colonizzata”. Molti Israeliani interpretano l’occupazione in quanto “terroristi e nemici; il mondo vede gente debole, nullatenente e perseguitata. Il mondo reagisce indignandosi alla persistente dominazione israeliana dei palestinesi, mentre Israele dileggia tale indignazione in quanto espressione di doppia morale…”. A causa di questa “colonizzazione” della parola, “la disputa che divide gli ebrei è più complicata della disputa sulla schiavitù, perché non esiste accordo nemmeno su come definire adeguatamente l’enorme iniziativa di dominazione creata nei territori”. (57)
In realtà, vi è un’intesa piuttosto diffusa sull’appropriatezza del nome – almeno circa i “princìpi universali di giustizia” pertinenti al divario, analizzati dalla professoressa Illouz. (58)
Il termine “apartheid” venne adoperato con distaccata accuratezza da Marwan Bishara, nel 2001, per descrivere ciò che Israele ha fatto nei territori occupati dai primi anni Novanta in poi: “ha diviso fisicamente e demograficamente la Cisgiordania e Gaza in isole di povertà o bantustan, mantenendo dominazione economica e controllo diretto su territori e risorse naturali palestinesi”. (59) Fu poi riutilizzato nel 2006 dall’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter; utilizzo approvato nel 2007 dall’insignita del Premio Israele ed ex ministra dell’istruzione Shulamit Aloni. (60) Nel gennaio 2010, Henry Siegman – ex direttore esecutivo del Congresso ebraico-americano ed attuale Presidente del Progetto USA/Medio Oriente del Consiglio sulle relazioni estere – scriveva che “l’inarrestabile” edificazione di nuovi insediamenti da parte di Israele “sembra essere finalmente riuscita a fissare l’irrevocabilità del progetto coloniale. Come conseguenza di tale “conquista”, che i successivi governi israeliani hanno inseguito per molto tempo con l’intento di precludere la soluzione a due Stati, Israele è passato dall’essere “unica democrazia in Medio Oriente” a unico regime apartheid del mondo Occidentale. (61)
Come rileva il dottor Jason Kunin, si fa pungente ironia sul fatto che mentre esponenti accademici – per non parlare di politici – condannino come inaccettabile ogni accostamento del termine “apartheid” a pratiche di furto di terreno, acquartieramento ed assoggettamento, separazione ed oppressione raziale di un popolo soggiogato che caratterizzano il trattamento israeliano dei palestinesi, “professori di diritto sudafricani – da cui ci si aspetterebbe una più diretta comprensione delle dinamiche dell’apartheid – non hanno esitato a descrivere il comportamento dello stato d’Israele, nei territori palestinesi occupati, come ‘un sistema coloniale che instaura un regime di apartheid’.” (62) (Il suo riferimento è legato ad un articolo di professori e giuristi sudafricani pubblicato dallo Human Sciences Research Council of South Africa nel maggio 2009: Occupazione, colonialismo, apartheid? Una rivalutazione di diritto internazionale sulle politiche di Israele nei territori palestinesi occupati). (63)
Una delibera che veda lo Stato di Israele instaurare un regime di apartheid si ripercuote sul diritto internazionale – ove l’apartheid è definita come crimine contro l’umanità. È dunque poco sorprendente che il vincitore del Premio Nobel per la pace, l’arcivescovo Desmond Tutu, abbia osservato: “Alcune persone sono furibonde per il paragone fatto tra il conflitto israelopalestinese e ciò che accadde in Sudafrica…”. Ma Tutu andò avanti insistendo che “per quelli di noi che hanno vissuto gli orrori disumanizzanti dell’epoca dell’apartheid, il paragone non sembra appropriato, […] ma è pur necessario se vogliamo continuare a sperare che le cose cambino”. (64)
