La differenza tra donne e uomini è una differenza di tipo biologico. Trattandosi di un essere sessuato, sono previsti due sessi che rendano possibile la riproduzione. Per il resto, sia dal punto di vista fisiologico che somatico maschi e femmine sono più o meno uguali, funzionano per lo più nello stesso modo. Spesso si sostiene che la differenza di genere, non sarebbe basata solo ed esclusivamente sulla differenza biologica, ma proprio a partire da questa base biologica si svilupperebbero caratteristiche per così dire “psicosomatiche” che distinguerebbero le donne dagli uomini. Attitudini, preferenze, caratteri tipici, si pensa esistano come dei modelli, uno maschile e uno femminile. Modelli che dovrebbero in qualche modo dare indicazioni sul comportamento, sull’indole.
A partire dal fatto che biologicamente è la donna che porta a compimento – attraverso gestazione e parto – l’atto riproduttivo, si è tradizionalmente ritenuto che la principale caratteristica distintiva della donna fosse quella di possedere la capacità “innata” di prendersi cura (di sé e degli altri). Va da sé che a fronte di questo carattere essa sia il soggetto maggiormente indicato per svolgere i ruoli che si basano sul concetto di cura degli altri. Ruoli a cui sembrano invece esclusi “per essenza” gli uomini.
Chi estremizza questo ragionamento afferma poi che alle donne sarebbero proprie qualità o emozioni quali la pazienza, la capacità di mediare, mentre all’uomo competerebbe la maggiore capacità di dedicarsi al ragionamento astratto, all’azione, la forza, caratteristiche segnate da una maggiore “attività”. Coloro i quali sostengono tale posizione tuttavia cadono in fallo poiché attribuiscono alla donna caratteri che ne denotano la passività, appunto la pazienza, la sottomissione ecc, cosa che tuttavia stride con l’idea del “prendersi cura” che sembra invece un’attività eminentemente attiva.
È evidente inoltre che un certo femminismo ha sentito la necessità di porre e determinare una sorta di specificità propria della donna che rappresentasse in qualche modo la rivendicazione di uno spazio, anche di azione. Tuttavia, ad oggi, è legittimo chiedersi se questa visione non sia controproducente e se sia proprio questo lo spazio che vogliamo.
Non è un’ulteriore giustificazione al mantenimento dello status quo? Non si rischia di “relegare” le donne ad un ruolo a cui sono costrette già da secoli?
Sembra che il ragionamento che sta sotto questa idea sia il seguente: se le donne sono state destinate pressochè per secoli al ruolo di cura, allora vorrà dire che esse sono “biologicamente” destinate ad esso, vuol dire che esse sono diverse dagli uomini anche in base a certe attitudini e caratteristiche che gli uomini non hanno.
Questa sorta di ragionamento all’inverso è impiegato a partire da quel presupposto fondamentale, ovvero l’identificazione della donna con il corpo e per estensione con la funzione riproduttiva e generatrice.
Perciò anche una proposta teorica come quella che si basa sul concetto di “cura”, che è stata impiegata e viene impiegata anche oggi, con lo scopo di legittimare la figura e il ruolo della donna, sembra ricondurre la donna a quello che la società patriarcale imporrebbe.
Credo che questa teoria o una sua forma meno implicita, sia ciò che in realtà la maggior parte delle donne in qualche modo accetta.
Ora se anche l’esistenza dell’istinto materno è stata abbondantemente messa in discussione, è ovvio che caratteristiche come la pazienza, la cura non sono appannaggio delle donne più che degli uomini ed è evidente che il fatto che la donna sia stata costretta ad un certo ruolo non significa che quel ruolo le sia “biologicamente” consono e che le debba piacere.