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Critica alla critica – Salvate il soldato Ryan (1998)

Creato il 12 ottobre 2011 da Soloparolesparse

Inizia oggi un lungo viaggio di Evit nel mondo di Steven Spielberg.
Cominciamo con Salvate il soldato Ryan.

Critica alla critica – Salvate il soldato Ryan (1998)

Trama

E’ il 6 giugno del 1944 e l’esercito americano si sta preparando a sbarcare sulla spiaggia di Omaha, in Normandia, per spezzare le ultime resistenze dei tedeschi (ultime non proprio ma insomma…). Mentre osserva la costa, il capitano Miller pensa che far superare ai suoi uomini questa prova sia la più grande sfida che ha dovuto affrontare nel corso di questa guerra (wow, questa è una trama o un’analisi del film? Tutto questo spiega quei 3 secondi di primo piano su Tom Hanks prima dello sbarco?). Quando lo sbarco, tra innumerevoli vittime, si chiude con successo, Miller riceve l’ordine di trovare il soldato Ryan che, rimasto l’ultimo dopo che è giunta la notizia della morte dei suoi tre fratelli su altri fronti di guerra, deve essere preso e rispedito a casa dalla madre (nel caso vi servisse conoscere tutti i retroscena della trama). Miller sceglie un gruppo di soldati e parte per questa missione oltre le linee nemiche. Ma questi soldati ad un certo punto cominciano a farsi delle domande: perché rischiare otto vite per salvarne una sola, perché Ryan è più importante di loro? Miller deve mantenere il gruppo compatto, ma di giorno in giorno le difficoltà aumentano. Il nemico incombe e, quando si arriva agli scontri a fuoco, il gruppo paga pesanti prezzi al fatto di essere indifeso. Ryan viene infine trovato ma capisce la situazione e rifiuta di lasciare i compagni. Intanto un nuovo assalto tedesco incombe. Il gruppo si prepara alla difesa della postazione ma stavolta la forza del nemico è soverchiante. Il capitano e altri soldati muoiono (Cazzo! Alla faccia dello spoiler). Oggi, passati oltre cinquant’anni, Ryan davanti alle tombe dei soldati, rivede quei giorni, ed è come se tutto fosse successo appena ieri.
(Cinematografo.it)

Critica

“Un film di guerra per parlare contro la guerra (più che altro contro i nazisti. Il film ha avuto l’effetto inverso di esaltare in qualche modo le azioni americane nel secondo conflitto mondiale più che parlare contro la guerra in generale. A stento lo definirei “contro la guerra”). Un film sulla realtà cruda, terribile, straziante della guerra senza finzioni o sottrazioni (si insomma se non consideriamo artifizi faziosi come il prigioniero tedesco che dopo essere stato liberato ritorna niente meno che A CAPO di un intero squadrone –ancora con i vestiti sbrindellati di quando era stato catturato – e accoltella letteralmente al cuore il soldato ebreo… ditemi voi se questo film è “senza finzioni o sottrazioni” ma risparmia l’altro soldato che era codardo ma non ebreo). Spielberg mette lo spettatore di fronte alla prova di sentirsi addosso la paura fisica degli spari e della morte incombente: questo nei trenta minuti iniziali di cinema puro (è puro perchè ci mette di fronte alla prova di sentirsi addosso la paura fisica degli spari? Opinabile). Poi altre due ore di immersione nel tunnel dello scontro bellico, nel buio dove annega la ragione e prevale la forza (una frase valida anche per i film di Emmerich dove la ragione annega). Il film è un grande racconto della memoria, un flashback nei sentimenti e nelle emozioni che il tempo non ha potuto cancellare. Spielberg, pur tra alcuni stereotipi tipicamente americani (ah adesso nota gli stereotipi? All’inizio della critica si parlava di “guerra senza finzioni o sottrazioni”), ricorda che la guerra ha un solo volto: quello della follia e dell’orrendo uccidersi reciprocamente (un messaggio però fortemente sbilanciato da una parte, per quanto comprensibile). In un clima antieroico, si dice con toni accorati che la guerra mai si presenta come giustificabile o dal volto umano. Film di denuncia quindi (adesso diventa addirittura di denuncia?), che si inserisce nel filone di nobile ispirazione civile che mette in scena la guerra per dirne contro, sulla scia di tanti altri esempi di storia del cinema.” (putroppo sono veramente pochi i film che mettono in scena la guerra per dirne contro, e questo a stento si può classificare tra i tali. In realtà ricade tra quelli che inscenano la guerra facendo finta d’esser contro la guerra mentre in realtà vanno volutamente a suscitare emozioni di eroismo e patriottismo verso una parte (gli americani) e vigliaccheria e cattiveria pura verso un’altra parte (i nazisti spielberghiani che accoltellano gli ebrei-americani al cuore). Un film sulla guerra contro la guerra è Orizzonti di Gloria –tanto per citare un po’ di cinema “puro”– e non certo Salvate il Soldato Ryan!))

(‘Segnalazioni cinematografiche’, vol. 126, 1998)


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