Il paragone non implica alcuna dichiarazione di identicità fra il regime di apartheid israeliano e quello avutosi in Sudafrica. Secondo Naomi Klein, la domanda non è “Israele è uguale al Sudafrica?”, bensì “la condotta di Israele soddisfa i criteri internazionali che determinano cosa sia l’apartheid?”. Se si guarda a quelle condizioni che includono il trasferimento di persone, i diversi usi della legge, la segregazione ufficiale di stato, allora sì, quei criteri vengono soddisfatti – il che è diverso dal dire che è uguale al Sudafrica. (65)
Ma i sostenitori delle politiche di Israele cadrebbero in errore se pensassero di poter trovare consolazione od incoraggiamento nelle differenze tra i regimi di Israele e Sudafrica. Secondo Ronnie Kasrils, che fu uno dei molti ebrei sudafricani a combattere l’apartheid con onore e che, successivamente, diventò Ministro durante il governo Mandela:
Senza dubbio, noi sudafricani che combattemmo l’apartheid consideriamo, unanimemente, molto molto peggiori i metodi di repressione e punizione collettiva di Israele rispetto a qualsiasi cosa vissuta durante la nostra lunga e difficile lotta per la liberazione. I diffusi ed indiscriminati bombardamenti di Israele su aree popolate, con scarso riguardo per le vittime civili, furono assenti in Sudafrica perché il regime di apartheid si affidava all’economica forza lavoro nera. Israele rifiuta completamente un intero popolo e mira ad eliminare del tutto la presenza palestinese, non importa se in maniera collaborativa o tramite “trasferimento” forzato. È proprio questo che contraddistingue la maggior brutalità duratura di Israele rispetto all’apartheid del Sudafrica. (66)
Forse, alla luce dell’analisi di Eva Illouz, dovremmo integrare la voce “apartheid” parlando anche di “condizioni di schiavitù”. Ma che si accetti o meno quest’intensificazione del vocabolo, dovremmo ricordare qualcos’altro che viene evidenziato in un recente articolo dal professor Jake Lynch, direttore del Centro per gli studi sulla pace e sul conflitto dell’Università di Sydney. Come fa notare, il rapporto del South African Human Sciences Research Council che giudicava Israele quale trasgressore della Convenzione internazionale sulla soppressione e punizione del crimine di apartheid, dichiarava inoltre che tale sentenza obbligava i governi a “cooperare per mettere fine alla violazione, a non riconoscere l’assetto illegale scaturito da quest’ultima e a non porgere aiuto né assistenza allo Stato che se ne faceva artefice”. (67)
Non appare necessario commentare la visione del Primo Ministro Harper che giudica vergognosa l’applicazione del termine “apartheid” a ciò che Israele sta facendo. Uri Avnery potrebbe avere ragione nel credere che la miglior risposta a tali fanfaronate sia ridicola.

9. Conclusioni
Ma qualcosa che vada oltre il ridicolo risulta doveroso per far fronte ad un’evidente minaccia al diritto dei cittadini di protestare pacificamente e boicottare quando lo si reputi necessario ad attirare attenzione pubblica sul fallimento del nostro governo (e di molti altri) nell’onorare i propri obblighi in ambito di diritto internazionale.
Due passi paiono fondamentali per rispondere a ciò che ho definito un cavallo di Troia relativamente alle modifiche delle sezioni 318 e 319 del codice penale canadese, apportate dal DDL C-13. Il primo dovrebbe essere indiscutibile e può essere compiuto immediatamente. La sezione 12 del DDL C-13 (la sezione che contiene queste revisioni) può essere facilmente modificata al fine di includere la dichiarazione che “nulla in questa sezione dev’essere interpretato in contrasto con la responsabilità del Canada, ai sensi dell’articolo 1 della Quarta convenzione di Ginevra, ‘di rispettare e far rispettare’ quella Convenzione ‘in ogni circostanza’; né nulla in questa sezione dev’essere interpretato in contrasto con le responsabilità assunte dal Canada sotto altri strumenti di diritto umanitario internazionale di cui il Canada è firmatario”.
