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L'occhio torvo pareva quasi estraneo a quel corpo piccolo e ormai imbolsito dalla pinguedine, non più costretta dalle vesti da cerimonia, come se la mente vagasse, perduta nel labirinto dei rimpianti, della depressione per le occasioni perdute. Era dovuto scappare in fretta, dopo il crollo finanziario galattico; su tutto il pianeta erano esplose di colpo le contraddizioni che covavano sotto la cenere e l'incendio era dilagato in un attimo. Nelle grandi megalopoli sepolte sotto le immondizie, gli scontri tra bande si svolgevano nei cunicoli scavati sotto le discariche. Le centrali a merda si erano bloccate per mancanza di materia prima dato che dopo gli ultimi provvedimenti restrittivi che avevano portato le tasse dirette al 99,9 %, ognuno si purificava direttamente in casa anche questi scarti, assieme ai liquami, non appena prodotti, tanto per poter buttar giù qualcosa di caldo. Però la puzza era rimasta più o meno inalterata a causa dei cadaveri che marcivano per le strade, davanti alle piccole baracche dei cambisti. Ce n'era ormai uno per ogni gruppo di case, da quando ogni quartiere era tornato ad una propria moneta dopo la caduta del credito planetario.
Quando al governo era stata tolta la fiducia, assieme anche a molti organi non vitali, gli assalitori del palazzo erano andarti piuttosto per le spicce e gli onorevoli che non avevano fatto in tempo a filarsela dopo la votazione, erano finiti nelle banche degli organi, portati di peso dalla folla festante al grido di: "Te lo do io il vitalizio" scandito come un mantra sotto gli obiettivi di tutte le olocamere della galassia. Non era stato un bello spettacolo, ma Paularius se l'era filata via subito anche se tutti gli amici fidati lo avevano abbandonato per mettersi in salvo, quando avevano capito che l'impero stava crollando. Era riuscito a raggiungere la nave in fretta, mollando a terra concubine e lenoni, nani e ballerine della corte, solo e triste, inseguito dagli insulti irriconoscenti della folla che lo aveva inutilmente inseguito coi bastoni elettrici e le forche sequenziali. Abbandonato nel grande letto che aveva visto tante battaglie e tante bellezze calorose e cinguettanti, non aveva neppure voglia di dettare qualche illuminato proclama di addio, qualche monito per i posteri o meglio ancora qualche dichiarazione nobile e ferma che potesse preparare, chissà, un inopinato ritorno sul campo, non appena la folla bruta avesse sfogato i suoi bollori e si fosse potuto riprendere il controllo degli erogatori dell'ossigeno.
Nessuno dei vecchi amici a tenergli compagnia, erano spariti tutti appena incassati gli ultimi crediti, anche quella magnifica pluripopputa di Altair se l'era filata appena arrivata la conferma del bonifico. Eppure diceva di essere così innamorata! Eh, le femmine... Era solo, solo come un cane nella grande nave deserta. Un sorriso amaro gli deformò la bocca mostrando anche gli otto denti soprannumerari che si era fatto innestare per apparire più simpatico. Non era ancora finito, pensò, ci voleva tempo, bisognava lasciar passare la buriana. Appena si fossero azzerati tutti i conti, appena tutti si fossero abituati a nutrirsi solo dei propri escrementi e a distillare i liquami per dissetarsi, si poteva pensare al ritorno, magari con un bel programma nuovo, che so io, meno tasse per tutti e un milione di posti di lavoro. Funzionava sempre bene su tutti i pianeti e avrebbe funzionato di nuovo, tanto la gente ha la memoria corta. La nave fece una corta virata e si lanciò nell'iperspazio verso Capella. Una vacanzina al pianeta delle succhiatrici ci voleva proprio.
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