Crisi e riconciliazione in Siria: incontro con Madre Agnès-Mariam

Creato il 11 agosto 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Il 25 luglio scorso ha avuto luogo a Roma, presso la sala della Chiesa Metodista di Via Firenze, un incontro aperto al pubblico con suor Agnès-Mariam de la Croix, carmelitana e superiora del monastero Deir Mar Yocoub (San Giacomo mutilato) di Qara, località siriana del distretto di Homs. Madre Agnès-Mariam, cresciuta in Libano e di padre palestinese, è in Siria dal 1994, presso la comunità monastica da lei stessa co-fondata.

In questi mesi di destabilizzazione e violenze subìte dalla Siria e della sua popolazione, madre Agnès-Mariam si è impegnata attivamente nel fornire sostegno umanitario alle vittime delle violenze che insanguinano il paese, nel denunciare episodi di violenza spesso ignorati dalla stampa internazionale e, più in generale, nel portare una testimonianza ben diversa da quella del mainstream su quella che è stata salutata come “primavera siriana”. Proprio per questo è da pensare che la voce di suor Agnès-Mariam non abbia avuto spazio sulla grande stampa occidentale, fatte salve alcune felici eccezioni quali il Los Angeles Times e Der Spiegel; la sua stessa testimonianza e visita in Italia è stata di fatto limitata quasi esclusivamente ad alcuni media cattolici quali SIR e Radio Vaticana, nonostante il costante spazio dedicato di questi tempi alla crisi siriana.

Nell’incontro a Roma, la madre superiora ha esordito ricordando il carattere intrinsecamente pluri-etnico e multi-confessionale della Siria, in una tradizione di convivenza etnico-religiosa che affonda le radici in millenni di storia del paese. Per suor Agnès-Mariam, se la Siria ha potuto conoscere nella sua storia recente una vita civile basata sul reciproco rispetto e la convivenza etnico-confessionale, ciò è dovuto ad un patto profondamente radicato nel tessuto sociale del paese. Senz’altro la mano dura del regime ha contribuito non poco alla stabilità e alla sicurezza della convivenza civile ma – sottolinea la religiosa – il patto sociale non è frutto del regime, bensì è esso stesso che permette al regime di sopravvivere. La lettura della crisi che da più di un anno sconvolge e insanguina la Siria parte dalle considerazioni di cui sopra, per arrivare alla constatazione del fatto che grandi potenze straniere cercano di rovesciare l’establishment siriano mirando a minare proprio un simile patto di pacifica convivenza.

Al riguardo, siamo stati abituati per mesi a considerare i fatti di Siria come una unilaterale e sanguinaria repressione da parte del governo a danno di pacifici manifestanti in lotta per la democrazia. Solo a partire da alcuni mesi i media occidentali hanno cominciato a far cenno alla realtà di una guerra civile nel paese, ravvivata dalla fornitura dall’estero di ingenti quantitativi di armi ai ribelli, nonché dall’ampia presenza fra le fila di questi ultimi di combattenti stranieri legati a realtà di jihadismo e/o mercenariato. Ciononostante, l’atteggiamento nei confronti delle parti in conflitto continua ad essere quello della demonizzazione unilaterale del regime. Suor Agnès-Mariam, invece, sin dall’inizio delle rivolte ha denunciato le violenze ed i pericoli derivanti dall’impatto destabilizzatore di ‘ribelli’ armati operanti nel paese in cui vive. Ne ha denunciato il carattere spesso radicalmente confessionale, di matrice islamista, che non può che far crollare – se venisse a prevalere – quella pace civile cui si è fatto riferimento. In ciò, la preoccupazione delle comunità cristiane è particolarmente sviluppata e la madre superiora ricorda al riguardo quei numerosi e crescenti casi di cristiani che hanno abbandonato le proprie case, spesso lasciando definitivamente la Siria, per timore di subire gravi violenze, come ne sono già accadute a danno di civili – cristiani e non – e di cui la suora è stata diretta testimone: scene di ospedali pieni di feriti spesso colpiti da ignote bande di armati, così come l’atteggiamento intimidatorio di antigovernativi che impediscono alle persone appartenenti ai più svariati settori del tessuto sociale (dai medici ai panificatori) di esercitare la propria professione se sospetti di ‘collaborazionismo’, portando ad un corto circuito nella vita del paese.