Il secondo passo che raccomanderei ai canadesi è di sostituire il governo che si imbarca in simili legiferazioni in stile cavallo di Troia con uno migliore.
Michael Keefer è professore emerito presso la School of English and Theatre Studies dell’Università di Guelph. Laureato presso il Royal Military College of Canada, l’Università di Toronto e l’Università del Sussex, è l’ex presidente dell’Association of Canadian College and University Teachers of English, membro del Seriously Free Speech Committee e socio dell’Independent Jewish Voices Canada.

Fonte: http://www.globalresearch.ca/criminalizing-criticism-of-israel-in-canada/5376306

Traduzione di Oscar Mina

NOTE
1. Vedi, ad esempio, Michael Deas, “Norway’s pension fund divests from Israel’s largest real estate firm”, The Electronic Intifada (19 giugno 2012), http://www.electronicintifada.net/blogs/michael-deas/norways-pension-fund-divests-israels-largest-real-estate-firm; “Major US pension fund divests ethical fund from Veolia”, BDS Movement (22 novembre 2013), http://www.bdsmovement.net/2013/tiaa-cref-social-choice-veolia-11431; “Veolia Campaign Victories: Total value of lost Veolia contracts: €18.122 billion ($23.97 billion)”, Global Exchange (febbraio 2014), http://www.globalexchange.org/economicactivism/veolia/victories; Asa Winstanley, “Dutch pension giant divests from 5 Israeli banks”, BDS Movement (13 gennaio 2014), http://www.bdsmovement.net/2014/dutch-pension-giant-divests-from-5-israeli-banks-11594; Elena Popina, “SodaStream Drops Amid Sanctions Over Jewish Settlements”, Bloomberg (3 febbraio 2014), http://www.bloomberg.com/news/2014-02-03/sodastream-slumps-on-sanction-campaign-over-jewish-settlements.html.
2. “Sanctions against Israel: A campaign that is gathering weight”, The Economist (8 febbraio 2014), http://www.economist.com/news/middle-east-and-africa/21595948-israels-politicians-sound-rattled-campaign-isolate-their-country/.
3. Avraham Burg, “What’s wrong with BDS, after all? Israel will be helpless when the discourse moves from who’s stronger/tougher/more resilient to a discourse on rights and values”, Haaretz (3 febbraio 2014), http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.572079; citazione del reverendo Robert Assaly, “BDS movement scores huge in Superbowl victory over Sodastream”, NECEF: Near East Cultural & Educational Foundation (20 febbraio 2014), www.necef.org.
4. Herb Keinon, “Netanyahu convenes strategy meeting to fight boycotts”, Jerusalem Post (10 febbraio 2014), http://www.jpost.com/National-News/Netanyahu-convenes-strategy-meeting-to-fight-boycotts-340904; Gil Ronen, “Leftist Ministers Kept Out of Secret Cabinet BDS Session”, Arutz Sheva 7 (10 febbraio 2014), http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/177294#.UwZ3FkJdUfJ. Il fatto che personaggi del calibro di Tzipi Livni vengano descritti come “sinistroidi” è sintomo di uno spostamento verso posizioni di estrema destra all’interno dello spettro politico israeliano.
5. “Israeli ministers discuss using lawyers and Mossad to fight BDS”, Middle East Monitor (10 febbraio 2014), https://www.middleeastmonitor.com/news/middle-east/9666-israeli-ministers-discuss-using-lawyers-and-mossad-to-fight-bds.
6. Jake Lynch, “Coalition plans to punish those who boycott Israel”, The Drum Opinion (Australian Broadcasting Corporation), (25 giugno 2013), http://www.abc.net.au/unleashed/4778144.html.
7. Abdus-Sattar Ghazali, “Academic Freedom Act threatens academic freedom?”, OpEd News (16 febbraio 2014), http://www.opednews.com/articles/Academic-Freedom-Act-threa-by-Abdus-Sattar-Ghaza-Academic-Freedom_Associations_Backlash_Boycott-140216-464.html.
