Probabilmente avrete pensato che nei miei articoli e nel mio blog i 150 anni dell’Unità di Italia sono passati inosservati. In realtà volevo scrivere qualcosa di diverso, qualcosa di meno retorico, che vi colpisse di più delle solite trite e ritrite.
Abbiamo sentito la storia di Garibaldi in tutte le salse, le vicende di Vittorio Emanuele II a cui ogni città italiana, anche la più minuscola, ha dedicato vie e piazze innalzando stendardi scultorei in suo onore. Giustissimo, re della patria, fautore del sogno di un’Italia, una e unita, uguale da Nord a Sud. E le donne? Quale ruolo hanno avuto all’interno di questo periodo storico così movimentato da una politica attiva? Sappiamo di Anita Garibaldi che cuciva il tricolore e le giubbe rosse, ma non possiamo relegare le donne all’ago e il filo.
C’è una donna che la storia ha quasi dimenticato, una donna coraggiosa, stoica, lontana da quegli ideali aristocratici che si addicevano all’ambiente in cui era nata. Cristina Trivulzio di Belgioioso, classe 1808. Principessa milanese, colta e aggraziata in sposa ad un truce Enrico di Belgioioso, uno scialacquatore di soldi e di tempo. Ricettacolo di una quantità inimmaginabile di malattie veneree era un uomo debole di spirito che troverà pena in chiunque.
Cristina nacque in una Milano accentrata dal potere degli austriaci, la Milano dai salotti repubblicani, la Milano di Alessandro Manzoni che priverà alla principessa di recarsi al feretro di sua madre Giulia Beccaria. Erano grandi amiche ma il bigottismo dello scrittore non poteva tollerare l’assoluta emancipazione di questa donna così autorevole in una città blindata dal maschilismo e dall’intellettualismo.
Donne così ce ne sono ancora e ce ne saranno ancora, lo speriamo. Non se ne parla spesso di Cristina per il semplice fatto che è una donna e all’epoca bisognava far parlare di sé per i modi aristocratici, per le toilettes più esclusive, non certo per una cultura vastissima e per un approccio al mondo politico sanguigno.
Difficile riassumere in un articolo così breve tutta la vita di questa donna che sacrificò il suo tempo, i suoi interessi non per ricamare pizzi e merletti ma a instaurare un rapporto profondo con i rivoluzionari, a intessere le tele della difesa patriottica. Milano nel 1848 insorge con le cinque giornate, lei si informa, scrive e diventa redattrice di giornali di propaganda. Soccorre i feriti, diventa infermiera e nel suo palazzo a Locate Triulzi allestisce una sorta di comune con i contadini che lavoravano i suoi campi, aprì le scuole anche femminili e si interessava alle vicende delle persone più umili, lontana da salotti aristocratici presso cui aveva perso troppo tempo.
Era bella, di pelle candidissima, pareva un fantasma, ed è così che riesce a farsi ritrarre dal celebre Francesco Hayez, con quel suo carisma eccentrico diventa immortale attraverso la tela.
Visita Parigi dove si accerchia di studiosi, filosi, artisti e storici, a Napoli salperà con la nave carica di rivoluzionari votati alla Repubblica, scriverà lettere incandescenti alla sua grande amica deliberando sentenze e giudizi contro tutti coloro che non si occupavano di politica, incendiava di passione qualunque cosa. Ardeva di spirito patriottico, scriveva a Garibaldi e festeggiò quel 17 marzo 1861 nonostante fosse stanca e dolorante.
Si rifugiò a Locate, lavorando a varie pubblicazioni accolte come fossero testi satanici perché tutti erano vittime dello stereotipo della donna domestica, paziente e poco scaltra, l’opposto di Cristina sempre in prima linea sui problemi del paese, sulla religione e sullo scontro rivoluzionario contro gli austriaci. Era una combattente, una militante capace di tener testa ad un esercito di uomini.
Diversa da un’altra donna celebre, vistosa e dedita alla vanità. La contessa Castiglione, una cugina di Cavour assoldata per sedurre Napoleone III di Francia e convincerlo a sostenere l’Italia in caso di una dichiarazione di guerra da parte dell’Austria. La donna più bella del mondo, sfacciata e seducente. Alla comparsa delle prime rughe si stabilì nel suo palazzo di La Spezia lasciando i salotti della mondanità.
Cristina, più riservata, invecchiò assaporando il gusto di un’Italia libera dagli austriaci, dedita alla scrittura e al giornalismo. Fu la prima donna giornalista, la prima vera dama del risorgimento, capace di uno spirito patriottico e sovversivo nonostante non abbandonasse gioielli e raffinatezze aristocratiche.
Si fece seppellire accanto ai contadini delle sue terre, accanto ai popolani, in un atto di libertà dell’individuo e di uguaglianza più che esplicita.
La vita di questa donna è da assaporare, gustare con rispetto e stima. La storia non può dimenticarsi di lei e delle sue vicende, ha sacrificato la sua esistenza per i suoi ideali. E sottoscrivo Arrigo Petacco, scrittore di una sua meravigliosa biografia, quando dice:
“Inutile dire che se la Belgioioso fosse stata un uomo avrebbe un monumento nelle piazze o quanto meno un busto al Pincio”.
Lorenzo Bises