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Alla galleria Antonio Colombo, in via solferino a Milano, è aperta, dal 26 settembre fino al 14 novembre, la personale di El Gato Chimney dal nome "Crossroads". Dico la verità, io, El gato chimney, non sapevo nemmeno chi fosse. Un'amica durante un'interessante conversazione su facebook mi ha passato il link della pagina personale dell'artista e, dopo aver visto qualche immagine delle sue opere, mi sono convinto che se fossi riuscito ad andare a vedere la sua mostra a Milano sarebbe stata una bella cosa. Così è stato.
Partiamo dalle basi. Chi è El gato Chimney? Marco Campori, aka El Gato Chimney, nasce a Milano nel 1981 dove vive e lavora tutt'ora. Artista autodidatta, Chimney, inizia dalla strada avvicinandosi al mondo della Street Art e del writing nel pieno degli anni '90, successivamente la sua arte si evolve in senso più figurativo, esprimendosi nella creazione di posters, murales e stickers che si legano al tessuto urbano esplorando le potenzialità di supporti e materiali differenti. Negli ultimi anni le sue opere si fanno sempre più sofisticate e diventano il risultato di una profonda ricerca artistica in studio. I colori, i soggetti e i paesaggi che dapprima popolavano lo spazio cittadino diventano più complessi e vanno ad abitare la tela, dando vita a nuovi mondi surreali e misteriosi.
Le influenze artistiche e percettive di El gato Chimney sono molteplici. Sicuramente ci sono i graffiti, la street art e la cultura hip-hop (Doze Green è infatti uno dei suoi "maestri"), legati ai suoi esordi artistici, ma troviamo anche tanti altri riferimenti come: il folklore popolare, specialmente quello nordico, la cultura tribale, l'arte oceanica, l'esoterismo, il realismo magico, il fumetto, l'estetica steampunk e il surrealismo.
Le opere esposte in via Solferino si carattarizzano immediatamente alla vista per i colori, caldi e intensi, e per un tratto preciso e calligrafico. L'iconografia che l'artista ci propone è qualcosa di antico, che richiama le miniature e alcune illustrazioni di guerra medievali o spostamenti di comitive ecclesiatiche. Questa impressione viene resa attraverso figure irreali, chimeriche: piccoli uccellini antropomorfi, passerotti mascherati, scimmie vestite come sacerdoti, piccoli mostri coperti da abiti lunghi e cappe bianche, maschere primitive che celano chissà quali esseri. Processioni e migrazioni, rituali ancestrali, fanfare di personaggi grotteschi e surreali che attraversano luoghi metafisici caratterizzati da una strana calma onirica. Il filo conduttore della mostra sembra essere proprio il passaggio rituale espresso dallo stilema iconico del crocicchio, l'incrocio di tre strade della Dea Ecate, luogo dove convergono il giorno e la notte, il mondo dei vivi e quello sotteraneo dell'ade. Il visitatore è catapultato in un mondo dal significato enigmatico ed ermetico, davanti a noi si svolgono delle azioni, ci sono degli esseri che sembrano tendere verso qualcosa, ma noi possiamo solo cercare di interpretare questo tripudio di figure, andando a richiamare i nostri legami più profondi con la tradizione orale, i miti, la religione popolare, le credenze, le superstizioni e la commistione primordiale tra natura e cultura.
Nonostante i colori e l'aria folkloristica delle scene rappresentate, su di esse sembra aleggiare una strana senzazione di oblio e di morte, così come nelle opere di Bosh o dei fiamminghi, di cui El Gato Chimney sembra un parente stretto, sia dal punto di vista compositivo e tecnico, sia per la quantità di particolari che riesce ad imprimere sulla tela.
I cieli dei quadri meritano sicuramente una menzione particolare. L'autore, infatti, li divide sempre a metà con un'immaginaria linea retta che curva bruscamente in un'arcata siderale. Una dicotomia di incontro e repulsione tra una dimensione più chiara ed elettrica e una più plumbea e scura, forse il giorno e la notte, la vita e la morte, a nessuno è dato saperlo con precisione, sicuramente si ha l'impressione di essere di fronte ad un legame ancestrale dei contrari, qualcosa di creativo e di poietico, qualcosa alla base della stessa nascita dell'universo come ci diceva Eraclito, tanto tempo fa.
Questi incroci senza tempo diventano anche spazi per la dispersione di oggetti e simboli, come in un cassetto di cose dimenticate o una camera delle meraviglie. Chiavi, serrature, maschere, civette e numeri, un universo simbolico inaccessibile che trasforma ogni quadro in un rebus senza soluzione, quasi un feticcio dalla funzione apotropaica, giocando con la tradizione un immaginario misticheggiante. Oggetti comuni abbandonati per sempre o lasciati in attesa di qualcuno che assumono un'aria sacra ed eterna.
Concludendo, "Crossroads" è una mostra molto affascinante. Pur non contando tante opere, questa personale di El Gato Chimney, riesce a trasportare lo spettatore in un'altra dimensione dove folklore, leggende lontane, sogni e sacralità primitiva si fondono con un'estetica pop e surrealistica il tutto condito da uno stile pittorico che rimanda alla tradizione nordica e fiamminga. Una collisione di mondi e sensazioni davvero da sperimentare e possibilmente da non perdere.
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