8.Campbell Clark, “Netanyahu calls Harper a ‘friend that always stands by us’”, Globe and Mail (19 gennaio 2014, aggiornato il 20 gennaio 2014), http://www.theglobeandmail.com/news/politics/harper-arrives-in-israel-on-inaugural-middle-east-visit/article16398905/.
9. “Myths and Facts: Bill C-13, Protecting Canadians from Online Crime Act”, Dipartimento di Giustizia Canadese (novembre 2013, modificato il 5 dicembre 2013), http://www.justice.gc.ca/eng/news-nouv/nr-cp/2013/doc_33002.html.
10. Vedi Michael Geist, “The Privacy Threats in Bill C-13, Part One: Immunity for Personal Info Disclosures Without a Warrant”, Michael Geist (25 novembre 2013), http://www.michaelgeist.ca/content/view/7006/125/; e “The Privacy Threats in Bill C-13, Part Two: The Low Threshold for Metadata”, Michael Geist (11 dicembre 2013), http://www.michaelgeist.ca/content/view/7028/125/.
11. Michael Spratt, “C-13: A Digital Trojan horse for the surveillance state”, iPolitics (28 novembre 2013), http://www.ipolitics.ca/2013/11/28/c-13-a-digital-trojan-horse-for-the-surveillance-state/.
12.Terry Wilson, “The Dangers Hidden in Bill C-13 ‘Protecting Canadians From Online Crime Act’”, Canadian Awareness Network (23 novembre 2013), http://www.canadianawareness.org/2013/11/the-dangers-hidden-in-bill-c-13-protecting-canadians-from-online-crime-act/.
13.“BDS a hate crime? In France, legal vigilance punishes anti-Israel activists”, Haaretz (15 febbraio 2014), http://www.haaretz.com/jewish-world/1.574361.
14. Quarta convenzione sulla Protezione delle persone civili in tempo di guerra. Ginevra, 12 agosto 1949, http://www.icrc.org/ihl/nsf/385ec082b509e76c41256739003e636d/6756482d86146898c125641e004aa3c5, Articolo 1.
15. Vedi, ad esempio, Omar Bargouti, “Besieging Israel’s Siege”, The Guardian (12 agosto 2010), http://www.theguardian.com/commentisfree/2010/aug/12/besieging-israel-siege-palestinian-boycott: “Creata e guidata da Palestinesi, la BDS si oppone ad ogni forma di razzismo, incluso l’antisemitismo, e si ispira a quei valori universali di libertà, giustizia e parità di diritti che motivarono le lotte anti-apartheid e per i diritti civili negli Stati Uniti”.
16. Bill C-13. An Act to amend the Criminal Code, the Canada Evidence Act, the Competition Act and the Mutual Legal Assistance in Criminal Matters Act, http://www.parl.gc.ca/HousePublications/Publication.aspx?Language=E&Mode=1&Docid=6311444&File=4.
17. Codice penale (R.S.C., 1985, c. C-46. Legge del 14-01-2014, ultima modifica al 12-12-2013, Justice Laws Website, http://www.laws-lois.justice.gc.ca/eng/acts/c-46/FullText.html.
18. “BDS a hate crime?” Haaretz (15 febbraio 2014).
19. Jean-Yves Camus, Racist Violence in France (Bruxelles: European Network Against Racism, 2011), http://www.cms.horus.be/files/99935/MediaArchive/Racist%20Violence%20Report%20France%20-%20online.pdf, p. 4.
20. “BDS a hate crime?”, Haaretz (15 febbraio 2014).
21.  “Proposta di legge che mira ad aggravare le pene per i reati a sfondo razzista e a consolidare l’efficacia del codice di procedura penale”, N° 350, presentato dai signori Pierre Lellouche e Jacques Barrot, deputati dell’assemblea nazionale (7 novembre 2002), htttp://www.assemblee-nationale.fr/12/propositions/pion0350.asp, “Quadro dei motivi”.
