Quella di Santiago Nasar è una morte annunciata fin dalle primissime righe, che esordiscono con una sentenza di peso quasi bi biblico: «Il giorno in cui l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5 e 30 del mattino per andare ad aspettare il battello con cui arrivava il vescovo». Un inizio semplicissimo, che porta il lettore a trovare più straordinario l'arrivo del vescovo del fatto stesso che, in quello stesso giorno, il protagonista del romanzo stia andando incontro alla morte.
Pablo e Pedro Vicario, i fratelli della novella sposa, sono pronti a fare di Santiago Nasar la vittima di un delitto d'onore affidandosi alle confessioni di Angela, di cui non è mai chiarita l'effettiva buona fede. Una volta che la macchina dell'assassinio si è messa in moto, però, non c'è modo di fermarla: a nulla valgono le visioni in sogno della madre di Santiago, a nulla serve che la voce del prossimo omicidio rimbalzi per ogni casa, piazza e negozio e che l'alcalde sequestri ai due fratelli i coltelli da macellai: per quanto l'allarme risuoni in ogni dove e sebbene gli amici di Santiago si muovano per soccorrerlo, l'inevitabile dovrà accadere e lo stesso protagonista è incapace di credere alle voci sul suo conto.
Mille indizi e mille vie di fuga si presentano a Santiago nelle pochissime pagine che compongono il racconto, eppure egli rimane vittima di una tragica fatalità, di un fraintendimento stesso dei segnali che raggiungono lui e i suoi cari, sicché si consuma, in apertura e in chiusura di ogni capitolo, il fatto preannunciato; da questo momento in poi García Márquez si sofferma sui particolari più cruenti e macabri del corpo martoriato di Santiago Nasar e sull'inettitudine di coloro che avrebbero dovuto evitare il peggio o, almeno, rispettare il suo corpo.
In Cronaca di una morte annunciata (1982), come in Cent'anni di solitudine, l'autore crea e popola un mondo sospeso fra il crudo realismo e tradizioni che rievocano passati pittoreschi, senza farci mancare i personaggi particolarissimi e minuziosamente caratterizzati cui ci aveva abituato col testo precedente, anche laddove si tratti di brevi e sporadiche apparizioni. Siamo in presenza di un racconto agile e denso che conferma la grande abilità narrativa dello scrittore sudamericano nello scandagliare i lati più fantasiosi e più torbidi egli esseri umani.
«Nel carcere di Riohacha, dove restarono tre anni in attesa di giudizio perché non avevano di che pagarsi la cauzione per la libertà condizionata, i reclusi di più lunga data li ricordavano per il loro buon carattere e la loro socievolezza, ma non ravvisarono mai in loro nessun indizio di pentimento. Nondimeno, tutto sembrava dimostrare che i fratelli Vicario non avevano fatto nulla di ciò che sarebbe stato utile per uccidere Santiago Nasar in maniera rapida e senza ostentazione pubblica, ma anzi fecero molto di più di ciò che era immaginabile perché qualcuno impedisse loro di ucciderlo, e non ci riuscirono.» [1]
C.M.
NOTE:
[1] Cit. pp.37-38.