Le valute dei due Paesi sono ormai vittime di anni di tassi di cambio fissati contro il dollaro a livelli irrealistici e la crisi valutaria è alle porte.
In America Latina è crisi valutaria per due tra le più importanti economie dell’area: parliamo di Argentina e Venezuela.
La seconda economia del Sud America sta abbandonando progressivamente la politica di sostegno del peso da parte della Banca Centrale, tanto che in sole tre settimane la valuta ha perso il 19% contro il dollaro ed in una sola seduta è passata da un tasso di cambio di 7,10 ad uno di 8,01 contro il biglietto verde. Nulla in confronto al mercato nero, dove un dollaro viene scambiato ormai contro 12 pesos.
La stessa crisi valutaria sta accadendo in Venezuela, dove il tasso di cambio è ancora fisso a 6,3 bolivar per dollaro dopo essere stato svalutato dal precedente 4,3 un anno fa, ma sul mercato nero si ha un tasso prossimo a 79 bolivar contro un dollaro, circa 12 volte e mezza tanto.
Per cercare di frenare il forte deflusso dei capitali e per distribuire dollari ad un’economia che non riesce ad importare più beni dall’estero, per l’esiguità di valuta straniera a riserva, il Governo ha dato il via giorni fa alla prima delle varie aste Sicad che si terranno durante l’anno e che dovranno far fluire alle società di importazione fino a 5 miliardi di dollari. Un’unita della divisa statunitense è stata scambiata contro 11,36 bolivar, di fatto svalutando quest’ultimo del 44% rispetto al tasso ufficiale.
Ma è da ritenere che né le Sicad a Caracas né le pur ampie oscillazioni a Buenos Aires riusciranno ad evitare una vera e propria crisi valutaria. Questo per via dell’inflazione fuori controllo in entrambi i Paesi (56,4% in Venezuela e 30% circa in Argentina) e per il forte deflusso dei capitali, conseguenza anche delle politiche dirigiste e poco inclini ad accogliere investimenti stranieri da parte dei due Governi.
Alla base dell’inflazione, in entrambi i casi, ci sono i prezzi politici imposti dalle autorità alle imprese ed ai commercianti su un ampio paniere di beni che disincentivano la vendita e la stessa produzione, di fatto scatenando paradossalmente un aumento dei prezzi per via dell’offerta esigua. In più, anche la politica generosa dei sussidi ai beni di consumo produce distorsioni e preme sulla domanda, rendendo il mercato poco funzionante.
