La rete internet e le sue applicazioni sono spesso definiti come pericoli anche se in realtà rappresentano una fonte di informazione molto importante, rapida e potente.
E’ infatti grazie a ciò che le nostre conoscenze si possono ampliare più velocemente, nella misura in cui il sapere diventa accessibile e fruibile.
Tuttavia, è ormai riconosciuto che il più importante motore di ricerca al mondo, Google, è spesso abusato come propiziatore diagnostico in ambito sanitario e psichiatrico. Non di rado mi capita che persone giungano al mio studio con una diagnosi preconfezionata, spesso parziale, proprio perché i sistemi di attenzione selettiva portano la persona a ricercare quei segni e sintomi che, nella logica della cybercondria, abbassano il livello di attivazione (ansia). Ciò che resta irrisolto è ovviamente l’emozione che sta sotto la ricerca compulsiva di sintomi e segni su Google prima di rivolgersi ad uno specialista, nel caso di patologia organica, e il sistema di schemi psicologici della manifestazioni fobico-ossessive della cybercondria.
Studi recenti Censis mettono in evidenza che in Italia circa il 35% della popolazione si affida a Google e altri strumenti web per trovare senso ai propri sintomi prima di rivolgersi ad uno specialista. E’ un dato sicuramente interessante sugli aspetti legati alla costruzione della conoscenza. Infatti, non è più solo una ricerca legata a questioni di storia, geografia, e altro … ma la perturbazione innescata dai sintomi e tradotti in problema legati al dubbio/certezza viene allargata anche alla sfera della salute. Ora, non possiamo certamente tratteggiare questo fenomeno in termini di causa-effetto, in quanto molto probabilmente anche nei precedenti decenni le persone soffrivano delle stesse attivazioni davanti a sintomi di tipo fisico. Ma molto probabilmente, in un sistema complesso, l’aumento delle informazioni crea anche sacche di vuoto di senso che potrebbero essere colmate e lo sviluppo di sintomatologie ansiose (genericamente parlando). Sicuramente c’è molta differenza tra l’ansia cybercondriaca di una personalità con organizzazione fobica e una per esempio di tipo ossessivo. Entrambe però mirano al controllo, sebbene con sfumature diverse.
In ogni caso oggi se si riscontrano dei dubbi sulla propria salute è molto spesso Dottor Google ad essere intervistato per primo. Sappiamo benissimo che lavalutazione obiettiva in studio, sia in ambito medico ma anche psicologico con l’esame psichico, è fondamentale per poter ricostruire una diagnosi, di cui la raccolta di segni e sintomi sono solo una parte del processo.
Da un punto di vista descrittivo il Dott. Google è semplice da usare, gratuito e soprattutto risponde a qualsiasi domanda gli venga posta sebbene in maniera dispersiva e confusa. A seconda del peso che la persona da a queste risposte, si può innescare una catena d’ansia ancora più forte. Dott. Google può divenire rassicurante (soprattutto nella lettura di post su forum) o allarmistico. Il rischio maggiore è la conferma di una diagnosi già pensata dalla persona e spesso l’auto-medicazione.
In questo senso è sempre bene ricordare che Internet è una jungla e ognuno può esprimere la propria opinione. Non necessariamente gli articoli, commenti che si trovano in prima pagina sono necessariamente quelli più validi rispetto alla quarta, quinta, sesta pagina per esempio. Allo stesso modo oggi su Google è nata una sorta di cyber-lotta anche per quanto riguarda i professionisti. Anche in questo caso, non necessariamente chi emerge in prima pagina è più competente degli altri. Spesso è una questione di indicizzazione del proprio sito, molto spesso a pagamento, che garantisce la posizione nella prima pagina. E’ molto importante anche in questo caso dare un’occhiata a quanto “vivo” è il professionista. Che contatto ha con il popolo dei social network e internet. Parla di disturbi e sintomi o cerca un legame con le persone? Questi sono indicatori molto importanti che lasciano intravedere la personalità del professionista, importantissima in ambito medico e ancora di più quando si ricerca uno psicoterapeuta o psicologo.
I sintomi psicologici non possono essere trattati come patologia. Anche in questo caso è richiesta una collaborazione e assunzione di responsabilità da parte dell’assistito. Senza questo un buon psicoterapeuta non vi fisserà un prossimo appuntamento, ma vi darà il tempo per riflettere e raccogliere strumenti per poter davvero intervenire sul vostro disagio.
Riguardo Google, questo conduce ad una ricostruzione errata del proprio problema, e non può sostituirsi a pareri professionali più articolati.
I problemi che emergono sono tra i più svariati. Ci sono molte persone che giungono dagli specialisti con autodiagnosi costruite a partire dalle informazioni reperite in rete, dalla partecipazione ai forum, dalla condivisione di esperienze mediante chat. E ancora, ci sono persone che, non convinte dalla diagnosi e cura suggerite dagli operatori sanitari, si affidano ai lumi di Google per essere certe di non avere qualcosa di più grave o anche per mettere in discussione le terapie (capita molto spesso nel caso di terapie psicofarmacologiche).
