Tutti insieme, quindi, con le firme apposte una dietro l'altra che non possono non impressionare: da Confindustria a Cgil, Cisl, e Ugl (la Uil ha prima aderito e poi ritirato la firma); dalle Banche (con Abi) all'unione delle Cooperative italiane (Confcooperative, Lega Cooperative, Agci); dalla rete delle Imprese (Confcommercio, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confesercenti e Confapi) agli agricoltori con Cia, Coldiretti e Confagricoltura. A sostegno di una iniziativa ampia che nasce, secondo fonti a loro vicine, da un colloquio telefonico avuto in mattinata tra il leader delle banche Giuseppe Mussari e la presidente degli industriali Emma Marcegaglia. E che nel primo pomeriggio ha coinvolto i leader dei sindacati. Un giro frenetico di consultazioni capace di coagulare in poche ore il consenso attorno a una piattaforma altamente qualificata e rappresentativa.
Perchè di fronte a un "Paese depresso", come lo ha definito il segretario generale della Cgil Susanna Camusso in una intervista rilasciata a Repubblica, occorre una reazione forte e consapevole. Nell'auspicio che lo spirito collettivo delle parti sociali possa essere da esempio per un esecutivo "immobile, incapace di comprendere il disagio diffuso e perennemente occupato in altre faccende". La nota, diffusa al termine di un'altra giornata nera per le contrattazioni in borsa, è frutto di una mediazione fra posizioni più rigide ed altre più concilianti, ma evidenzia in modo inequivocabile la diffusa preoccupazione per un quadro socio-economico sempre più precario.
L'Italia, insomma, è a un punto di non ritorno. Mentre da un lato c'è un quadro politico e istituzionale segnato da accese contrapposizioni e fortemente disunito, dall'altro c'è il Paese esposto alla speculazione dei mercati finanziari, con le famiglie e le imprese oppresse da un debito pubblico che, se non corretto efficacemente, è destinato a schiacciare l'economia nazionale nell'arco di un ventennio. Per questa ragione, sottolinea dal suo canto il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni sul Corriere, si chiede alla politica di non sottrarsi al patto su vicende che riguardano il presente e il futuro della collettività.
I ripetuti casi di corruzione che stanno investendo la stessa politica, assieme alla gravità della crisi sociale ed economica, indicano che siamo in una situazione molto simile, se non addirittura peggiore, a quella dei primi anni '90. Il rigore, da solo, non basta a scongiurare il baratro ma occorrono segnali evidenti di volontà al sacrificio innanzitutto da parte del governo, mai come in questo momento chiamato ad attuare misure tese a ridurre i costi della "casta". Gli appelli del resto, secondo molti osservatori, devono superare la valenza simbolica e farsi carico, oltre che dell'esigenza di pungolare le istituzioni, del vero e proprio moto di ribellione che sta attraversando la società italiana.
Quella società fatta di pensionati, lavoratori, risparmiatori, imprenditori, disoccupati in sofferenza che pretendono un cambiamento urgente e radicale di classe dirigente e una più adeguata tutela dei propri diritti, come dimostrerebbe il nuovo e inatteso impeto di partecipazione civile registratosi agli appuntamenti elettorali della scorsa primavera. Tanto che, fra gli elementi di "novità" e di "discontinuità" rilevabili nella nota unitaria delle parti sociali, non passa inosservato come, forse in modo inusuale e al di fuori dei consunti tecnicismi, si tenga conto delle attese del Paese reale. Attese rese più impellenti dai dati snocciolati di continuo dai vari istituti di indagine e analisi demoscopica.
Come quelli diffusi qualche giorno fa da Demopolis per conto di Famiglia Cristiana, dai quali emerge con netta brutalità che in Italia la classe media non esiste più. Si è trasformata nella schiera vastissima di cosiddetti "nuovi poveri" di cui si sente continuamente parlare negli approfondimenti dei media. Secondo la ricerca, il 45% degli italiani considera peggiorata, negli ultimi tre anni, la situazione economica della propria famiglia a fronte degli appena 7 cittadini su 100 che ritengono invece migliorato, nello stesso periodo, il proprio tenore di vita. La rapida e progressiva estensione dell'area di indigenza ha investito soprattutto le famiglie monoreddito (residenti prevalentemente al Sud), gli anziani con pensioni minime o sociali, i nuclei familiari numerosi a reddito fisso. Molto deboli risultano anche i disoccupati e le giovani famiglie, spesso con un lavoro precario e senza immobili di proprietà.
Circa il 60% degli intervistati ammette di dover fare molte rinunce in determinati periodi dell'anno, di faticare a raggiungere la quarta settimana del mese e di dover ricorrere spesso a risparmi o a prestiti per far fronte alle spese quotidiane. In proposito, l'indagine dimostra che quasi un terzo degli italiani oggi vive "in rosso" (una famiglia su dieci), avendo un mutuo o qualche debito nei confronti di parenti, banche o finanziarie. La perdurante crisi che investe l'economia ha modificato anche le abitudini di consumo. Il 55% afferma di aver ridimensionato le spese per il tempo libero ed i pasti fuori casa; il 52% va alla ricerca di punti vendita più economici per l'abbigliamento o di beni in saldo; il 46%, infine, acquista prodotti alimentari in discount.
I numeri di Demopolis trovano conferme in un dossier appena realizzato dalla CGIA di Mestre, che avverte: "Se entro il 30 settembre del 2013 non sarà approvato il disegno di legge di riforma del fisco, i tagli alle agevolazioni fiscali sanciti dal governo con la manovra correttiva approvata due settimane fa si aggireranno, a regime, intorno al 20%". Il calcolo è stato fatto esaminando le riduzioni voce per voce, e secondo la proiezione rischiamo di ritrovarci con 11 miliardi di euro di tasse in più rispetto alle proiezioni del Tesoro.
Anche la Coldiretti, fra i firmatari della nota comune delle parti sociali rivolta al governo, ha elaborato un rapporto sulla base dei dati diffusi da Istat sullo stato di salute delle famiglie italiane. Da cui emerge che per effetto degli aumenti delle tariffe energetiche, la nostra spesa per trasporti, combustibili ed elettricità ha ormai superato quella per gli alimentari. Su 2.453 euro spesi mensilmente da ogni famiglia, infatti, ben 471 (pari al 19,2%), vengono destinati a bollette e carburante, mentre 467 (il 19%) all'alimentazione. Un litro di benzina alla pompa costa più di un litro di latte fresco o di un chilo di pasta: un'anomalia non più sopportabile.
Tutto questo - crisi economica, disagio sociale, pressione fiscale, alto costo della vita, sprechi della politica - si consuma mentre nel Belpaese continuano a dilagare il malcostume (a livello pubblico come nel privato) e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel sottobosco politico e istituzionale. Il giro di affari prodotto dalla corruzione equivale a oltre 60 miliardi di euro ogni anno e coinvolge tutti i cittadini, neonati compresi, costretti a versare una tassa occulta e vergognosa di 1.000 euro all'anno. Lo ha spiegato in un recente incontro pubblico il procuratore di Torino Giancarlo Caselli, citando dati ufficiali messi a disposizione nientemeno che dalla presidenza del consiglio. Numeri spaventosi. Come è spaventoso e fosco l'orizzonte che ci attende se non saremo all'altezza (cittadini, imprese, istituzioni) di mettere da parte le ataviche differenziazioni per marciare uniti verso un obiettivo comune: la salvezza dell'Italia.
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