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Crudele non solo aprile

Creato il 11 luglio 2022 da Annalife @Annalisa
Aprile crudele e finale amaro

Due premesse: nelle solite classifiche dei soliti siti, assegno ‘solo’ tre stelle e mezzo perché nel frattempo ho letto il capitolo seguente che è ancora meglio di questo; e poi: questo è il secondo libro della serie “Factory” di Derek Raymond, nell’ordine in cui le avventure del sergente andrebbero lette. In realtà questo è il terzo che leggo (e ho già iniziato il quarto), perciò mi azzardo a qualche considerazione di ordine generale.
Intanto, sul fatto che mi sono trovata davanti a un giallo (o noir che dir si voglia) vicino al senso più tradizionale del termine: si tratta, questa volta, di una vera e propria indagine su un crimine efferato (su più crimini, alla fine). Non ci sono le lunghe registrazioni, o le pagine di un diario, o altro simile, che parlano con la voce della vittima e ci fanno penetrare nel suo passato più ancora che nelle pieghe del delitto e della ricerca dei colpevoli; e non ci sono nemmeno i duri o tristi ragionamenti sulla vita, l’universo e tutto quanto [cit] che rendono le pagine di Raymond una analisi lucida, a volte senza speranza, a volte senza pietà, della nostra esistenza.

Non che il sergente protagonista abbia cambiato modo di essere o di comportarsi: sempre irriverente con “la voce”, cioè con l’invisibile superiore che gli affida gli incarichi, gli tira le redini, sopporta le sue intemperanze e le sue pretese di indagine, che in fondo si riducono a una sola cosa: lasciatemi lavorare da solo e che nessuno mi rompa le palle; sempre scostante e antipatico con chiunque gli capiti a tiro e non goda delle sue simpatie (nella pratica, quasi tutti i colleghi ma, spiega lui “la mia non è mancanza di rispetto, ma di pazienza”); e tuttavia, questa volta è come se Raymond avesse deciso di puntare meno sulla riflessione filosofica e più sull’azione, sulla ricerca dei legami che si allargano e si intrecciano sempre più complessi, e sempre più simili a un racconto di spionaggio più che a un noir.

Nonostante quest’ultima annotazione, va detto che l’autore riesce come sempre ad arricchire le sue pagine con alcune taglienti definizioni o con qualche ritrattino cattivo sulla varia umanità che il protagonista incontra, e non sto parlando solo di delinquenti ma anche di impiegati, portieri, lo stesso Stato per il quale lavora (“Un impiegato qualsiasi sarebbe stato in grado di redigere [il rapporto] dai miei appunti, e con un computer si sarebbe anche potuto fare a meno dell’impiegato. Ma, lavorando per lo Stato, quello che conta è sempre il lavoro dello scribacchino”, e ancora: “I parlamentari, quel mucchio di politicanti dalla bugia facile, la maggior parte nemmeno convincenti”).
Allo stesso modo, Raymond non rinuncia a sottolineare i passaggi più difficili della vita del sergente, mosso a riflessione da ciò che incontra durante l’indagine e che gli fa un po’ da specchio sulla sua vita presente e anche passata: “Ci sono momenti, non so se capita a tutti, in cui il futuro mi appare al di là delle mie forze: un orrore insostenibile e nessuno da invocare in aiuto”, “Una volta che la giovinezza ci ha abbandonato, chiudendo gli occhi la notte i ricordi ci appaiono più chiari”; e adesso basta perché lascio il piacere di scoprire altre perle di saggezza e di tristezza nella pagine di questo libro.

Altra cosa che ho ritrovato, e che è collegato a quanto appena detto, sono i sogni, spesso incubi spaventosi, e i ricordi (“Mi ritrovai a pensare a quando ero bambino”) che ci permettono di ricostruire a poco a poco anche la vita precedente del sergente, che a volte sono anche belli e teneri, ma che poi si interrompono e si infrangono seccamente con la realtà dell’indagine. E, parallela all’indagine, corre l’inimicizia col tenente Bowman, prima solo accennata, ma qui sempre più definita e nitida.

Su tutti questi rimandi e ritorni, si costruisce il tentativo di incastrare il presunto colpevole, individuato (direbbero oggi gli esperti americani) tramite un lavoro da profiler (chi avrebbe potuto fare una roba del genere?, si chiede il sergente dopo la scoperta del delitto; si dà un po’ di risposte e poi comincia a cercare qualcuno che corrisponda alle risposte che si è dato). C’è anche da dire che si risponde in fretta, tanto è vero che al lettore potrebbe sembrare tutto troppo semplice, ma semplice non è l’avanzare dell’inchiesta, perché vi entrano nuovi personaggi, complicazioni, e così via, fino ad arrivare a una conclusione amarissima ma, forse proprio per questo, molto credibile. Da notare un’ultima cosa: il titolo – bellissimo – tratto dall’incipit di Terra desolata di T. S. Eliot (“Aprile è il più crudele di tutti i mesi. Genera lillà dalla terra morta, mescola memoria e desiderio, desta radici sopite con pioggia di primavera”) non è quello originale, che suona invece così: “The Devil’s home on leave”.

Derek Raymond
Aprile è il più crudele dei mesi
Meridiano Zero
14,40 euro


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