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Cyberpunk – 4° puntata

Creato il 29 agosto 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Cyberpunk – 4° puntata

Una famiglia nucleare, di Marc Laidlaw

Dr. Adder, di K. W. Jeter

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Una famiglia nucleare – titolo originale Dads nukedi Marc Laidlaw è stato pubblicato in lingua originale nel 1985 e solo dieci anni dopo tradotto per la prima volta dalla Bompiani nella collana economica «Gli Squali».

Marc Laidlaw, americano, anzi californiano, è stato uno degli autori di punta del CP, fenomeno culturale che a quanto è dato sapere sopravvive benissimo nonostante Gibson e Sterling abbiano già molto tempo fa decretato la sua morte.

L’ipotesi fondamentale di Laidlaw (geniale se si tiene conto dell’anno di pubblicazione originale) è che la tendenza xenofoba in atto che prescrive di limitare l’universo dei propri rapporti e contatti ai propri connazionali, avrà sviluppi imprevedibili, limitando sempre di più il campo alla regione, alla città, al borgo, al vicinato fino a giungere alla famiglia (nucleare).

Negli USA immaginati da Laidlaw, divisi in minuscole enclave ostili e paranoidi, Papà Johnson, capofamiglia e direttore della Famiglia Johnson, decide di installare un impianto nucleare nel proprio garage, allo scopo di raggiungere la piena indipendenza energetica.

Fin qui il tema, evidentemente paradossale, rimarrebbe nell’ambito delle coordinate della SF “sociologica” anni ‘50, quella delle feroci parodie di Pohl & Kornbluth, Sheckley, Vonnegut, Lafferty, Bester ed altri. Ma Laidlaw si spinge decisamente oltre. Nel suo universo la crescita come l’invecchiamento sono predeterminati: la pubertà, indotta chimicamente, viene portata a termine in poche ore, la vecchiaia giunge all’improvviso, la morte è un dovere sociale. La TV è divenuta l’occhio aperto della minuscola comunità locale sulla propria vita familiare. A sera, a tavola, si guarda un programma intitolato “Stasera dalla famiglia Johnson” (o Douglass, o Lynx ecc. ecc.) dove si spia quello che accade in casa dei vicini. Vacanze e lavoro sono possibili solo nella realtà virtuale, con esiti talvolta allucinatori o deliranti come nelle vacanze al parco naturale (virtuale) di Yosemite della famiglia Johnson. I figli, cresciuti e e partoriti da un utero automatico, vengono programmati anche nel temperamento, gusti e scelte. Può quindi capitare, come a P.J. Johnson, di essere decretato omosessuale alla maggiore età in base alla programmazione prenatale.

Laidlaw si dedica con scrupolo e passione a devastare, a rovesciare in assurdo, oscena pantomima e delirio, i valori più tipicamente yankee come la fiducia acritica nella democrazia, il timor di Dio, l’amor di Patria, la passione per le armi da fuoco.

Il romanzo conduce il lettore attraverso gradi crescenti di assurdo, definisce poco alla volta, con crudele divertimento, le coordinate del sistema sociale dell’America del nuovo millennio. Laidlaw non lascia speranze, ma conduce il gioco con scintillante allegria, con un tono che non scade mai nel puro grottesco ed evita i moralismi.

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Dr. Adder di K.W. Jeter, tradotto da Fanucci nel 1995, è stato pubblicato per la prima volta negli USA nel 1984, ma è stato scritto nel 1972.

L’autore ha infatti bussato alla porta di numerosi editori prima di trovarne uno abbastanza fuori di cabina da pubblicargli un romanzo del genere.

Cyberpunk – 4° puntata
Chi è il Dr. Adder?

Semplice: è un pornochirurgo che si occupa di mutilare, modificare, alterare i corpi delle prostitute californiane per renderle più appetibili da una clientela dai gusti estremi.

Il Dr. Adder non è un losco individuo che rapisce fanciulle ignare a vantaggio di un pubblico di ricchi dissoluti, ma lavora su soggetti pienamente coscienti e consenzienti, tenendo ben presenti le passioni, i gusti, le deviazioni di un pubblico ampio e differenziato.

Il suo principale nemico è John Mox, capo della Video Chiesa delle Forze Morali, (peraltro un ex-cliente di Adder) un’organizzazione terroristica che risolve con l’uso delle armi da fuoco il problema della morale e del decoro cittadino.

Jeter inventa un protagonista provinciale, privo sì di scrupoli, ma del tutto impreparato di fronte al grado allucinante di abiezione della metropoli. Limmit, ex-dipendente di un allevamento di galline geneticamente modificate, riesce a sopravvivere allo scontro tra Adder e Mox e finisce per accantonare il suo confuso desiderio di affermazione, ma non si tratta di una presa di coscienza, di un riscatto, semplicemente della constatazione che lì non ha più nulla di conveniente da fare.

È difficile riuscire a leggere un romanzo tanto integralmente pessimista quanto quello di Jeter. I personaggi positivi semplicemente non esistono: ognuno segue un disegno, un sogno, un delirio che lo porta prima o poi a scontrarsi con qualcun altro. L’esito dell’incontro non è mai scontato, ma non ha nulla a che vedere con qualche forma di giustizia consolatrice verso il lettore.

In sostanza si tratta di un romanzo violento, spigoloso, sardonico, brutale, a tratti disgustoso, ricco di personaggi sessualmente sgradevoli e che si avvale di un vocabolario perlomeno postribolare. Eppure è un romanzo unico, che si legge fino in fondo senza tirare il fiato e che, molto più di tanti articoli e di accurati servizi giornalistici, rende ragione del sentimento di morte del nostro tempo. Essendo un’opera tanto poco cortese (o cortigiana) verso i lettori rischia di essere rispettata, osannata, ma non letta. Ed è un vero peccato. Magari aspettate di essere nello stato d’animo giusto ma leggetela. Non so se vi sentirete meglio, dopo, ma vi farà senz’altro bene.

In calce al romanzo la postfazione di P.K. Dick, schiettamente entusiasta, sebbene egli appaia nel romanzo nelle vesti di un vecchietto fissato (KCID) che trasmette Lied e stravaganti riflessioni religioso-filosofiche da una stazione radio allestita personalmente: l’unica a trasmettere ancora.

Pensateci un attimo (e rendetevi conto del genio malsano di Jeter): un mondo nel quale non esistono più trasmissioni radiofoniche è un mondo nel quale vorreste vivere?

Eppure è possibile, lo sapete meglio di me.

Massimo Citi



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