22. Ibidem: “Morali o fisiche, le violenze razziste offendono non soltanto le persone che ne sono vittime, ma attentano altresì alla coesione nazionale e ai princìpi fondamentali della nazione”.
23. Ibidem: “Resta il fatto che il fenomeno può risorgere in qualsiasi momento, come lo testimoniano svariati casi recenti, particolarmente preoccupanti, come l’omicidio dichiaratamente razzista, del mese di ottobre, di un giovane francese d’origine marocchina in un dipartimento del nord, o l’aggressione di inizio novembre contro i giovani allievi di una scuola privata ebraica della XXX circoscrizione di Parigi, per il solo motivo di essere ebrei”.
24. Ibidem: “L’oggetto della presente proposta, senza aggiungere nuove incriminazioni al codice penale, prende in considerazione l’intenzionalità razzista e, dunque, aggrava pesantemente le pene per i colpevoli di attentato alla persona e alla proprietà in caso esse siano di matrice razzista. Questi aggravamenti delle pene vanno ad applicarsi agli atti di tortura e barbarie, alle violenze culminanti in omicidio preterintenzionale, mutilazione, infermità permanente o incapacità di lavorare, così come agli atti di distruzione, degrado e deterioramento della proprietà”.
25. “BDS a hate crime?” Haaretz (15 febbraio 2014).
26. ibidem
27. ibidem
28. La prima versione dell’episodio del cavallo di Troia si trova nell’Odissea di Omero, libri IV. 271-89, e VIII. 492-520. La vicenda fu raccontata ancora da poeti successivi, fra cui Quinto Smirneo, in La continuazione di Omero, libri XII. 104-520, e XIII; e Virgilio, nella sua Eneide, libro II. 13-267.
29. Paul McLeod, “Hate law favours Israel, critics charge”, Chronicle-Herald (19 marzo 2014), http://www.thechronicleherald.ca/canada/1194592-hate-law-bill-favours-israel-critics-charge?from=most_read&most_read=1194592.
30. Protocollo addizionale…, http://www.conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/189.htm, cap. I, art. 2.1: “Ai fini di questo Protocollo: ‘materiale razzista e xenofobico’ sta per ogni scritto, immagine o altra rappresentazione di idee e teorie che difendano, promuovano o incitino all’odio, alla discriminazione o alla violenza contro quale che sia individuo o gruppo di individui, sulla base di razza, colore, estrazione, identità etnica o nazionale, ma anche su base religiosa quando questa viene usata come pretesto per qualunque dei succitati elementi”.
31. McLeod, “Hate law favours Israel, critics charge”.
32. Nel Codice penale, 318.(2), “‘genocidio’ sta per ciascuno dei seguenti atti commessi intenzionalmente per distruggere, interamente o in parte, quale che sia gruppo identificabile, cioè (a) uccidere membri del gruppo, (b) imporvi, di proposito, condizioni di vita pensate per ottemperare alla sua distruzione fisica”.
L’articolo 2 della Convenzione sul genocidio dichiara che “genocidio sta per ciascuno dei seguenti atti commessi intenzionalmente per distruggere, interamente o in parte, un gruppo nazionale, etico, razziale o religioso, quali (a) uccidere membri del gruppo, (b) causare grave danno fisico o mentale a membri del gruppo, (c) imporvi, di proposito, condizioni di vita pensate per ottemperare alla sua distruzione fisica, totale o parziale, (d) imporvi misure intese a prevenire le nascite, (e) trasferire forzatamente bambini da un gruppo all’altro”. (Vedi Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio. Adottata mediante la Risoluzione 260 [III] A dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948, https://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%2078/volume-78-1-1021-English.pdf.).
