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Cut

Creato il 23 gennaio 2012 da Makoto @makotoster
CutCUT (Cut). Regia e montaggio: Amir Naderi. Sceneggiatura: Amir Naderi, Aoyama Shinji, Tazawa Yūichi. Fotografia: Hashimoto Keiji. Scenografia: Isomi Toshihiro. Costumi: Baba Kyōko. Suono: Yokohama Shōgo. Interpreti e personaggi: Nishijima Hidetoshi (Shūji), Tokiwa Takako (Yoko), Sasano Takashi (Hiroshi), Sugata Shin (Masaki), Denden (Takagaki). Produzione: Sadai Yūji, Shohreh Golparian per Tokyo Story KK. Durata: 133’. Prima uscita nelle sale giapponesi: 17 dicembre 2011.
Links: Sito ufficiale - Blog ufficiale - Mark Schilling (Japan Times) - Nicholas Vroman (page of madness) - Chris MaGee (Toronto J-Film PowWow) - Giampiero Raganelli (Asia Express) - Daniele DeAngelis (Cine clandestino) - Paola Cavallini (Cinefile)
Punteggio ★★★  
Fra i film giapponesi del 2011, un posto particolare occupa Cut, diretto da Amir Naderi, che testimonia l’amore più volte dichiarato da alcuni dei principali cineasti iraniani verso il cinema giapponese (amore ribadito anche dal vate di quel cinema, Abbas Kiarostami, attualmente alle prese con la preproduzione di un altro film tutto giapponese, The End, che sarà interpretato da Miyazaki Aoi).
Ambientato a Tokyo, Cut, la cui sceneggiatura è cofirmata anche dall’Aoyama Shinji di Eureka, intreccia due diversi motivi legati ad uno stesso personaggio, il giovane Shūji (interpretato da Nishijima Hidetoshi, già visto in Dolls e Tony Takitani). Da una parte Shūji si ritrova a dover saldare un ingente debito nei confronti della yakuza che il fratello ha maturato negli anni per aiutarlo a realizzare i suoi film. Per trovare i soldi necessari, Shūji decide di sfruttare il sadismo degli yakuza vendendosi loro come punching ball umano: chiunque, in cambio di qualche migliaio di yen, potrà colpirlo con una raffica di pugni. L’arena dell’evento saranno i bagni della palestra di boxe, e covo della yakuza, in cui il fratello è stato ucciso. In questo modo Shūji riuscirà non solo a saldare il proprio debito, ma, in qualche modo, anche ad espiare, col proprio dolore fisico, il senso di colpa nei confronti del fratello ucciso. Le numerose scene in cui il protagonista è ripetutamente colpito, e il suo viso trasformato in una maschera di sangue, sembrano rimandare allo Tsukamoto di Tokyo Fist (ma anche a recenti film occidentali come Fight Club e Bronson) ed evocano una situazione ai limiti del martirio. La storia di Shūji, come detto, si apre però anche su un'altra dimensione, quella che determina la natura cinefila del film. Il giovane protagonista è, infatti, non solo un aspirante regista, ma gestisce anche un piccolo cineclub all’aperto, sulla terrazza di casa sua, dove proietta classici del cinema occidentale e giapponese. Le pareti della sua stanza sono coperte delle locandine del suo cineforum, con un megafono in mano arringa per strada la folla accusando il cinema di aver smarrito la sua via artistica per essere diventato solo commercio e intrattenimento, periodicamente si reca a pregare sulle tombe di Ozu, Mizoguchi e Kurosawa. Il martirio e la cinefilia di Shūji non corrono semplicemente l’uno a fianco dell’altra, ma s’intrecciano esplicitamente nelle scene in cui il giovane è colpito dagli yakuza e trova la forza di resistere citando, ad ogni colpo ricevuto, i titoli dei film proiettati nel suo cineforum. Quando poi Cut giunge al suo climax, ovvero nel momento in cui solo cento pugni (e relativi yen) dividono Shūji dal saldo definitivo del suo debito, i titoli pronunciati dal giovane sono quelli di un’ideale Best Hundred dei film della storia del cinema scanditi ad uno ad uno dall’ultima alla prima posizione (inevitabilmente occupata dal Quarto potere di Orson Welles, sulle cui immagini finale si sovrappone l’ideogramma di "mu" – vuoto – che si trova sulla lapide della tomba di Ozu).
Visivamente di notevole impatto, nell’uniformità dei colori e nell’efficace alternanza di affollati piani d’insieme statici in cui si dispongono con rigore i diversi yakuza e movimenti di macchina a mano nelle scene di punching ball, Cut è un film per cinefili doc – sulla scia de Lo stato delle cose di Wenders, anch’esso citato insieme ad altre centinaia di titoli – cui forse un po’ d’ironia qui e là avrebbe anche giovato ed evitato qualche inopportuno momento di involontario umorismo. [Dario Tomasi].

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