Magazine Opinioni
IL GIUDIZIO FINALE
p. José M. Castillo, teologo
Giovedì 6 settembre 2012
Stiamo vivendo e sopportando due fatti che stanno sotto gli occhi di tutti: la crisi economica e la corruzione etica.
D’altra parte, oramai nessuno dubita che questi due fatti sono profondamente connessi l’uno con l’altro. La crisi economica, che stiamo soffrendo, è stata causata dalla cupidigia smisurata e dalla sfacciataggine dei grandi gestori dell’economia e della politica, con la collaborazione attiva o il permissivismo di noi, che abbiamo vissuto e sfruttato ad un livello di vita, che per noi è stato possibile, con il presupposto di sprofondare milioni di esseri umani nella miseria e nella morte.
Questa situazione caotica dà molto a pensare. Tra le altre cose, mi continua a frullare nella testa il fatto evidente che una notevole quantità dei responsabili (in un modo o nell’altro) della crisi dicono di essere credenti, cristiani, persone, quindi, che professano la nostra fede (quale che sia) in Gesù e nel suo Vangelo. E questo è quello che mi fa pensare di più. Perché?
Perché il Vangelo afferma, con la massima chiarezza, che nessuno si potrà sottrarre al giudizio definitivo ed ultimo di Dio (Mt 25,31‐46). Certo, ognuno è libero di credere o non credere in quest’argomento. Io non pretendo in questo caso di convincere nessuno. Né intimorire. Né tanto meno minacciare. Chi sono io per far questo? Non voglio essere, né sembrare, un predicatore dei tempi antichi. Al contrario. Quello che voglio affermare molto chiaramente è che il giudizio finale, così come lo presenta Gesù, è la cosa più liberante e sconcertante che sicuramente possiamo immaginare. Perché la sentenza definitiva ed ultima, che Dio pronuncerà, sui popoli e sulle persone, non sarà motivata dalla fede che ognuno ha o non ha avuto, né dalle pratiche religiose che ha osservato o ha smesso di osservarle, nemmeno si terrà conto della relazione con Dio che ognuno ha accettato o rifiutato. Evidentemente, secondo il Vangelo, nulla di tutto ciò interessa (in ultima istanza) al Dio di Gesù.
Cos’è, allora, l’unica cosa che resterà? Molto semplice: la relazione che ognuno ha avuto o non ha avuto con gli altri. A questo si riferisce Mt 25,35‐36: “avevo fame e
mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto; ero nudo e mi avete vestito; malato e mi avete visitato; in carcere e siete venuti a visitarmi”. E Gesù spiega perché ci sarà tale giudizio su tale condotta: “Quello che avete fatto ad uno di questi….lo avete fatto a me” (Mt 25,40).
Dio non è come noi lo immaginiamo. Né come lo spiegano molti preti. Dio non sta in cielo. Dio sta qui, tra gli ammalati, gli immigrati, i disoccupati, i senza casa, quelli che non arrivano a fine mese, quelli che si vedono privati dei propri diritti, i carcerati, i disperati…e che nessuno mi venga a dire che è figlio fedele della Chiesa o cose simili. Tutto ciò, nell’ora della verità, servirà nella misura – e solo nella misura – in cui ci ha reso più umani e più sensibili al dolore di quelli che soffrono. Questa è la mia religione. E questa è la mia politica. Per questo mi chiedo se non abbiamo più né religione e politica. E l’unica cosa che resta è la sfacciataggine.
Traduzione di Lorenzo TOMMASELLI
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