33. David MacDonald e Graham Hudson, “The Genocide Question and Indian Residential Schools in Canada”, Canadian Journal of Political Science/Revue Canadienne de Science Politique 45.2 (giugno 2012): 427-49, http://www.journals.cambridge.org/action/display/Abstract?fromPage=online&aid=8649111; vedi in particolare pp. 434-38. MacDonald e Hudson sottolineano che la Legge sui crimini contro l’umanità e i crimini di guerra del 2000 esclude esplicitamente la possibilità di procedimenti retroattivi per crimini di genocidio commessi in Canada prima del 1998.
34. “Leggi l’intero testo dello storico discorso di Harper alla Knesset d’Israele”, The Globe and Mail (20 gennaio 2014), http://www.theglobeandmail.com/news/politics/read-the-full-text-of-harpers-historic-speech-to-israels-knesset/article16406371/?page=1.
35. ibidem
36.Norman G. Finkelstein, Beyond Chutzpah: On the Misuse of Anti-Semitism and the Abuse of History (Berkeley: University of California Press, 2005), pp. 21, versione completa.
37.Seguendo l’esempio di Brian Klug, faccio riferimento a “ebreo” tra virgolette per rendere chiaro che ciò a cui ci si riferisce in questa frase è il personaggio di fantasia creato dallo stereotipare antisemita. Vedi Klug, “What do we mean when we say ‘antisemitism’?”, Conferenza plenaria presso il Museo Ebraico, Berlino, 8 novembre 2013, YouTube (21 novembre 2013), http://www.youtube.com/watch?v=ytzSZxIS3OI. Per citare il sopravvissuto alla Shoah Imre Kertész: “In un ambiente razzista, un ebreo non può essere umano, ma non può nemmeno essere un ebreo, poiché ‘ebreo’ è un appellativo ambiguo agli occhi dell’antisemita soltanto”.
38. Questo incidente è discusso in Michael Keefer, “Data and Deception: Quantitative Evidence of Antisemitism” e Antisemitism Real and Imagined: Responses to the Canadian Parliamentary Coalition to Combat Antisemitism (Waterloo, Ontario: The Canadian Charger, 2010), pp. 183-85. Vedi Johann Hari, “Israel is suppressing a secret it must face”, The Independent (28 aprile 2008), http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/johann-hari/johann-hari-israel-is-suppressing-a-secret-it-must-face-816661.html; Hari, “The loathsome smearing of Israel’s critics”, The Independent (8 maggio 2008), http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/johann-hari/johann-hari-the-loathsome-smearing-of-israels-critics-822751.html; e Community Security Trust, Antisemitic Discourse in Britain in 2008 (CST, 2009), http://www.thecst.org.uk.docs/Antisemitic%20discourse%20Report%202008.pdf, p. 24 (corsivo nel testo originale).
39.Vedi Keefer, “Desperate Imaginings: Rhetoric and Ideology of the ‘New Antisemitism’”, in Antisemitism Real and Imagined, pp. 212-15; e Irwin Cotler, “Human Rights and the New Anti-Jewishness,” Jerusalem Post (5 febbraio 2004); disponibile presso SPME: Scholars for Peace in the Middle East, http://www.spme.net/cgi-bin/articles.cgi?ID=128.
40.Ibidem, p. 211; vedi Jonathan Kay, “Here is the difference between Israel and its Arab enemies”, National Post (22 marzo 2009), http://network.nationalpost.com/np/blogs/fullcomment/archive/2009/03-kay-here-is-the-difference-between-israel-and-its-arab-enemies-aspx; e Melanie Phillips, “The Ha’aretz Blood Libel”, Spectator (22 marzo 2009), http://www.spectator.co.uk/melaniephillips/3464331/the-haaretz-blood-libel.html.
41.Citato in Keefer, Antisemitism Real and Imagined, “Introduzione”, p. 15.
