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Curzio Malaparte, Versilia e D’Annunzio

Da Paolorossi

Gli innamorati dell'Alcione mi perdoneranno senza dubbio, se non ho avuto l'animo di penetrare nello studio di Gabriele. Ma è poi certo che avesse uno studio, con la solita scrivania, la solita penna, il solito calamaio, qui, nella villa famosa?

Se stesse in me, direi che non l'aveva. I versi dell'Alcione, non furono certamente composti a tavolino: ma gli salivano perfetti alle labbra, e la voce che li modulava si spandeva libera fra le quattro pareti del cielo toscano, del Tirreno, delle pinete della Versilia, e delle Apuane.

Magnifico scenario, che più dannunziano di così è difficile trovarlo, e quasi quasi c'è da credere, conoscendo le magie di D'Annunzio, che prima dell'Alcione la Versilia non fosse così, e che l'abbia inventata e modellata lui a questo modo, con la voce, come un Orfeo incantatore della natura. [...]

Prima che D'Annunzio rifacesse la Versilia a modo suo, l'impronta che le aveva dato Boecklin verso la fine del secolo (l'ultimo soggiorno del fantasioso pittore al Forte dei Marmi è del 1898) appariva chiara ancora e visibile nelle prospettive e nei caratteri del paesaggio.

I personaggi delle "stampe" toscane di Palazzeschi cominciava già a sentirsi a disagio, fra gli amabili mostri, Satiri, Angeli, Centauri, di cui Boecklin aveva popolato le pinete lungo il Tirreno.

Un bel giorno, Gabriele a cavallo passò galoppando lungo la riva, fra il Motrone e il Cinquale, e i cortesi mostri di Boecklin si dileguarono all'apparire di "Undulna dea fal piè d'argento".

L'antica ferinità di questa terra sparì come per incanto. Sparirono i paduli fra i monti e il mare, svanì quell'aria stupefatta e ferma, sospesa fra i cieli romantici gravi di nuvole tempestose, e pini neoclassici sposati a salici, a pioppi, a ontani, quell'aria di solitudine senza ricordi che fa care e affettuose le più sconsolate e funebri tra le opere di Boecklin.

Dove è passato Gabriele perfino l'erba cambia colore. Di verde diventa purpurea. E le conchiglie sparse sul lido rosseggiano come conchiglie di Tiro. Il cielo s'incurva ampio e terso, le Apuane affondano taglienti in quel cielo come una lama in una carne viva. E il solo ricordo che rimanga di Boecklin al Forte dei Marmi è una lapide su una facciata di una casa sulla strada per Fiumetto. Ma di D'Annunzio è ancora tutta sonora la riva fra il Motrone e il Cinquale: in pineta non c'è che lui, lieto e solitario, lui giovine e ardente, alato e innamorato. E, sia bonaccia o libeccio, la voce del mare è ancora la sua, la voce di un D'Annunzio più devoto a Nettuno che al terrestre, georgico Apollo.

( Curzio Malaparte, articolo apparso sul "Corriere della Sera" il 18 novembre 1934 con il titolo "La spiaggia di Boecklin e di D'Annunzio" )

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