Se una delle definizioni di “agire nel bene” può essere quella di comportarsi secondo i dettami più profondi della propria coscienza, sapendoli riconoscere, discernendoli dalle tanti voci di fondo nelle quali spesso soffocano, e avendo il coraggio di metterli in atto, è probabile che una delle chiavi di lettura del romanzo di Nicola Cinquetti edito da San Paolo – “Cuore testardo” – confini con i significati che attribuiamo al concetto di moralità.
Ma non basta. Crescere è un’avventura splendida ma difficile, districarsi tra le lusinghe di proposte che offrono una via preconfezionata, già pronta, solo da scartare e consumare, può risultare complesso per chi, spesso confuso, viaggia solo a senso di radar alla ricerca di una propria identità.
Il libro, quindi, è anche un racconto di crescita e maturazione, di scelta e fatica di diventare grandi passando attraverso gli anni in cui crisi e domande, appartenenza e rifiuto fanno da padroni.
Se mi chiedessero, da genitore, di individuare un traguardo ideale per la fase d’età adolescenziale probabilmente indicherei la capacità di sviluppare e imparare ad applicare uno spirito critico, che sappia rivolgersi efficacemente verso l’esterno – la società, coi suoi inviti e i suoi rumori – e verso l’interno – l’animo, con i suoi moti e di suoi desideri.
Ed è esattamente qui che le due chiavi di lettura del romanzo si incontrano: la crescita, quando è sana, è un percorso verso il raggiungimento di una “morale”, intendendo la parola nel suo senso profondo, scevra da significati pesanti e bacchettoni, ma elevata a punto di arrivo di un cammino personale dove l’onestà verso se stessi, l’abilità di guardarsi dentro, unite alla capacità di smascherare le finte verità che ci circondano, qualsiasi sia l’involucro con cui si presentano, ci rendono persone in grado di affrontare la vita, e sicuramente di apprezzarla riconoscendosi in una condotta.
Riccardo ha sedici anni e già nelle prime pagine del libro si mostra in grado di effettuare delle scelte rischiose e probabilmente controcorrente.
La decisione di denunciare un atto di bullismo – e di farlo mettendoci nome e faccia – a quell’età denota infatti di aver già maturato la forza interiore per uscire dal branco, di non voler rispondere alla legge del più forte, di esporsi, ed imporsi di essere diverso.
Ma la diversità, si sa, è un valore ma anche un peso e sovente implica solitudine, magari non dovuta necessariamente ad emarginazione ma ad una difficoltà nel trovare una comunità, un gruppo, in cui riconoscersi.
Così quando Riccardo incontra Josephine e Daniele, che in una momento di bisogno con spontaneità, gentilezza ed allegria gli vengono in aiuto, non gli par vero.
Il fascino della ragazza, la parlantina del ragazzo, il sorriso di entrambi – così in accordo con il loro abiti variopinti e la bontà dei loro occhi – lo predispongono molto bene e subito pare che i due gli aprano le porte di un mondo nuovo, di un emozionante modo di rapportarsi e stare insieme, così differente dalle consuetudini brusche e spesso aride degli altri suoi coetanei.
Viene così in breve tempo in contatto con “i ragazzi della Casetta”, un gruppo di giovani che si riuniscono presso un edificio in disuso riadattato e abbellito con murales, tappeti e cuscini, che si abbracciano e si scambiano effusioni, che portano capelli lunghi e abiti eccentrici, che pronunciano strani discorsi a proposito di sogni e luce e si comportano come se non avessero nessun timore del futuro emanando un senso di concordia e serenità.
Riccardo è stregato e incuriosito a tal punto da lasciarsi coinvolgere totalmente dalle loro attività e da accettare con gioia ed emozione di conoscere il Maestro, colui che per tutti i giovanissimi discepoli prende il nome di Papà Sognante e si riserva, con pochi colloqui, il potere di accogliere o meno un nuovo adepto nella comunità dei suoi “figli”.
Tutto sembra quasi perfetto: nuovi amici che finalmente lo amano e apprezzano, un modo più profondo di stare insieme, discorsi ammalianti che raccontano di libertà dal mondo e dalle sue menzogne e invitano a cercare nel proprio cuore la via. E perfino un nuovo amore che inizia a sbocciare lentamente…
Ma un’inquietudine pare non abbandonare mai del tutto il ragazzo, la sensazione che qualche nota stoni in quell’armonia che vuole dipingersi come impeccabile.
Perché dover abbandonare tutti i propri precedenti legami e interessi, perfino quelli che piacevano e divertivano? Perché avere l’impressione di essere controllati e, in fondo, giudicati? Perché sentirsi quasi in obbligo di allontanarsi dai propri cari, non poter più chiamare “mamma e papà” i propri genitori? Perché avvertire che dietro il velo di libertà si celi solo un altro modo, forse più subdolo perché più affascinante, di essere in gabbia?
Le parole sono giuste, i discorsi interessanti, gli amici buoni, il calore autentico…Ma come imparare a distinguere un “santo” da un “santone” e un indottrinamento da un invito alla riflessione?
Sarà un drammatico incidente a costringere Riccardo ad aprire gli occhi, ad aiutarlo a vedere che anche le catene fatte di petali di rose possono stringere e fare male…
Un romanzo inconsueto, intenso e delicato, che affronta uno degli aspetti cruciali della fatica del crescere, quello che porta alla conquista di una propria autonomia di pensiero e azione, allo sviluppo della sensibilità di saper scegliere e discernere, accogliere e rifiutare, anche all’interno di ciò che appare un unico “pacchetto” di precetti e dottrine.
Sul cammino del diventare grandi tante sono le formule “tutto-incluso” che si possono incontrare, dalle più semplici e superficiali – del qualunquismo e del consumismo – alle più profonde e complesse – quelle che abbracciano i credo religiosi, le ideologie politiche, le filosofie spirituali…
Formarsi vuol anche dire sapersi fare domande, essere capaci di mettere in crisi ripetutamente anche ciò che pare giusto e perfetto, quello che sembra non avere luoghi d’ombra e d’inganno.
Solo così si può accedere ad un pensiero nuovo e originale, a categorie che siano proprie soltanto, a una moralità che, per quanto faticosa, non arrivi mai a lasciare delusi di se stessi.
(età consigliata: dai 13 anni)
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