Cucchiere

Da Antonio

È identificato con il romantico – e pressochè introvabile – guidatore di carrozzelle. Ma molto prima, e per lungo tempo, è stato il protagonista dei trasporti napoletani. A lui era affidata la sicurezza e la velocità di movimento dei viaggiatori sugli Omnibus a quattro cavalli, sui tanti “fiacre” (anche i francesi hanno lasciato profonde tracce nella nostra lingua) destinati a un uso collettivo, su quei veicoli dalle alte ruote chiamati “corricoli” che diedero il titolo a un libro di Alessandro Dumas.
Il vetturino di piazza era detto “cucchiere ‘affitto”; quello a servizio privato “cucchiere appatrunato”. La diversità di rango si rifletteva evidentemente sull’abbigliamento: informale l’uno, con l’eterno accessorio della coppola; più pretenzioso l’altro. Il guidatore di un carro qualunque va detto invece “trainiere”.
Il cocchiere di carrozzella masticava qualche parola straniera, per il divertimento – più che per la comprensione – dei turisti. Ogni cliente aveva diritto al titolo di riguardo di “occellemza”. Il mantice serviva a riparare dalla pioggia e dal sole; anche dagli sguardi indiscreti, se i trasporti erano in coppia sospirosa.
Il tono ossequioso si estendeva ai pedoni invitati a farsi da parte, nell’eterno caos del traffico napoletano: «Nenna né, picceré, madà, cavaliè: scansateve». Nei racconti dei viaggiatori dell’800 sono frequenti le forzature sul carattere dei vetturini napoletani: avidi, linguacciuti, spericolati. Prima dell’avvento del tassametro, i Baedeker invitavano a definire fin nel minimo particolare il contratto di noleggio, per evitare sorprese amare alla fine della corsa. E l’inaffidabilità, l’aggressività del carattere sono testimonianze del modo di dire «mò te tratto à cucchiere ‘affitto», che suona come una minaccia. Nessuno ha mai disconosciuto, però, l’abilità dei cocchieri. Nei libri imbevuti di passato si cita spesso una frase adoperata da quei professionisti quando l’ingresso in un vicolo stretto provocava l’apprensione dei clienti: «Occellenza, basta ca ‘nc’è trasuta ‘a capa d’ ‘o cavallo ca ‘nc’ trasuta tutt’ ‘a carrozza».
Aneddoti, novelle, canzoni, poesie hanno colto mille e uno aspetto di questo mestiere, sotto l’angolazione più romantica. Vi proponiamo soltanto due versi di Ferdinando Russo, perché densi di una rassegnata umanità:
“Signò, chillo ‘o cavallo è bicchiariello,
capite? Affanna assai ‘nfaccia ‘a sagliuta”.
Gli ammalati di nostalgia possono cercare gli ultimi della specie sotto una lama di sole, soprattutto nelle località turistiche più pittoresche della Campania.



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