Roma, Traffic.
Dopo aver lasciato inaspettatamente i Down, Kirk Windstein ha ben pensato di concentrarsi a tempo pieno sui Crowbar, il suo progetto principale, da anni “accantonato” per dare più spazio ad Anselmo e soci. Il gruppo di New Orleans, oltre a essere rientrato in studio per un nuovo disco, ha anche programmato un tour europeo, con due date italiane, a Roma e a Milano.
Questa sera al Traffic si comincia coi Sixtysix, formazione locale dedita ad un groove metal dalle tinte southern. Poi è la volta dei Southern Drinkstruction, band death n’ roll di queste parti, dove è molto popolare. Li avrò visti non so quante volte, ma ultimamente si sono concentrati sulle prossime uscite (uno split coi Carcharodon e credo anche un disco nuovo) e hanno più che dimezzato le apparizioni live. Il quartetto dal vivo sa come intrattenere l’audience, con circa mezzora di musica pesante. Il locale – mentre suonano – non è pienissimo, ma sono in molti quelli presenti sotto il palco per seguire la loro esibizione. Sono molto in forma: un concerto onesto, che diverte tutti per tutto l’arco della sua durata.
Dopo i Southern Drinkstruction tocca ai Monumental, band stoner milanese presente in entrambe le date coi Crowbar. Non sono male, tuttavia è ormai piuttosto facile reperire gruppi del genere. La loro performance sembra poco carica: di gente a vederli ce n’è un bel po’, però quello che propongono non è esattamente nelle mie corde. Non sono riusciti a colpirmi più di tanto.
Per quanto riguarda gli headliners di questa sera, il discorso è abbastanza complesso. Dal punto di vista della scaletta e dell’esecuzione dei pezzi, nulla da dire: setlist variabile, con diverso materiale nuovo ma con molto spazio anche per quello vecchio. L’unico problema è che Kirk Windstein fa un po’ fatica ad ingranare la marcia: la band, spesso a causa sua, non riesce a suonare due pezzi di fila senza fermarsi per accordare gli strumenti ogni volta, far partire un feedback e fare le corna al pubblico. Queste sono cose che riescono bene a pochissimi gruppi, forse solo a Eyehategod ed Electric Wizard, che di feedback ne hanno molti anche su disco. I Crowbar hanno invece un suono molto più “pulito” e definito, da loro uno non s’aspetta così tante pause di questo tipo. Questa pecca, da sola, basterebbe a squalificare del tutto il gruppo intero. Però, d’altro canto, “time out” a parte, i pezzi sono stati tutti eseguiti in maniera impeccabile, con massimi picchi su “High Rate Extinction”, “All I Hade I Gave” e “Planets Collide”. È veramente difficile rimanere delusi da una band di questo calibro, che – oltre a non capitare da anni nel nostro Paese – continua a suonare molto bene. Però magari la prossima volta fare cinque pezzi di fila non sarebbe male.
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