Suor Agnès-Mariam ha sin dall’inizio denunciato a tal proposito un uso profondamente distorto dell’informazione a livello internazionale, un’informazione che, afferma la suora, anche sulla questione siriana contribuisce a creare un pensiero unico ed omologato nell’intero globo. A titolo di esempio ha riportato le parole di una giornalista italiana che le ha confidato di non poter riportare tutto quanto visto in Siria, perché non sarebbe stato accettato dalla sua redazione. Numerosi casi di informazione falsa o quantomeno ambigua e distorta potrebbero riportarsi; fra questi la relatrice fa riferimento al tragico massacro di Houla, spesso attribuito con estrema leggerezza dai media alle forze governative, nonostante le vittime dello stesso fossero sostenitori del governo di Assad o loro familiari e – aggiungiamo – finanche certe eccezioni della stampa occidentale abbiano infine rilevato enormi anomalie nell’attribuzione di responsabilità del massacro ai governativi; si veda al riguardo l’interessante rapporto della nota testata tedesca FAZ.

Il problema dell’ingerenza delle potenze straniere ha in ogni caso costituito un filo conduttore importante dell’intero incontro e sotto diverse prospettive la relatrice ha considerato l’importanza dell’autodeterminazione dei popoli, spingendosi anche ad un esempio limite: per quanto il leader della Corea del Nord possa risultarci inviso, gode di certo consenso presso il suo popolo e dovrà essere il popolo stesso a decidere dell’assetto politico del proprio paese. Senza contare che – tornando al caso siriano – l’ingerenza straniera assume tinte a dir poco paradossali, giacché non sono solo i paesi occidentali a farsi ivi portavoce di istanze di democrazia e libertà: assieme a questi spiccano i principali rappresentanti di quelle ‘petro-monarchie’ del Golfo (Arabia Saudita e Qatar in testa) che non riconoscono al loro interno alcun serio diritto di partecipazione democratica e dove la stessa libertà religiosa – tema evidentemente caro alla madre superiora – è tenuta in nulla considerazione, potendo in questi luoghi la stessa esposizione di un crocifisso, ad esempio, costituire atto gravemente perseguito sul piano legale.

Finanche gli strumenti di apparente autodeterminazione, artificialmente creati dai paesi ostili all’establishment siriano, risultano visibilmente fallaci e non rappresentativi del popolo. Suor Mariam-Agnès fa notare come larga parte del noto Consiglio Nazionale Siriano sia composto da siriani che vivono lontano dal proprio paese da decenni, e per questo spesso non sono considerati voce effettivamente rappresentativa nemmeno da quei siriani residenti nel proprio paese che pure vorrebbero un netto cambiamento politico. In questa grave situazione di crisi interna ed internazionale, la madre superiora interviene non semplicemente descrivendo la crisi in forma diversa e più lucida di quanto riportato dai media nostrani, ma anche mostrando aspetti propositivi di risoluzione della crisi stessa. Il più grande tentativo pacifico partito dal basso al riguardo è quello di Mussalaha (“riconciliazione”); un movimento civile per il quale il governo ha anche istituito un apposito dicastero ma che nasce e si sviluppa dalla società civile e cerca di includere tutte le parti coinvolte nella crisi politica che – qualunque sia la propria posizione nei confronti del governo – vogliano seriamente impegnarsi in una riconciliazione nazionale e rifiutino in ogni caso l’uso della violenza.