Sembrerà strano, ma questa spasmodica ricerca e interrogazione del Dottor Google talvolta apre i sentieri della “non comprensione” del proprio disagio, e apre viceversa il varco verso un “cyber-ansiolitico” che ha effetti molto brevi. E’ il processo di incasellamento del proprio malessere che talvolta è vissuto dalle persone come risolutivo, comprensibile, controllabile. In realtà è proprio quello che si prova davanti ai sintomi che si manifestano che necessiterebbe di cure. La paura di una persona fobica davanti alla minima influenza è sicuramente una questione medica rispetto alla valutazione dei sintomi dell’influenza, ma certamente una questione psicoterapeutica rispetto all’organizzazione di personalità che in alcuni casi si è strutturata principalmente sulle esperienze di paura (e in questo c’è tutta una storia personale, di attaccamento alle figure di riferimento).
Inoltre, l’esperienza con il Dottor Google crea non pochi disagi ai professionisti. Per esempio, una persona che si rivolge ad uno psicologo per attacchi di panico, verrà sicuramente invitata a descrivere cosa intende per “attacco di panico”, affinché questa definizione non sia per l’ennesima volta un etichettamento di Dottor Google.
Le problematiche emergono quando la ricerca di informazioni sul motore di ricerca divengono un’ossessione. In questi casi si parla di Cybercondria, un termine che ne fonde due “cyber” e “ipocondria” e che due studiosi di nome White e Horvitz l’hanno definita come “l’infondata escalation di preoccupazioni riguardo una sintomatologia comune, basata sui risultati di ricerca e articoli trovati sul web”.
Il problema delle persone che ricorrono compulsivamente a Dott. Google è molto spesso l’attivazione sensoriale (ansia) e il controllo. Ogni persona poi ha una sua storia individuale dove i significati di questi sintomi trovano collocazione.
La pratica del Dott. Google è stata esponenzialmente crescente negli Stati Uniti, e questo sicuramente anche per motivi più sociali, legati all’elevato costo delle consultazioni mediche. Non è escluso che questo fenomeno possa riguardare anche l’Europa, se pensiamo che tutte le prestazioni di tipo psicologico sono a carico dell’assistito attraverso richieste di consultazione in studi privati. La psicoterapia nelle strutture pubbliche è quasi impossibile.
In realtà già in passato si parlava di ipocondria, ovvero la convinzione di soffrire di una patologia, sindrome etc… E’ tendenzialmente un disagio che può strutturarsi come forma di scompenso ad alcune organizzazioni di personalità. Soprattutto di tipo fobico e ossessivo. L’ansia, l’attivazione, sarà di conseguenza un’ansia-fobica o un’ansia-ossessiva.
Nello sviluppo del disagio è molto importante considerare che le persone spesso, a seguito di informazioni rassicuranti, continuano la ricerca spinte dal bisogno di certezze. Insistendo sulla navigazione spesso le notizie allarmanti possono confermare la presenza di quadri diagnostici gravi.
E’ sufficiente pensare che la cybercondria è spesso focalizzata principalmente sulla ricerca di sintomi riguardanti i tumori, malattie neuro-degenerative e sindrome da hiv.
Chi soffre di cybercondria manifesta tendenzialmente questi comportamenti:
- Ricerca costante di siti medici e forum riguardanti il disturbo immaginato (attenzione selettiva);
- Tendenza a parlare di questi timori nelle relazioni faccia a faccia, social network, forum del settore;
- Scrivere in maniera dettagliata tutti i sintomi e passaggi;
- Aver consultato esperti on-line che hanno invitato a consultazioni in studio;
- Mantenere un’attenzione selettiva per le spiegazioni più allarmanti di sintomi banali;
- Condotte compulsive legate alla pulizia (personale e dell’ambiente circostante: casa, auto, etc…) che causano un disagio relazionale (litigi con i genitori, partner etc…);
- Presenza di sintomi di carattere psico-somatico (addome, testa…) per i quali la persona cerca spiegazioni attraverso Dott. Google;
La cybercondria è un disagio di natura psicologica, la quale necessita della ricostruzione della fase di scompenso e inserimento nella storia personale di chi ne soffre. La psicoterapia è lo strumento che può depotenziare il disturbo, o nei casi più resistenti, una terapia psico-farmacologica combinata. In generale il lavoro su come la persona sta costruendo la sofferenza, i temi affettivi sottostanti e la restituzione di senso, risultano essere elementi, il cui lavoro psicoterapico, può depotenziare significativamente la sintomatologia emergente (ciò che si vede nel comportamento compulsivo e nei pensieri ossessivi).