Padri separati, lavoratori licenziati, pensionati che non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Il disagio sociale frutto della crisi ha il loro volto, quello dei “nuovi poveri” che finiscono in strada, nella solitudine. A tracciare il profilo dei senzatetto, che “è cambiato tantissimo in questi ultimi anni”, è Antonio Mumolo, presidente dell’associazione Avvocato di strada, intervistato dall’Adnkronos.
(jobsnews.it)
La trasformazione dei “nuovi poveri” dal 1993 ai giorni nostri. “Nel ’93, quando abbiamo iniziato con l’associazione Amici di Piazza Grande, la persona che era in strada nella stragrande maggioranza dei casi aveva problemi di salute. C’erano persone con problemi di tossicodipendenza, alcolismo e psichici, oltre alla povertà – spiega Mumolo all’Adnkronos -. Oggi non è più così, la fisionomia è completamente cambiata. Adesso in strada troviamo sempre di più padri separati, lavoratori licenziati o che hanno perso il lavoro perché la ditta è fallita e non riescono a trovare un altro lavoro, artigiani che non hanno ricevuto dei pagamenti e hanno perso tutto, imprenditori falliti, pensionati che con la pensione minima non riescono più a pagare le bollette e vengono sfrattati, e alla fine finiscono in strada. La nuova tipologia è questa, i ‘nuovi poveri’”. Tra l’altro, sottolinea, “con difficoltà anche ad aiutarli, perché sono persone che non avrebbero mai pensato di finire in strada, di doversi trovare a fare la fila per un posto in dormitorio o di dover mangiare qualcosa alla mensa dei poveri. Sono tutte persone che si vergognano di quella situazione, che purtroppo può capitare a chiunque, e non riescono ad accettarla”. L’avvocato sfata anche il mito che quella del clochard sia una scelta di vita. “E’ una leggenda metropolitana – dice -. In tutti questi anni non ho mai incontrato una persona che dicesse di essere contento di essere in strada”. Stando al censimento della Fiopsd, Federazione Italiana Organismi per le persone senza dimora, secondo i dati della Caritas, riferisce Mumolo, le persone attualmente in strada potrebbero “essere 70-90 mila per difetto, una buona metà italiani, l’altra stranieri”. In questi censimenti diventa però difficile avere dati certi perché, ad esempio, “gli stranieri senza permesso di soggiorno certamente non vanno in dormitorio” osserva il legale. Antonio Mumolo racconta la storia dell’associazione Avvocato di strada. “L’idea è partita all’interno di un’altra associazione di volontariato che si chiama Amici di Piazza Grande, nata nel 1993, di cui sono socio fondatore. Da qui è nato il primo giornale in Europa distribuito da persone senza dimora, è nata una compagnia teatrale, la Fraternal Compagnia – regista un ragazzo che era in dormitorio – che l’anno scorso ha organizzato una sua stagione teatrale. Poi – prosegue – abbiamo organizzato un bicicentro, con un artigiano in pensione che ha insegnato ai ragazzi in dormitorio un mestiere, quello di riparare le biciclette. Abbiamo inoltre attrezzato una sartoria con un corso per insegnare il mestiere di cucire. Dunque una serie di attività tra cui anche un servizio mobile di strada. Io mi occupavo di questioni legali ma anche di andare in giro la sera – racconta Mumolo – e siccome le persone in strada sapevano che facevo l’avvocato mi chiedevano consulenze giuridiche. Così è nata l’idea di una tutela giuridica gratuita e organizzata per le persone senza dimora. Ne ho parlato con un po’ di colleghi, ne ho convinta una, dopodiché abbiamo presentato il progetto a Bologna nel dicembre 2000 e a gennaio abbiamo iniziato in due”. In breve “sono arrivati altri volontari e abbiamo pensato di andare ‘verso’ le persone che sono in strada, non aspettarle all’interno dell’associazione, quindi di andare a riceverle anche