Ascoltando Agnès-Mariam, ed anche fruendo di suoi precedenti interventi, ci si rende conto di come la visione della suora sia di ampio respiro e di come le sue idee di armonia ed integrazione civile non siano limitate alla realtà siriana ma coinvolgano l’intero Vicino Oriente e cerchino in esso uno spazio importante per la vita non facile delle comunità cristiane ivi presenti. Anche a questo riguardo le posizioni della suora sono ben lontane dalle convenzioni nostrane: come mostra in un’interessante intervista di diversi mesi fa fattale da Thierry Meyssan, suor Agnès-Mariam denuncia senza mezzi termini le ingerenze e prepotenze occidentali nell’area, le quali con gli sconvolgimenti generali del 2011 hanno trovato nuova linfa e che in ogni caso hanno sempre pesantemente danneggiato la vita stessa delle comunità cristiane orientali, oltre che il processo di tutte le popolazioni dell’area verso l’autodeterminazione. E’ invece notevole lo sforzo intellettuale e umano della madre superiora nel valorizzare i cristiani orientali come elemento profondamente costitutivo della realtà antropologica del Vicino Oriente; un elemento che – di là da difficoltà anche forti di convivenza – deve rifuggire da tentazioni di autoesclusione ed isolamento nell’area ed invece continuare a fornire il proprio grande contributo in termini di accoglienza, sviluppo umano e culturale che ha dato nei secoli passati. Non quindi la tentazione di riscoprirsi gruppo umano a sé stante, come ad esempio il caso della ricerca di un’origine fenicia o cananea da parte di alcuni cristiani libanesi durante la guerra nel proprio paese, bensì la riscoperta di un’identità araba che possa essere valorizzata come sintesi del superamento delle divisioni confessionali e come argine di separazione fra appartenenza religiosa e vita politica. La suora tende a considerare in termini – diremmo – ottimistici l’incontro storico dei cristiani con l’affermatasi religione islamica nell’area e nel parlare della situazione siriana attuale non ha fatto a meno di ricordare esperienze come quella del governo degli Omayyadi, entro il quale gli stessi cristiani poterono trovare dignità di partecipazione civile, anche ai più alti livelli della vita politica ed intellettuale.

Ma, tornando all’attualità politica, la suora ha dovuto evidentemente parlare a più riprese del Baath, la forza politica che guida la Siria da decenni. Madre Agnès-Mariam pone in evidenza come il Baath sia una forza animata da spirito laico, spesso finanche laicista da parte di alcuni suoi esponenti e che, in quanto tale, supera la divisione confessionale presente nel paese. Restano radicate in Siria forme evidenti di discriminazione dei cristiani sul piano legale e sociale (es: formale impossibilità di conversione dall’Islam al cristianesimo, assenza di sussidi a ministri di culto cristiani a differenza che per gli imam, etc.), le quali però vengono spesso attenuate proprio dal partito al potere.

La suora poi, laddove sollecitata nel dibattito ad esprimere un parere sul futuro della Siria, a fronte delle forti pressioni –anche economiche – internazionali, ha fatto menzione del modello economico-sociale di tipo socialista che ha caratterizzato l’agire politico del Baath e che ha anche portato a garantire al paese un regime economico autarchico, capace di autonomo approvvigionamento per i bisogni fondamentali e quindi in grado di resistere all’isolamento economico e diplomatico condotto dai paesi ostili. Chiaramente gioca un ruolo fondamentale, nell’opposizione a cambiamenti etero-indotti, la volontà ‘dal basso’ della popolazione di resistere all’azione destabilizzatrice di forze armate antigovernative; una simile determinazione è emersa, secondo suor Agnès-Mariam, anche nei recenti scontri a Damasco e non vi sono dubbi che la stessa cosa si stia verificando adesso che le violenze vanno concentrandosi ad Aleppo, città nella quale non vi sono stati in questi mesi alcuni seri segnali di insofferenza verso l’establishment al potere e che proprio per questo, però, potrebbe più duramente essere soggetta ad arbitrarie violenze sui civili da parte degli ‘insorti’.

“Senza verità non c’è libertà”, una delle affermazioni conclusive dell’intervento della relatrice, tesa a spiegare le ragioni del suo spendersi per il proprio paese d’adozione con la sua diretta testimonianza. Un impegno che vale ovviamente non solo per la Siria, ma per ogni tragedia umana collettiva, piccola o grande, commemorata o ignorata. Proprio per evidenziare il valore universale di simile impegno, la madre superiora ricorda che non esiste solo la tragedia del popolo ebraico nella II guerra mondiale, per la quale non può non esservi profondo rispetto e compassione, ma l’eccezionalità e l’unicità con le quali questa viene percepita in Occidente – grazie anche ad un forte impatto mediatico – rischiano di lasciare dimenticate tragedie storiche quali ad esempio quella degli armeni ad opera turca o dei kulaki ucraini negli anni ’30. Nella realtà attuale diventa dunque importante cercare con coraggio la verità dei fatti in realtà di sofferenza come quella che affligge da decenni il popolo palestinese o la crisi che attualmente insanguina la Siria e che rischia di far precipitare il paese in un baratro.


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