Antonio Conte
Antonio Conte – Se la guerra quando nasce non è che un’idea con i Social Media è possibile immediatamente. Wadah Khanfar, ex direttore generale di Al Jazeera, come citato da “La Stampa” nell’articolo “Dove scorrono le informazioni sulla guerra” del 21 Novembre 2012, invita i giornalisti a “prendere atto della forza dei social media «per riportare il giornalismo alla realtà»”.
Il concetto di Saldato Futuro armato di tutto punto proposto dalla Difesa italiana è messo in qualche modo in discussione? Forse va arricchito con un’idea social (si fa per dire). Una versione di rivista infatti potrebbe essere affiancato da un sodato impegnato nella Guerra Elettronica, ed ancora prima in un nuovo tipo di Guerra finora impensato: quella mediatica, resa possibile da smartphone e tablet. Ma è davvero impensata è così futuristico? Per scoprirlo si legga l’articolo “Siamo i nuovi 007. Ma non ditelo ai miei” pubblicato il 18 Gennaio 2012 sul sito governativo della “Sicurezza nazionale” d’Italia, gli ex servizi segreti insomma). La Guerra è ora considerata da più parti anche mediatica, e ne è anche consapevole la testata online “BIT” che il 22 Novembre scorso pubblica l’articolo intitolato a firma di Margherita Stefania, “La guerra va sui social Network“.
I recenti sviluppi della crisi tra Gaza e l’esercito israeliano, sono eccezionalmente narrati su alcuni tra i maggiori Social Media. “Rassegna Stampa Miliare” non è rimasta a guardare questi nuovi fenomeni, ma è al tempo stesso protagonista come dimostrato dagli articoli di narrazione diretta della cronaca di Suspense, – un personaggio giornalistico onirico molto discusso su Twitter - nel suo (forse) improbabile viaggio di due mesi in Siria e più recentemente con un flash, sia pur conciso, del recente viaggio da Embedded con l’Esercito Italiano di Fabia Martina in Libano presso la Caserma “Mille voi”.
Il fenomeno non è certo nuovo agli osservatori di “Rassegna Stampa Militare” che in realtà hanno già constatato la presenza nelle pagine di Facebook molti mesi fa dell’Esercito israeliano che delle Forze Armate Statunitensi (US Army). Quest’ultima infatti, periodicamente pubblica sulla sua bacheca sociale (sfacciatamente diremmo quasi per la nostra reticenza italiana ad affrontare temi di carattere militare e a porci al fianco dei nostri soldati) delle foto o grafiche narranti delle guerra di cui è stata protagonista. La prima invece con consapevolezza e pochi testi descrive la vita di alcuni reparti con due pagine ufficiali in Facebook, una dedicata all’Aviazione (Israel Air Force), una alle Forze Armate di terra (Israel Defense Forces). Interessanti le foto dell’album dedicate alle celebrità in visita ai reparti militari israeliani, ma noi avevamo già pubblicato tre mesi fa circa una selezione di foto dell’album “Becoming a Soldier in the Caracal Battalion” dedicato all’arruolamento e ed alla prima formazione delle soldatesse in un battaglione femminile. Da osservare anche l’album con le foto dell’anno.
Su versante civile dei sociale media invece questa marea di informazioni governative favorisce la crescita di una azione congiunta degli utenti non governativi che maturano così proprie idee e posizioni sulle vicende in cronaca. Ne è un esempio la pagina Facebook del “Progetto Dreyfus”, che si propone di correggere (cioè di ri-mediare) la percezione degli eventi dalla controinformazione antisemita. I curatori della pagina ritengono infatti che molte delle foto dei bambini apparentemente trucidati dagli attacchi israeliani a Gaza in realtà siano foto manipolate risalenti al conflitto in atto in Siria. A supporto di questa tesi mostrano le foto precedentemente pubblicate da importanti giornali.Evidentemente questi fenomeni pongono una questione seria, ovvero la certificazione delle informazioni con mezzi elettronici e marcature per le foto al fine di rendere certa, o almeno più corretta possibile, l’informazione veicolata da foto. Le foto-notizie ad esempio dovrebbero riportare una cornice con marcature temporali ed essere georeferenziali mentre per le grafiche le informazioni potrebbero essere facoltative o magari con un bollo grafico, come suggeriva una recente proposta di legge francese, che in realtà si riferiva al lifting elaborato da Photoshop su foto di attrici e personaggi mondani.
Se in realtà, la foto è di chi la scatta, per rendere in concreto questo enunciato, il nome impresso nell’immagine stessa, potrebbe finalmente rendere merito a molti fotografi che ora passano inosservati o invisibilmente ai lettori, non solo delle testate online, ma anche a stampa. Un recente studio di una testata online di fotografi (www.fotoinfo.net) pubblicato in un articolo la “Deontologia del fotogiornalista” del 13 Dicembre 2006, porta alla luce importanti questioni sulla professione, ci pare appropriato citare anche l’articolo “I quotidiani italiani firmano le foto?”, del 30 Maggio 2012, dove viene accertato che quasi sistematicamente per le foto non viene indicato il nome dell’autore, mentre viene indicato in misura maggiore per le grafiche e le vignette. Come a dire che le foto non sono il frutto di un lavoro professionale, ma quasi che una volta scattate siano automaticamente parte del dominio pubblico.
Le implicazioni che ne sottendono alla certificazione delle foto sono importanti, in quanto permettono una informazione precisa e non manipolata dei fatti e portano l’utente, non ancora esattamente informato su molte questioni legate all’uso di internet, a costruirsi una visione esatta della realtà. Ovvero ad individuare il punto di vista artistico del fotografo, che in tal modo verrebbe anche maggiormente tutelato. Lavoro che non dovrebbe essere estraneo alle testate giornalistiche sia online che a stampa, ne andrebbe di mezzo la costruzione di una corretta informazione ed eliminando o riducendo le possibilità per un uso improprio delle stesse. Si tratta in realtà di nuovo modo di condurre una guerra a cui partecipano spesso inconsapevolmente anche privati cittadini e a cui gli eserciti dovrebbero gioco forza preparasi a combattere a vari livelli.
Antonio Conte