Magazine Cultura

Cup of books: “La ragazza con l’orecchino di perla”

Creato il 05 dicembre 2014 da Temperamente

Esistono così tanti libri al mondo che rileggere più volte uno stesso romanzo mi è sempre parsa una perdita di tempo senza eguali. In più, devo ammettere che la paura di vedere crollare nel mio piccolo universo un libro che ho amato alla follia perché letto in un certo periodo della vita mi sovrasta. Credo che i bei libri siano come le relazioni amorose: ti conquistano alla prima pagina, sprigionano la loro travolgente passione nel momento in cui li vivi, ti riempiono le giornate, ti fanno ridere, piangere, ti mancano quando li finisci, continui a pensare a loro costantemente e poi sempre meno, sempre meno, fino a quando i tuoi occhi non si posano su un’altra copertina, capace di farti venire voglia di innamorarti di nuovo. È sempre così. Eppure ci sono dei libri, così come certi amori, che proprio non riescono a farsi dimenticare. Puoi provarci con tutte le tue forze, eppure quel personaggio, quella casa, quella descrizione continuano ad avvolgerti, come era accaduto tanto tempo prima. A me è capitato con diversi libri, con alcuni più di altri, e ogni volta che mi sento avvolgere da quelle sensazioni che avevo provato in passato, avverto la necessità di sfiorarne la copertina, così, solo per un saluto. E oggi va così. Mi tornano in mente i colori, il lapislazzulo in pestato nel mortaio, gli sguardi, i sospiri. Riesco a sentire i silenzi di quelle pagine, i desideri inespressi, perfino i pensieri mai descritti eppure avvertiti, magari da me immaginati. Vado alla libreria. “La ragazza con l’orecchino di perla” di Tracy Chevalier. Dov’è? Non lo trovo. E subito, ricordo: l’ho prestato. Non imparerò mai. Dovrebbero indire dei corsi per i prestatori compulsivi di libri. Eppure il tarlo è ancora lì. L’Olanda, Griet e il suo modo preciso quanto mai artistico di tagliare le verdure e dividerle per colore, la visita di Veermer e la sua ricerca di una domestica che possa tenere in ordine il suo studio di pittore; i loro sguardi, la loro zitta intesa, i quadri di lui e il bisogno dei consigli di lei, lei che è una domestica e non può capire, eppure lo conosce alla perfezione, così come lui riesce a definire lei con un ritratto, con una luce che riflette la sua bellezza, così come la storia che non possono vivere. Sto impazzendo. Non ho il libro. Penso a loro due e all’arte che è un’idea così astratta, così simile all’amore, così prossima all’opposizione, così vicina al magnetismo. Devo accendere il fuoco. Non posso aspettare che l’acqua bolla e a volte davvero non bolle mai. 100 gradi, spengo. Getto con violenza un pugnetto di tè nel pentolino. Deve essere forte. Deve condensare la virilità artistica di Veermer e l’atterrente sensibilità di Griet. Deve essere piccante ma allo stesso tempo delicato. Deve solleticare il palato senza annullarlo. Deve assomigliare all’attimo prima di un’esplosione. Deve assordare, sussurrando. Deve essere un tè nero con zenzero e pesca.


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazine