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Custu zieddu mannu abberu

Creato il 20 giugno 2012 da Zfrantziscu

di Mikkelj Tzoroddu
Doveva essere il 25 di ottobre del 2008. Avevo portato il mio primo libro alla manifestazione annuale del Circolo Sardo dei Quattro Mori di Ostia, onde esporlo e farlo conoscere. Nel pomeriggio mi vidi venire incontro “custu zieddu, nieddu ke a maurreddinu”, con occhi anche nerissimi, vestito di tutto punto (come colui che tenga in un certo conto la propria persona e voglia conferire rispetto agli individui e i luoghi che intenda visitare), con cappello, giacca e cravatta vistosa (come spiccata e netta doveva sentire la propria personalità) e con un impermeabile per soprabito. Ci presentammo e chiestogli cosa facesse, seppi che era un “pensionato benestante”. Mi narrò parte della sua vita movimentata, che lo vide recarsi in Australia, Russia, Inghilterra e Francia. Questo particolare, che mi riuscì di cogliere, me lo presentò come individuo assolutamente particolare. Noi sappiamo infatti come, i nostri corregionali, spinti dal fato a cercare altri lidi ove nidificare, si  recarono in Belgio, ove rimasero; approdarono in Germania, ove si crearono una famiglia; arrivarono in Francia, ove si ricostruirono una vita, ché tale è l’obiettivo dell’emigrante: trovare un posto, qualunque, ove poter dar fondo alle proprie capacità per mettere a punto, in terra, i propri sogni. Invece, “custu zieddu” aveva un animo inquieto, era sospinto da una vivacità sì dinamica, al punto che nessun luogo al mondo poteva appagare il suo infinito desiderio di scoprire cosa fosse più in là. Credetti di capire l’origine di quella vigoria: era quell’intimo desiderio di conoscere se stessi, che aggredisce i puri d’animo, che devasta i pensieri dei buoni di spirito, i quali volano alto, non lambiti da terrene meschinità le quali non trovano aderenza sulla sfera, lustrata a specchio, che racchiude loro ideali, al tempo principio, modello e causa del divenire.  Da qualche decennio risiedeva ad Acilia, dopo essere stato dipendente “benestante” all’Italcable. In poche visite alla sua abitazione, mi resi conto che aveva raggiunto, da autodidatta, una qualche preparazione umanistica, trovandovisi testi in latino di alcuni autori classici. Mi resi anche conto essere il nostro zieddu, un cultore della narrativa francese, i cui testi conservava e leggeva nella prima lingua di edizione. Aveva una sua idea politica. Era un comunista. Puro. Della prim’ora. Ammirevole, per esserlo ancora ad ottantacinque anni. Con un solo difetto: non si rendeva conto che il rosso d’oggi, era lontano anni luce dal suo puro idealismo. Da persona sola, aveva una maniacale attenzione verso la sistemazione di oggetti, all’interno dell’abitazione, ed attrezzi, nel piccolo, ma curatissimo orto e giardino, ove cresceva gli ortaggi di stagione e diversi alberi da frutto. Non potendovi mancare “sa ficu murisca”.   Mi raccontò che, vivendo egli nel suo paese natìo, Orune, nel tempo stabilito, venne chiamato alla leva. Capitò, inconsapevole oggetto nelle mani dell’ala militare che gestiva i destini del Paese alla fine del 1944, nel capoluogo dell’altra isola maggiore. Il Fato stava per rendere chiaro allo stesso zieddu, la sua elevata struttura morale, quasi d’asceta votato all’Amore. Il Destino, o lo stesso Dio, stava per collocarlo in quell’Olimpo senza Stato, senza politicismi, privo di stupidismi umani, ove risiede il più puro amore, ma razionale, per il prossimo nostro. La mattina del 19 di ottobre, fu caricato su camion, insieme ad altri 52 commilitoni (riforniti di due bombe e cinquanta proiettili ciascuno) e trasportato nelle vicinanze della prefettura, ove erano riuniti, certo esasperati, quattromila palermitani che “manifestavano contro il carovita che affamava il popolo”. L’obiettivo era categorico nella sua disgraziata crudezza: sedare “in tutti i modi” la manifestazione. «Quando arrivammo (qualcuno dice fossero accolti da fitta sassaiola, ndr), vidi perfettamente che non era in corso alcun assalto. Quando la nostra colonna raggiunse alle spalle la folla, il tenente diede ordine di scendere e caricare i fucili. Fu un attimo. I soldati, a comando, cominciarono a sparare ad altezza d’uomo e a scagliare bombe. L’apocalisse. La gente scappava da tutte le parti La strada si riempì di morti e feriti». 158 feriti! 26 morti! La strage del pane! Su zieddu, evidentemente provvisto d’un indipendente sistema analitico e freddo e rapido nel suo razionalismo, fu condotto (si pensi alla capacità d’astrazione del suo spirito eletto in quella sì terribile, complessa e coinvolgente evenienza) alla totale disobbedienza verso quello che ritenne un becero ordine. Il fante Giovanni Pala, ventunenne, precursore di caratteri umani ancora lungi dal venire, era divenuto l’antesignano della non violenza. Al rientro alla caserma Scianna, restituì le due bombe e le cinquanta pallottole che gli erano state consegnate.


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