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Crowfunding: funziona?

Creato il 24 giugno 2013 da Cicciotopo1972 @tincazzi

Il crowfunding, ovvero “il processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza

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 il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni” in Italia non funziona molto bene. In sostanza un singolo o associazione o gruppo ha un progetto, mette la richiesta fondi su una piattaforma dedicata al crowfunding e pone un limite di tempo per la raccolta fondi. Scaduti i termini, se non si raggiunge la cifra proposta si devono restituire tutti i soldi donati.

Ma basta scorrere siti dedicati al crowfunding nostrano per mettersi a piangere empaticamente nei confronti di chi tenta di raccogliere fondi per realizzare i propri

progetti.  il sito crowdfunding-italia ne è un chiaro esempio. La totalità dei progetti terminati (13 su 13) rimane a zero fondi. Ovvero nessuno ha donato un euro. Sulla trentina ancora aperti almeno una quindicina si avviano verso il fallimento con zero finanziamenti e scadenza prossima mentre due soli hanno ricevuto finanziamenti di una certa entità e uno solo ha buone possibilità di arrivare al successo.

Nel crowfunding se non si raggiunge la meta prefissata, i soldi raccolti devono essere rimandati ai donatori.

Va meglio invece su Eppela con una sessantina di progetti finanziati anche di un

certo rilievo (sui 15mila euro) ma se si finisce nel settore giornalismo solo 4 dei progetti finanziati riguardano veramente il settore e uno in particolare, Giri di ruota,  è stato premitato per la sua originalità.

Nel 2010 venne lanciata anche una piattaforma dedicata al finanziamento del giornalismo dal basso: “Parte il progetto di Youcapital, la versione made in Italy del croudfunding di progetti giornalistici e nel settore dell’informazione che sta ottenendo importanti successi oltre oceano ed è considerata oramai uno dei possibili percorsi per finanziare il giornalismo del futuro” è scritto sul sito di Youcapital dal collega Vittorio Pasteris.

Un percorso morto e sepolto a quanto pare, visto che il sito è fermo da novembre 2011 e dei progetti proposti 4 su sei sono stati ritirati o non hanno raggiunto il quorum necessario. Le cifre erano anche modeste ma, evidentemente, credere in un reportage a scatola chiusa non è allettante per chi deve donare dei soldi.

Un altro sito, Pubblico bene si propone con un certo successo di finanziare “un nuovo modello di informazione indipendente, su base locale, ispirato al modello del community funded reporting“. 11 inchieste locali su 14 finanziate, con un massimo di 1021 euro. Il sito parla anche di pubblicazioni delle stesse,ma non si evince dove e quanto poi sia stato pagato il lavoro svolto. Andando sulla cronaca locale e conoscendo i prezzi si suppone poco o nulla.

Un altro giornalista, Andrea Marinelli, si muove negli Stati Uniti finanziato dai suoi lettori. Il suo secondo progetto, un itinerario in America parlando di omosessualità, ha raggiunto i 4mila euro richiesti, che verranno utilizzati per ‘per biglietti di treni e autobus, e magari per offrire una birra a chi generosamente mi ospiterà qualche notte sul proprio divano”. L’unico articolo pubblicato da Marinelli dall’inizio del suo viaggio il 9 maggio 2013, reperibile sul suo blog personale. Un po’ poco per pensare di vivere di giornalismo.

E una terza collega, Romina Vinci, sta lottando sempre su Kapipal per finanziare il suo progetto ‘Next stop Bolivia‘. Attualmente è al 42% dei duemila euro richiesti.

Insomma, il crowfunding non sembra essere ancora molto sviluppato in Italia e il finanziamento dal basso per quanto riguarda inchieste e reportage ancora meno. C’è poi una questione non indifferente da porre ai giornalisti che vengono finanziati per realizzare i loro lavori: quanto verrà poi pubblicato (e pagato) del lavoro svolto. Se mi finanzio grazie ai miei sostenitori è già un buon punto di partenza, ma ciò non basta però a portare a casa i soldi per vivere e per continuare a svolgere l’attività giornalistica in maniera professionale.

Insomma, non si può pensare di fare a vita gli hippie ‘on the road’.

I lavori fatti devono avere un rientro economico tale da giustificarne lo svolgimento e il tempo perso a realizzarli.


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