E’ un post difficile quello che mi appresto a scrivere, poichè coinvolge una persona che ho conosciuto e che tante persone hanno sostenuto direttamente e indirettamente.
Nazifa una bambina afghana malata e affidata al Comandante della Protezione Civile dell’Emilia Romagna Roberto Faccani. In italia è stata curata, mandata a scuola, tanto che parla perfettamente italiano. Insomma, si è ambientata. Il suo viaggio della salvezza, però, non è ancora concluso, poichè il percorso che la porterà alla guarigione è lungo e difficile…
Nazifa è stata sostenuta da diverse associazioni, che le hanno dedicato anche progetti internazionali, per il suo paese, nella zona di Herat. L’OmpSi e la Confederazione Internazionale dei Cavalieri Crociati, ad esempio, da tempo, sostengono il progetto “una scuola per Nazifa”, rivolto a costruire un istituto di primo soccorso e formativo proprio nel suo villaggio. Questo attraverso forme di collaborazione civile e militare, poichè l’Afghanistan è un territorio difficile e ad alta conflittualità.
La nostra cultura la vorrebbe protetta, tutelata e messa nelle condizioni di poter crescere ed affermare la propria personalità negli anni. Nonostante il linfoma di Hodgkin. Al di là del Mediterraneo, in Afghanistan, le bambine di 14 anni raggiungono l’età delle nozze. E’ così che il padre la reclama, con la certezza che tutti gli sforzi fatti per migliorare il suo stato di salute siano vanificati. Fu proprio il padre ad affidarla alla cura del contingente italiano.
E’ evidente che la nostra cultura provi orrore per questa richiesta. Non è un caso che il legame familiare tra genitori e figli, elemento fondante dell’essere famiglia e della nostra società, è messo in discussione solo ed esclusivamente nel caso di incapacità genitoriale o di impossibilità della famiglia di provvedere alla propria prole. In questi casi noi ricorriamo all’affido o alle altre forme di assistenza sociale. Prima si tutelano i figli, perchè loro sono il futuro.
In Afghanistan esistono altri percorsi. La cultura vuole che le bambine siano promesse e date in matrimonio fin da piccole, ancor prima di essere sbocciate in donne e maturate come persone. La cultura vuole che tali matrimoni combinati siano regolati da una “dote”, che la famiglia del marito lascia a quella della futura moglie.
Queste differenze segnano distanze temporali che rimandano a viaggi nel tempo da fantascienza. La nostra stessa società contiene i geni di interessi e costruzioni familiari simili a quella afghana. Tuttavia, nei secoli, la struttura occidentale ha subito una profonda trasformazione, affermando i “diritti della persona”. Oggi imprenscindibili e indiscutibili.
Quando si parla di cultura di pace e di dialogo al positivo, la necessità di affrontare e risolvere queste problematiche è apicale, poichè nessuna società globale potrà nascere senza le fondamenta rappresentate dal diritto all’esistenza e all’autodeterminazione dell’individuo, all’interno delle diverse forme di aggregazione sociale.
Ed è con questo spirito che mi stringo con affetto a Nazifa, sperando che dal dialogo, non dallo scontro tra posizioni, si possa raggiungere l’unico fine nobile dell’uomo, favorire la conservazione, la crescita e l’emancipazione di altri uomini.