Critica alla critica: Die Hard – Vivere o morire (1997)

Creato il 07 dicembre 2011 da Soloparolesparse

Die hard – vivere o morire di Lev Wiseman è al centro del nuovo appuntamento di Critica alla critica, come sempre ad opera di Evit.

“Qualche anno fa aveva giurato che non avrebbe più incarnato personaggi violenti impegnati a salvare il mondo; e invece eccolo qua, in ‘Die Hard – Vivere o morire’, per la quarta volta dal 1988 nei panni dell’ ispettore John McClane. Bruce Willis è il più espressivo cranio del cinema dopo quello teutonico di Erich von Stroheim. L’accostamento non è improprio perché Willis è nato nel ’55 da madre tedesca, Marlene, in una base militare Usa presso Kassel (questa critica ha proprio tutto). Nella tradizione ‘hard boiled’, ineffabile e sarcastico, questo paladino della giustizia è una possente macchina da combattimento alleggerita da un costante ricorso all’ ironia. I toni leggeri sono tuttavia contraddetti da momenti di furia improvvisa, quando il nostro parte all’attacco a testa bassa, senza badare al rischio. Stavolta però la novità è che l’eroe si prende un sacco di botte (è una novità?), gronda sangue (è una novità???) e ogni tanto negli scontri è messo kappaò (è una novità??? Non è mica un film di Steven Seagal) addirittura da una terribile femmina esperta di karaté (perchè, le femmine non possono metter KO John McClane?). Il dubbio che l’ormai stagionato McClane potrebbe non farcela a sconfiggere i nemici di turno (veramente è una caratteristica di ogni film di Die Hard, l’eroe che “ce la fa a stento”. In questo quarto film mi sembrava anzi un po’ fuori personaggio) rende più emozionanti i 138 minuti (troppi, ma si reggono senza noia) del film di Len Wiseman.” Repubblicano convinto, fra i pochi divi sostenitori della guerra in Iraq e amico di Bush (vabbè questo che c’entra col film adesso?), «Bruno» aspira alla successione del superfalco John Wayne (Bruno? Bruce corrisponde a Bruno? Lo scopro adesso anche se non credo proprio) e invoca metodi sbrigativi per far fuori i terroristi e i presunti antiamericani in generale. Ogni tanto però, sullo schermo come nella vita, il nostro si rivela troppo intelligente per credere che i problemi mondiali si risolveranno con il «grosso bastone» di cui parlava Teddy Roosevelt.” (la recensione sfocia e si perde in riferimenti storici)
(Tullio Kezich,’Corriere della Sera’, 26 ottobre 2007)


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