42.Altri che potrebbero essere citati sono: Shulamit Aloni, Max Blumenthal, Noam Chomsky, Marc Ellis, Richard Falk, David Theo Goldberg, Neve Gordon, Amira Hass, Tony Judt, Sir Gerald Kaufman, Baruch Kimmerling, Naomi Klein, Joel Kovel, Gideon Levy, Ilan Pappe, Harold Pinter, Yakov Rabkin, William I. Robinson, Jacqueline Rose, Israel Shahak, Avi Shlaim e David Shulman. (Molte di queste persone hanno anche sostenuto la BDS).
43. Brian Klug, “The Myth of the New Anti-Semitism”, The Nation (15 gennaio 2004), http://www.thenation.com/article/myth-new-anti-semitism.
44.Judith Butler, “The Charge of Anti-Semitism: Jews, Israel, and the Risks of Public Critique”, in Precious Life: The Powers of Mourning and Violence (2004; Londra e New York: Verso, 2006), pp. 126-27.
45.Gerald Caplan, “A Mideast reading list for Tories willing to learn”, Globe and Mail (27 agosto 2010, aggiornato il 15 novembre 2010), http://www.theglobeandmail.com/news/politics/second-reading/a-mideast-reading-list-for-tories-wlling-to-learn/article1314259/. Il libro Antisemitism Real and Imagined: Responses to the Canadian Parliamentary Coalition to Combat Antisemitism contiene, nella prima delle sue tre parti, undici petizioni da parte di professori ed attivisti per i diritti umani (si dà il caso che la maggior parte di costoro sia ebraica) e, nella seconda parte, petizioni respinte di sette organizzazioni per la difesa dei diritti umani; la terza parte è costituita da tre saggi dell’autore (la cui petizione alla CPCCA fu altrettanto rifiutata).
46.Campbell Clark, “Netanyahu calls Harper a ‘friend that always stands by us’”, Globe and Mail (19 gennaio 2014). Quest’affermazione fu fatta un giorno prima del discorso di Harper alla Knesset. Ma, come Netanyahu sapeva, le dichiarazioni di Harper facevano da eco a ciò che lui diceva da anni. Nel marzo 2014, Netanyahu dichiarò all’AIPAC che i sostenitori della BDS “dovrebbero essere contrastati perché sono contrari alla pace e perché la BDS è semplicemente sbagliata. Quelli che portano lo stemma della BDS dovrebbero essere trattati allo stesso modo degli antisemiti e dei bigotti. Andrebbero smascherati e condannati” (video riprodotto da Lia Tarachansky, “Netanyahu Attacks Boycott As Campaign Enters New Phase”, The Real News [23 marzo 2014], http://www.therealnews.com/t2/index.php?option=com_content&task=view&id=31&Itemid=74&jumival=11633).
47.Uri Avnery, “Nothing New Under the Sun”, Gush Shalom.org (25 gennaio 2014), http://www.zope.gush-shalom.org/home/en/channels/avnery/1390578868.
48.Eva Illouz, “47 years a slave: a new perspective on the occupation”, Haaretz (7 febbraio 2014), http://www.haaretz.com/news/features/.premium-1.572880. Illouz è autrice di otto libri e più di ottanta articoli e capitoli di libri; i suoi lavori sono largamente tradotti, e hanno vinto importanti premi in Germania, Francia e Stati Uniti, compreso, nel 2013, il Premio Anneliese Meier della Fondazione Alexander von Humboldt. È anche presidentessa, dal 2012, della Bezalel Academy of Arts and Design, accademia di belle arti del proprio paese.
49.ibidem
50.bidem, Illouz si riferisce al saggio di Peter Beinarts, “The Failure of the American Jewish Establishment”, New York Review of Books (10 giugno 2010), http://www.nybooks.com/articles/archives/2010/jun/10/failure-american-jewish-establishment/; e probabilmente anche al suo libro, The Crisis of Zionism (New York: Times Books, 2012).
51.ibidem
52.Illouz cita queste espressioni di un’altra rispettata autorità internazionale in tema di schiavitù, David Brion Davis, il quale cita Patterson nel proprio libro Inhuman Bondage: The Rise and Fall of Slavery in the New World (New York: Oxford University Press, 2006). Il libro di Orlando Patterson include lo studio classico Slavery and Social Death: A Comparative Study (Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press, 1982).
