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Crisi economico finanziaria: la critica al PIL non diventa propositiva

Creato il 27 settembre 2011 da Elvio Ciccardini @articolando

Crisi economico finanziaria: la critica al PIL non diventa propositivaUno dei momenti più alti della quasi recente politica americana segna la data del 18 Marzo 1968. Quando, per la prima volta, il capitalismo viene messo in discussione, ancor prima di affermarsi e vincere la propria partita con il comunismo.

A pronunciarne il fallimento, seppur non esplicitamente, fu Robert Kennedy che, all’Università del Kansas, mise in evidenza l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Tre mesi dopo venne ucciso durante la campagna elettorale che lo avrebbe probabilmente portato a divenire Presidente degli Stati Uniti d’America…

Memorabili furono queste sue affermazioni: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.

La ricerca della felicità è un principio storico per gli USA, espresso anche nella Dichiarazione di indipendenza dei tredici Stati Uniti d’America del 4 Luglio 1776 che include, tra gli inalienabili diritti dell’uomo, la “pursuit of happiness”.

Come si possa misurare o quantificare lo stato di felicità o di benessere di una nazione è impresa ardua. Diverse sono state le metodologie adottate nel campo della ricerca economico sociale. Tuttavia, nella denuncia dei mali del capitalismo, il superamento del sistema di misurazione chiamato PIL è una questione tanto aperta quanto trascurata.

Oggi siamo ossessionati dai mercati, che reagiscono a stime relative all’andamento del PIL e di altre variabili, tra cui l’occupazione. Si aspetta una ripresa dell’economia, che sarà sancita solo quando il PIL ritornerà a crescere in maniera significativa. L’attuale crisi è specchio del fallimento di un sistema che si basa esclusivamente su una tendenza “la crescita” che si misura a sua volta con un unico termometro “il PIL”.

Quando cercheremo altre soluzioni alternative alla ricerca disperata di una crescita non sostenibile ed inizieremo ad indossare altri “occhiali” per vedere e interpretare le nostre economie, allora, forse, scopriremmo che la via per la ripresa non sarà la crescita stessa, ma una utilizzazione più razionale delle risorse.

In fondo, il PIL non è altro che la risultante di una sommatoria di utilità individuali che non determinano il benessere collettivo.



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