Aspettando il post.
Ieri mattina la mia migliore amica ha avuto una bimba altissima, che ha deciso di chiamare Marta, perchè spera, dandole un nome normale, che possa un giorno diventare una persona normale. Mi auguro a questo punto di non essere diventata quella che sono per il semplice motivo che mi chiamo Naima, che non è un nome normale.
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Mi avvicino ad un’età in cui di solito le donne diventano mamme, anzi, se fossi nata una ventina d’anni prima quell’età l’avrei già abbondantemente superata, ma siccome fortunatamente negli anni ’80 sono stati inventati i “bamboccioni” e le donne zitelle si sono gentilmente trasformate in “singles ma non per scelta”, riesco ancora a rientrare nel limite temporale massimo. Nella mia vita però mi è già capitato di incontrare donne più grandi di me che mi abbiano fatto pesare il fatto di non aver ancora messo al mondo una creatura a mia immagine e somiglianza, sostenendo la tesi che “presto sarei stata troppo vecchia per farlo”, “dopo quando lo vuoi non arriva più” o l’ancora più elegante “insomma non vorrai mica sembrare sua nonna”. Immagino la povera Gianna Nannini quante se ne sarà sentite dire, lei che ha aspettato Penelope per la modica cifra di 54 anni; io non ho mai pensato che lei volesse sembrare la nonna di sua figlia, semplicemente per tutti questi anni potrebbe essere stata molto indecisa sul da farsi. Esistono milioni di persone perennemente indecise, che non riescono a scegliere nulla: i gusti del gelato, il colore della cravatta, un film al cinema. La vita è fatta di scelte, e noi donne ne siamo l’esempio: noi passiamo la vita a scegliere se essere mamme o una creatura mostruosa che preferisce la carriera o qualsiasi altra cosa alla maternità. E’ così: se decidi che ancora non è il momento, se ritieni di non essere ancora abbastanza matura per poterti occupare di un bambino, se semplicemente il senso materno che tutte noi dovremmo avere, in te è leggermente più attenuato, allora non sei una vera donna: perchè una donna è completa solo se diventa mamma. Non posso quindi non domandarmi fino a che punto ci viene concesso di essere solo donne. Fino alla maturità? Al compimento dei 18 anni ci trasformiamo automaticamente in potenziali generatori di figli? Perchè la nostra società fatica ancora ad accettare la realizzazione personale di una donna che non sia strettamente collegata alla maternità? Perchè se affermo di volermi dedicare alla costruzione di un futuro lavorativo che mi gratifichi, immediatamente vengo etichettata come una donna arida, egoista, vuota, che pensa solo a se stessa? Mi capita di pensare allora che la mentalità delle persone è ancora ferma a quando la donna era poco più di una protesi del marito, utile solo per l’accudimento dei figli e la gestione domestica. La nostra società sta rallentando sempre di più i processi: ci vuole sempre più tempo per trovare un lavoro fisso, di conseguenza le tempistiche per ottenere un mutuo per acquistare una casa si prolungano all’inverosimile; far uscire dalla casa materna il proprio potenziale fidanzato, poi, è decisamente un’impresa titanica, che crea rallentamenti sul fronte di un presunto matrimonio che, se vogliamo che possa essere definito tale, necessita di almeno un anno di preparativi. Nel frattempo, che età abbiamo raggiunto? Trentadue, trentatrè anni? Troppi: è già ora di diventare madre, altrimenti scade il termine biologico. Ed ecco quindi che arrivano nove mesi durante i quali i datori di lavoro ti scansano come la peste; figuriamoci, già prima di rimanere incinta la domanda d’esordio di ogni eventuale colloquio di lavoro era: “ma lei non avrà mica intenzione di farsi una famiglia spero? No perchè in tal caso non possiamo certo permetterci di assumere una persona che dopo due mesi di lavoro si mette in maternità”. Le discriminazioni nei confronti delle donne non riusciremo mai ad abolirle definitivamente, soprattutto stando tra due fuochi: l’incombente peso della maternità da un lato per sentirsi donna a 360 gradi; il dovere di sposare la propria azienda rinunciando quindi ad ogni velleità di genitrice, dall’altro, per poter costruire una carriera lavorativa appagante. Se scegli la famiglia, tra il parto e il periodo successivo al parto, rischi di rimanere lontano dal posto di lavoro almeno un anno e mezzo, durante il quale una serie infinita di ventenni neolaureate ti avranno soffiato tutte le posizioni lavorative migliori, relegandoti al ruolo di segretaria 5° livello; se poi addirittura senti la necessità di cambiare lavoro per trovarne uno più costruttivo è finita: dopo essere diventata mamma, nessuno ti assumerà più, perchè sanno benissimo che tutte le volte che il tuo bambino avrà la febbre, tutte le volte che la baby sitter non sarà disponibile, tu chiederai un permesso e l’azienda questo non se lo può proprio permettere.
Morale della favola: è impossibile avere la botte piena e la moglie ubriaca: almeno nel notro Paese, sarai sempre costretta a scegliere. Nei paesi del nord Europa per esempio non è così: le madri lavoratrici hanno tantissime agevolazioni, quasi tutte le aziende sono dotate di strutture simili ad asili interni dove poter lasciare i propri figli durante l’orario lavorativo; di conseguenza quasi tutte le mamme scandinave sono donne giovani e in carriera.
E noi italiane? La scelta più giusta da fare, a mio avviso, è quella come sempre di optare per una situazione intermedia, tra la trentenne che si riduce a fare la madre rinunciando a tutti i suoi sogni di carriera, e la signora Nannini, che prima si è affermata come cantautrice e poi si è decisa a metter al mondo Penelope. Il Monica Bellucci Style, per esempio, è il giusto compromesso: lei infatti, ha dichiarato di essere diventata madre a quarant’anni perchè prima non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua vita da bohemienne; ora invece, si sente matura, responsabile e molto più paziente. E’ giusto quindi sfruttare il più possibile un momento storico in cui le donne si stanno facendo valere sempre di più, dimostrando di essere superiormente capaci in tutti i settori lavorativi, tenendo conto che, all’oggi, a quarant’anni si è considerati ancora giovani. D’altronde, se non ora quando?