«Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Non fate troppi pettegolezzi». Sono le ultime parole di Cesare Pavese, ritrovate in seguito alla sua morte, avvenuta a Roma il 27 agosto 1950. Sono le stesse parole vergate da Giovanni Tolusso, prima di mettere fine alla sua vita in Cronaca di un suicidio di Gianni Biondillo, pubblicato da Guanda. In tempi di crisi, basta poco per vedersi recapitare a casa una maledetta cartella esattoriale. Il libro di Biondillo parla proprio di questo, di un uomo che, dopo una vita di duro lavoro e sacrifici, è riuscito a costruire un piccolo capitale, finché, un giorno, inizia il suo calvario economico, che lo porterà dritto al suicidio.
Quello che un tempo era un popolo di piccoli risparmiatori, oggi si è trasformato in una nazione di indebitati. Su Il Fatto Quotidiano del 3 giugno, spiccava la notizia: L'esattore della crisi fa il recupero feroce, poiché anche per gli “agenti della tutela del credito” i tempi sono diventati duri. Se nessuno ha più soldi per pagare le bollette, i mutui, i prestiti e via dicendo, è chiaro che non avrà nemmeno le somme da restituire all'esattore, il quale vede diminuire anche la sua provvigione. In quest'ottica, tali agenti sono costretti ad adottare il pugno di ferro, e pure qualche subdola astuzia, per racimolare del denaro. Il tormento è da entrambe le parti, poiché come sostenuto nel 2011 da Enrico Verra in Vite da recupero (citato sempre su Il Fatto), «i confini tra gli antagonisti cominciano a farsi opachi. Le occhiaie di un recuperatore stressato non sono lontane da quelle dell'operaio che non dorme la notte nel terrore che gli portino via la casa».
«Siamo tutti vittime e carnefici, tanto, prima o poi, gli altri siamo noi», cantava Umberto Tozzi. In un mondo dove non esistono più buoni e cattivi, diventa lecito domandarsi: quali potrebbero essere le conseguenze economiche e sociali in un paese di “cattivi pagatori”, sottoposti a una moderna (e disperata) forma d'Inquisizione?
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