Cristo è nei sofferenti /Testimonianza /Ottobre missionario

Creato il 04 ottobre 2013 da Marianna06

 

Victoria (il cognome  qui poco importa se non laggiù, nel suo villaggio, quando arriverà la ferale notizia) era tra le centinaia di disperati, che hanno trovato la morte a poche miglia dall’isola di Lampedusa, la notte scorsa.

Uomini e donne, tutti, che avevano concepito l’ingenuo sogno di potersi costruire un avvenire in un altrove, che non fosse connotato di miseria e di sopraffazione.

Certo le modalità non erano le più ortodosse ma, quando sei disperato e braccato, anche a casa tua, non fai molti distinguo e cogli al volo la prima occasione, che ti si presenta.

Specie poi , se hai qualche risparmio da parte, e puoi permetterti,  nei limiti, di sfidare la sorte.

Questo è quello che ha fatto la giovane e bella Victoria,  una ciadiana esile, meno di vent’anni, con un passato recente da vivandiera e /o prostituta  nell’esercito di ribelli ,che combattevano e predavano, che non è molto, un po’ tutti i villaggi rurali e le cittadine dell’Africa sub-sahariana.

Già vedova, due figli piccoli affidati a sua madre, un bel giorno ha dato fiducia ad un personaggio senza scrupoli, un mercante di carne umana, che le ha estorto, senza troppi complimenti, del denaro e l’ha caricata con altri su di camion sgangherato.

Un viaggio infernale  attraverso chilometri e chilometri di deserto e di zone assolutamente povere e disabitate, soffrendo fame, sete e sonno, fino a giungere stremati sulle coste nord  del continente.

Proprio come si legge in certe cronache dei giornali al giorno d’oggi.

Victoria non era sola in questa impresa. Il racconto, infatti, ce lo fa un’amica, una coetanea con cui aveva scelto di condividere l’avventura, che è riuscita,  pure mal ridotta e ferita, a salvarsi.

Giunte all’imbarco,presumibilmente  a Tangeri - dice Terry - ci sono stati chiesti altri denari. Tanti, in verità. Troppi. Per noi  proprio gli ultimi.

E, subito dopo, siamo andati in gruppo su di una spiaggia, dove c’era altra gente accampata in attesa che sopraggiungesse il buio.

Con il buio, urlavano quei ceffi che chiamavano gli  scafisti , la partenza sarebbe stata agevole e tutto sarebbe filato liscio come l’olio.

Durante il percorso nel deserto- continua Terry - l’uomo che accompagnava l’autista, in una delle tante soste notturne, sbronzo di troppa birra, aveva preteso addirittura di appartarsi con Victoria.

E lei, la poverina, si era difesa, come aveva potuto, ma l’uomo,  a suon di sberle e di calci, l’aveva sopraffatta.

Victoria era stata contagiata, a suo tempo, dal marito e un triste giorno, al consultorio, si era scoperta niente di meno che malata di aids.

E le cose non erano andate certo meglio per lei durante la permanenza coatta ma breve tra i ribelli.

Dopo la fuga, però, era riuscita a fare appena in tempo a curarsi.

Prima grazie a un guaritore del suo villaggio, e poi a un bravo dottore, che periodicamente le somministrava dei farmaci durante le visite di routine che,all’interno di un programma alimentare, egli faceva per controllare i bambini del posto.

Da allora in avanti – puntualizza l’amica – a Victoria era ritornato il sorriso e con esso la voglia prepotente di concepire la speranza di una vita nuova e differente.

Per sé e per i suoi bambini. Bambini che, come ripeteva spesso, parlando ad alta voce,  fatta fortuna, l’avrebbero raggiunta in Europa e avrebbero potuto studiare come i figli dei veri signori. I bianchi.

Nel tragitto per mare- prosegue Terry – sul serio abbiamo visto i sorci verdi per la paura,  specie quando le onde entravano violente nella barca e c’inzuppavamo tutti.

Ma l’obiettivo da centrare  era molto più importante e tenevamo duro e ci facevamo coraggio  gli uni con gli altri.

Ecco adesso cos’è rimasto del “nostro coraggio, della “nostra” troppo ingenua sfida.

Un numero incredibile di corpi senza vita, alcuni dei quali  irreperibili. E che mai, quasi certamente, avranno  una degna sepoltura.

E con essi c’è anche la “mia” amica Victoria- conclude Terry.

Come in un filmato- aggiunge- ora mi passano dinanzi agli occhi tutte le sofferenze del “nostro” maledetto viaggio e, soprattutto, mi ritornano  alla memoria le parole speranzose della mia amica, naufragate impietosamente con lei e con gli altri come lei. Come me. 

Perché scampare  alla sofferenza, il tentativo di fuggire la povertà morale e materiale, che non hai scelto tu, per gente come noi,checché ne pensino gli altri, è la realtà d’ogni attimo, d’ogni ora, d’ogni giorno.

E la fierezza, che da noi traspare,  è la risposta, l’unica - ci grida Terry nel mentre si allontana - che possiamo riuscire a concepire solo se pensiamo all’Uomo dei dolori, il Nazareno, che ha vinto la morte, per  se stesso e per tutti noi, accettando la Croce, in obbedienza al Padre.

   Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


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