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Crosseyed heart: il ritorno di Keith Richards

Creato il 30 settembre 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Sugli scaffali dal 18 settembre, Crosseyed Heart è l’ultimo album solista di Keith Richards. Si conclude una pausa di 23 anni, iniziata dopo la pubblicazione di Main offender, durante la quale il celebre chitarrista dei Rolling Stones si è dedicato ad altri progetti.

“A big F**K YOU with a guitar”

Keith Richards è un uomo che non ha bisogno di presentazioni. Definito da Marc Maron “a big F**K YOU with a guitar”, il chitarrista dei Rolling Stones è una di quelle icone del rock senza le quali il genere non sarebbe lo stesso. Parallelamente al progetto delle pietre rotolanti, Richards ha portato avanti una carriera solista iniziata nel 1988 con la pubblicazione di Talk is cheap. Segue nel 1992 Main offender, ultima prova prima di una lunga pausa, interrotta solo dalla raccolta Vintage vinos del 2010 e conclusa con l’ultima fatica, Crosseyed heart, uscito per la EMI. I 23 anni tra il secondo ed il terzo lavoro non sono però certo passati a vuoto per il chitarrista inglese. Richards pubblica con gli Stones Voodoo lounge (1994), Bridges to Babylon (1997) e A bigger bang (2005). Nel 2010 esce Life, autobiografia di grande successo in cui il musicista racconta sè stesso e la propria vita. Ed è in questo periodo che iniziano le sessioni che porteranno alla nascita di Crosseyed heart. Una nascita avvenuta un po’ per caso, racconta Richards: l’intento, infatti, non era quello di entrare in studio e produrre un album dalla prima all’ultima traccia, quanto piuttosto quella di suonare e scrivere materiale con il semplice scopo di divertirsi, senza un progetto preciso in mente. Non ci sono scadenze, non ci sono obblighi, eppure il materiale cresce e, data la qualità, la scelta più naturale è proprio quella di trasformarlo in un concetto a tutto tondo, un vero e proprio disco.

Keith Richards

Photo credit: Dina Regine / Foter / CC BY-SA

Crosseyed heart: di identità ed influenze

Crosseyed heart sembra provenire dritto dritto dal cuore di Keith Richards perchè raduna in modo organico le passioni e le influenze che più l’hanno toccato nel corso della lunga carriera musicale. Troviamo il suo amore per la Jamaica nel reggae di Love overdue, mentre il blues, il country, il rock’n’roll e in generale la tradizione americana la fanno da padrone. Un esempio perfetto è Goodnight Irene, celebre canzone folk americana, registrata per la prima volta da Huddie “Lead Belly” Ledbetter e poi ripresa da grandi artisti quali Frank Sinatra. Richards si rifà direttamente a questa tradizione. Per la sua cover del celebre brano bisogna ringraziare, curiosamente, due individui, uno decisamente famoso, l’altro sconosciuto ai più: Tom Waits e Pierre de Beauport. È lo stesso Richards a raccontare l’episodio in una recente intervista: Tom Waits avrebbe regalato al chitarrista un libro su Lead Belly e, lo stesso giorno, il suo storico tecnico delle chitarre e consigliere, Pierre de Beauport, sarebbe giunto da lui con una chitarra a dodici corde. L’associazione è fatta: Richards capisce che deve suonare Goodnight Irene e che lo deve fare proprio con quello strumento. Il risultato è malinconico e rustico al punto giusto. Nell’album trova un posto anche il gospel, con i cori della bella Something for nothing cantati dall’Harlem Gospel Choir. Non è l’unica collaborazione: nella ballad Illusion spicca la voce di Norah Jones che, brillante ma profonda, si amalgama alla perfezione con il raschiare roco e rude di Richards. E le ballad sembrano occupare un posto speciale all’interno del disco, con Robbed blind, Suspicious, Just a gift e l’ottima chiusura Lover’s plea, oltre alla già citata Illusion, a testimonianza del grande amore di Richards per il genere (è stato lui stesso ad ammettere come all’interno dei Rolling Stones quest’amore fosse bilanciato dai gusti opposti di Mick Jagger, decisamente meno amante dei lenti). Sono momenti più intimi e riflessivi, durante i quali la voce rock’n’roll di Richards riesce ad adattarsi alla perfezione alle melodie senza perdere quella rudezza caratteristica che si sente esplodere nei pezzi più heavy.
Sotto questo punto di vista Crosseyed heart, posta come overture, pare una vera e propria dichiarazione di intenti. La chitarra e la voce cruda la fanno da padrone, in un blues onesto e diretto ispirato a Robert Johnson che porta l’ascoltatore in una sperduta cittadina americana. Dalla cittadina alla strada: la successiva Heartstopper è un rock’n’roll da asfalto cocente di una lunga highway soleggiata. Con il ritmo di Amnesia ci si avvicina maggiormente ai Rolling Stones, mentre Trouble (scelta come primo singolo) e Nothing on me, pur rimanendo buoni pezzi, sembrano avere meno mordente. Si recupera alla grande con la strepitosa Blues in the morning, una carica rock’n’roll con una chitarra sporca e per nulla raffinata, e con la bella Substantial damage. “Two guitars can sound like an orchestra, if you do it right”, ha dichiarato Richards ai microfoni di Marc Maron, e la carica di questo disco ne è la prova tangibile. Non si tratta solo di un album di qualità, ma di un album onesto, in cui Keith Richards si mette a nudo, ispirandosi e lasciandosi ispirare, senza attingere ad un solo genere. È un lavoro eclettico, aperto, senza frontiere, eppure esprime profondamente l’identità di Richards, la sua attitudine e la sua cattiveria, che nonostante gli anni non sono cambiate. Il suo rock puro ma contaminato, diretto ma mai banale, è la prova che, a quasi 72 anni, questa icona ha ancora qualcosa da dire. E molti, molti fan da fare ancheggiare al suono della sua chitarra.

Tags:album,blues,crosseyed heart,gospel,keith richards,musica,reggae,release,rock,rock'n'roll,Rolling Stones,tradizione americana

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