Tra mare e collina, quella fertile fascia di pianura che va da Ferrara a Rimini, passando per le province di Ravenna e Forlì Cesena, è tutt’un susseguirsi di campi coltivati, orti, vigneti e frutteti a perdita d’occhio, in primavera un tripudio di colori.
Frutta
E in tavola un’alta qualità (molte delle produzioni ortofrutticole vantano il marchio Igp): pesche, pere, nettarine, ciliegie, fragole, albicocche, kiwi, mele, susine, cocomeri, meloni, patate, pomodori, aglio, scalogno, asparagi, zucche e zucchine e, tipico del ferrarese, anche un ottimo riso. Le pinete e gli Appennini sono invece terre di funghi, di tartufi , di erbe spontanee e aromatiche che vengono impiegate nella cucina del territorio così come i frutti del bosco e del sottobosco: pinoli, castagne, more, mirtilli e lamponi. L’ultima nota per i viaggiatori del gusto riguarda i dolci, grande impegno per i pasticceri, grande gioia per gli assaggiatori.
Piadina
In Romagna il pane e la fragrante piadina, sicuramente sono la più classiche tra le specialità romagnole. La piada conserva le caratteristiche di quel pane azzimo che, per decine di secoli, prima e dopo Cristo, è stato il piatto base dell’alimentazione dei popoli del Mediterraneo. Pascoli l’ha definita: «il pane, anzi il cibo nazionale dei romagnoli». Ogni paese della Romagna ha la sua piada, con le tradizioni e le varianti locali, anche il nome varia da zona a zona: piê, pjida, pieda, pida. È una sfoglia rotonda di acqua, farina e sale, cotta sul testo di argilla o sulle piastre di ghisa; nei ristoranti viene servita per accompagnare le superbe grigliate di carne o di pesce, le verdure gratinate, gli umidi; i tipici chioschi a strisce colorate, diffusissimi in tutte le località della Riviera, la farciscono con salsiccia, salame, prosciutto, formaggio molle e da taglio, ed erbe cotte. Non mancano le proposte più fantasiose che hanno conquistato la gola di molti appassionati che la gustano con marmellate, miele, nutella, squacquerone e fichi caramellati.
Vino
Grande invenzione dell’uomo, il vino gode in Romagna di un sacro rispetto. Protetta dall’Appennino e mitigata dal mare, l’ampia zona collinare, compresa tra le province di Ravenna, Forlì Cesena e Rimini, grazie alla varietà dei terreni e ai vitigni acclimatati da secoli, vanta una gloriosa tradizione vitivinicola che, negli ultimi anni, ha conquistato, meritatamente, la ribalta nazionale e internazionale.
I vitigni più famosi sono il rosso Sangiovese (Sunguis Jovis, Sangue di Giove, il suo nome antico) e il bianco Trebbiano (Trebulanos lo chiamavano i Romani che lo introdussero in Romagna nel II secolo a.C.), i più diffusi sul territorio nazionale, padri maggioritari di molti vini di grande pregio. Gli altri vitigni peculiari del territorio sono l’Albana: il biondo nettare di Romagna, primo bianco in Italia ad ottenere la Docg; la Cagnina, vino rosso dolce o amabile, pronto da bere subito dopo la vendemmia e il Bombino Bianco, da cui si ricava il Pagadebit (paga debiti). Il nome curioso deriva dal fatto che, anche nelle annate sfavorevoli, i contadini romagnoli riuscissero a far fronte ai debiti con la produzione di questo vitigno forte e tenace, che resiste a qualsiasi condizione climatica.
Tenaci e resistenti sono anche i vitigni del Bosco Eliceo, la zona costiera tra Ferrara e Ravenna.
I terreni sui cui crescono le vigne sono caratterizzati da dune sabbiose, boschi di lecci, valli e
saline. I vini prodotti sono noti col nome di vini delle sabbie, dal carattere unico e dal gusto sapido, come di mare. Quattro sono i Doc del Bosco Eliceo, due bianchi: Sauvignon e Bianco del Bosco, e due rossi, Fortana e Merlot.
Una sintesi di tutta l’enologia del territorio si trovano nelle enoteca regionali e nelle stupende cantine nelle campagne romagnole dove sono in mostra, in vendita e in degustazione le migliori etichette Doc e Docg.
Le minestre
Bandiere gastronomiche della cucina locale, per minestre si intendono tutti i primi piatti, in brodo o asciutti, rigorosamente fatti a mano: quei piccoli oggetti del desiderio che a volte si presentano ripieni di formaggio, erbe, zucca, pesce, ricotta.
Si ottengono da un impasto di uova e farina lavorato a mano e tirato col mattarello fino a quando non diventa una morbida sfoglia rotonda, dorata, fine, senza rotture e lievemente rugosa per assorbire, come si deve, i condimenti; ne esiste anche una versione verde, che viene usata per le lasagne al forno, in questo caso all’impasto si aggiungono gli spinaci o le ortiche. La sfoglia viene tagliata in forme diverse a seconda della pasta che si vuole preparare: rombi, losanghe, dischetti, rettangoli, striscioline…a formare un’enorme legione di primi piatti che non trova riscontro in altre cucine regionali: tagliatelle, cappelletti, ravioli, tortelli, tagliolini, pappardelle, maltagliati, garganelli conditi in tantissimi modi, decine di salse, intingoli e ragù, di terra e di mare, che ne esaltano in maniera superba la bontà. A questa lunga lista di oggetti del desiderio vanno aggiunte altre due minestre, gli strozzapreti, che già nel nome rivelano il carattere anarchico dei romagnoli, striscioline di pasta fatta con acqua, farina e sale e poi arrotondate con le mani, e i passatelli: uova, parmigiano, pangrattato, odore di noce moscata e scorza di limone, che si lavorano con un apposito attrezzo; la tradizione li vuole in brodo di carne, meglio se cappone, come i cappelletti, ma sono deliziosi anche col brodo di pesce. Difficile decidere quale desiderio scegliere, anche perché gli chef mescolano con grande maestria il sapere tradizionale alle nuove tendenze gastronomiche, e allora sì che diventa veramente un peccato di gola.