53.Illouz, “47 years a slave.”
54. ibidem
55. ibidem
56. ibidem
57. ibidem
58. I due paragrafi seguenti sono estrappolati dal mio saggio, “Desperate Imaginings: Rhetoric and Ideology of the ‘New Antisemitism’”, in Antisemitism Real and Imagined, p. 231.
59. Marwan Bishara, Palestine/Israel: Peace or Apartheid (2001; seconda edizione, Londra e New York: Zed Books, 2002), p. 4.
60.Jimmy Carter, Palestine: Peace Not Apartheid (2006; New York: Simon & Schuster, 2007); vedi anche “Canada’s withholding funds from Palestinians ‘criminal’: Carter”, CBC News (9 dicembre 2006), http://www.cbca/ca/canada/story/2006/12/08/carter-israel.html; e Shulamit Aloni, “Yes, There is Apartheid in Israel”, CounterPunch (8 gennaio 2007), http://www.counterpunch.org/aloni01082007.html. Aloni è anche autore di Demokratia ba’azikim [Democracy or Ethnocracy] (Tel Aviv: Am Oved, 2010).
61.Henry Siegman, “Imposing Middle East Peace”, The Nation (7 gennaio 2010), http://www.thenation.com/doc/20100125/siegman.
62.Jason Kunin, “Freedom to Teach, Freedom of Speech: Israel-Palestine”, in Antisemitism Real and Imagined, pp. 58-59 n. 2.
63.Middle East Project of the Democracy and Governance Programme, Occupation, Colonialism, Apartheid? A re-assessment of Israel’s practices in the occupied Palestinian territories under international law (Cape Town: Human Sciences Research Council of South Africa, maggio 2009), pp. 302; disponibile su http://www.electronicintifada.net/files/090608-hsrc.pdf.
64.Citato da Ronnie Kasrils, “Sour Oranges and the Sweet Taste of Freedom”, in Audrea Lim, The Case for Sanctions Against Israel (Londra e New York: Verso, 2012), p. 109 (citazione dell’arcivescovo Desmond Tutu, “Realizing God’s Dream for the Holy Land”, Boston Globe [26 ottobre 2007]). Vedi anche “Palestinian ‘humiliation’ by Israel reminds Tutu of apartheid”, Mail & Guardian (10 marzo 2014), http://www.mg.co.za/article/2014-03-10-palestinian-humiliation-by-israel-reminds-tutu-of-apartheid.
65.“Trascrizione del seminario di Naomi Klein a Ramallah”, BDS Movement (10 luglio 2009), http://www.bdsmovement.net/2009/transcript-of-naomi-klein-lecture-in-ramallah-465; citata da Ken Loach, Rebecca O’Brien e Paul Laverty, “Looking for Eric, Melbourne Festival, and the Cultural Boycott”, in Lim, The Case for Sanctions Against Israel, p. 200.
66.Ronnie Kasrils, “Sour Oranges…”, in Lim, The Case for Sanctions Against Israel, pp. 109-110.
67.Jake Lynch, “Coalition plans to punish those who boycott Israel”, The Drum Opinion (Australian Broadcasting Corporation), (25 giugno 2013). La sezione rilevante della Convenzione internazionale sulla soppressione e punizione del crimine di apartheid è l’articolo IV: “I paesi che aderiscono alla presente Convenzione s’impegnano a: (a) adottare qualunque misura legislativa necessaria a sopprimere e prevenire ogni incoraggiamento al crimine di apartheid e a simili politiche segregazionistiche o loro manifestazioni e di punire le persone colpevoli di tale crimine…”. Il testo è disponibile su http://www.oas.org/dil/1973%20International%20Convention%20on%20the%20Suppression%20and%20Punishment%20of%20the%20Crime%20of%20Apartheid.pdf.


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