nelle mense e nei dormitori, dove le persone sono talmente sfiduciate che non chiedono aiuto. Molte persone le abbiamo fatte uscire dalla strada” sottolinea il presidente Mumolo. Perché questo accada “spesso ci vuole proprio l’aiuto di un legale”. Di qui l’esperienza è stata replicata in altre città italiane e oggi gli avvocati di strada sono presenti in 38 città, con due sportelli a Roma e Milano. “Siamo oltre 700 avvocati volontari” spiega Mumolo, ma ci sono anche “praticanti, pensionati che aiutano nei lavori di segreteria, studenti che danno una mano nella gestione del sito, nelle ricerche oppure nelle attività di accompagnamento e di accoglienza”. Sono lo studio legale più grande d’Italia e anche quello che fattura di meno. “La nostra associazione – chiarisce – non è una onlus normale, dove il socio può anche trarre qualche utilità. Noi abbiamo scelto di costituire una OdV, organizzazione di volontariato, dove il socio non può percepire nessun tipo di utilità. Gli avvocati rinunciano a ogni tipo di emolumento. Noi ci sosteniamo partecipando ai bandi delle fondazioni pubbliche e private, con autofinanziamento, tessere associative” e se si vince una causa le spese vanno dentro il bilancio dell’associazione. “Per fortuna noi non abbiamo bisogno di tanti soldi – dice sorridendo Mumolo – A un avvocato bastano un tavolo, due sedie e un codice in mano”. Le richieste di assistenza legale nel civile riguardano soprattutto la residenza. “E’ una questione fondamentale per ogni persona che vive in strada – sottolinea l’avvocato – E’ la differenza tra l’essere un soggetto assolutamente invisibile ed essere un cittadino, perché purtroppo chi finisce in strada perde la residenza e quindi perde anche la carta d’identità”. Senza residenza e carta di identità si perdono una serie di diritti fondamentali, rimarca Mumolo: “Non si ha diritto alla salute, niente medico di base, niente cure. Non si può lavorare, quindi si è condannati a rimanere in strada. Senza residenza si perdono i diritti politici, i diritti previdenziali e anche il diritto alla difesa. Per avere il gratuito patrocinio infatti serve la residenza”. ”Questo è uno dei problemi più grossi che incontriamo ogni anno – spiega ancora – La legge dice che la residenza è dovuta a ogni cittadino italiano, che il comune la deve dare per forza, che se la persona non vive in un dormitorio bisogna dargliela in una via fittizia, però i comuni non la danno e noi dobbiamo fare le cause”. A Roma c’è via Modesta Valenti, a Bologna via Mariano Tuccella, entrambe dedicate a due senzatetto. Ma perché tanta resistenza da parte dei comuni? “Pensano che se danno la residenza a una persona povera dopo sono soggetti a più spese – risponde il legale – perché dopo di quella persona se ne devono occupare i servizi sociali, se è residente può fare domanda per un alloggio nelle case popolari. Insomma, essendo residente ha i diritti di cittadino”. E poi ci sono tutte le questioni relative all’amministrativo, “dai permessi di soggiorno alle multe sull’autobus”. Quanto al penale, quelli commessi dai senzatetto sono “piccoli reati, come piccoli furti” dice l’avvocato. Che sottolinea: “Se si guardano i vari report annuali si vede che nel maggior numero di casi che abbiamo affrontato la persona senza dimora è vittima del reato. Quello che viene fuori, anche attraverso i media, è sempre la punta dell’iceberg: i pestaggi a sangue, la persona sulla panchina cosparsa di benzina e data alle fiamme. Ma ogni giorno le persone senza dimora vengono insultate, offese, spintonate, qualcuno denuncia e qualcuno no”. Dietro c’è un problema “anche culturale – conclude Mumolo – ormai c’è chi ritiene che essere poveri sia una colpa da espiare e di conseguenza si sente autorizzato alla violenza”. (ADNKRONOS)