Per quanto riguarda i crimini di guerra compiuti dai soldati italiani, l'attenzione della procura militare sarebbe focalizzata su un episodio particolarmente efferato: la strage di 150 civili greci uccisi per rappresaglia il 16 febbraio 1943 a Domenikon. Nei pressi di questo villaggio della Tessaglia, un attacco dei partigiani greci contro un convoglio italiano aveva provocato la morte di nove militari. Come reazione, il generale Cesare Benelli, ordinò una rappresaglia secondo l'esempio nazista: centinaia di soldati circondarono il villaggio, rastrellarono la popolazione e catturarono più di 150 uomini dai 14 agli 80 anni, tenendoli in ostaggio fino a che, durante la notte, li fucilarono. Quello di Domenikon, purtroppo, non restò un caso isolato: altre località della Tessaglia e della Grecia interna furono teatro di eccidi e repressioni da parte dei militari italiani, secondo il principio per cui, per annientare i partigiani bisognava colpire le comunità locali.
Dopo quello che finalmente, in anni recenti, si è cominciato a raccontare sulla colonizzazione italiana del nord Africa, nonostante le tante reticenze e i silenzi di convenienza che pure permangono, sarebbe ora che si cominciasse a fare piena luce anche sui crimini compiuti dagli italiani contro la popolazione civile nei Balcani durante la seconda guerra mondiale. Oltre che una doverosa opera di verità storica e di almeno parziale riparazione nei confronti delle tante vittime innocenti dell'occupazione italiana, sarebbe anche un modo per restituire dignità agli altri soldati italiani, quelli che non ebbero altra colpa se non quella di essere mandati al macello sulle montagne balcaniche da un regime assassino e da una monarchia imbelle. C'era “brava gente” anche tra gli italiani: basta non chiudere gli occhi davanti alle verità scomode.