D’Alema è Louis Moreno. Bersani il suo Rockfeller

Creato il 25 agosto 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
A memoria d’uomo (compresa la nostra, che in molti riconoscono essere quasi simile a quella di un elefante), non si ricorda un agosto tanto denso di fatti politici, di cronaca, internazionali, locali, marziani e così poco gossip. A parte le nozze di notte di Brunetta, i mille baci di Italo Bocchino sulle spiagge di mezza Italia (ogni volta con una ammiratrice diversa però sempre con la stessa scorta) e i viaggi extralusso in treno del ministro Fitto, il gossip più clamoroso riguarda ancora una volta lui, il principe del cabaret mondiale, il vostro devoto Silvio Berlusconi. Grazie alla dieta messa a punto dall’imprenditore veneto Mech, molto in voga fra i vip nostrani, Silvio ha perso la bellezza di quattro chili in sette giorni. Le cronache raccontano che non si sia presentato in Senato perché “mi vedo grasso, e mi preoccupa il giudizio delle signore”. Invece di preoccuparsi del giudizio delle famiglie, dei giovani, dei pensionati, dei cassintegrati, dei disoccupati e della generazione NEET (né scuola né lavoro), Silvio si preoccupa del giudizio delle signore e del suo “gonfiore dovuto allo stress di governare questo paese”. A parte che nessun medico gli ha ordinato di farlo (governare il paese), ma se la cosa gli causa così tanti problemi fisici e psichici, perché non se ne va ad Antigua liberando l’Italia da una presenza tanto goffa, ingombrante e imbarazzante? Mistero. Tolto di mezzo il gossip, ché della Began non ne possiamo più e di Nicole Minetti in tribuna d’onore a San Siro men che meno, a tenere banco in questo secondo scorcio agostano sono stati la Lega (basta per carità), la Fiat con i suoi uomini migliori e il solito Piergigi Bersani che, secondo noi, poteva restarsene tranquillamente a Cesenatico a bere lambrusco cinese invece di chiamare le parti sociali per illustrare loro la contro-manovra del Pd recitando la parte dello statista. Lo stato maggiore della Fiat ha invaso il Meeting ciellino di Rimini, quello finanziato a suon di milioni da non si sa chi né perché. Prima è arrivato Marchionne, accolto con una standing ovation quasi fosse la reincarnazione di Giovanni Paolo II, poi il rampollino John Elkann in perenne sottotutela marchionniana. Così giovane, così ricco, così perbene e così tanto “fratello di Jaki”, John ha stupefatto la platea accorsa in massa ad acclamarlo con “Fiat vuole continuare a produrre auto in Italia, ma l’Italia vuole continuare ad essere un paese che produce auto?”, al che abbiamo capito che il dna non è un fatto marginale e che qualcosa in comune con Lapo, John ce l’ha. Non essendo in grado di chiarire dove siano andati a finire (forse nelle casse del Tesoro americano?) i 20 miliardi di euro di investimenti promessi in Italia, John ha continuato l’incontro con i ciellini che pendevano dalle sue labbra, per  raccontare ancora una volta la saga della famiglia Agnelli. Subito dopo, in una improvvisata conferenza stampa, ci ha pensato Marchionne a chiarire il pensiero aulico di John, traducendolo con “soltanto quando avremo la certezza di governare i posti in cui investire lo faremo. Ora la certezza non c’è”. Pronta la risposta di Maurizio Sacconi, il quale ha prontamente replicato (libera citazione): “Se Marchionne vuole anche un po' di culo sappia che non siamo disposti a darglielo”. E mentre la Fiat assomiglia sempre di più a un corpo estraneo che mal tollera la sua governance italiana, sempre il “miracolo Marchionne" ha parlato della eventuale discesa nell’agone politico di Luca Cordero di Montezemolo, come di un fatto estremamente positivo. Pur di levarselo dalle palle (l’odio fra i due è arcinoto), il Sergio è disposto a dargli una mano, “avrebbe tutto il mio appoggio”, ha detto seccamente ai giornalisti. Pronta la risposta del responsabile del lavoro dell’Idv Maurizio Zipponi, che alle agenzie ha dettato “Non si capisce come Marchionne possa dare una mano a Montezemolo se prima non prende la cittadinanza italiana e inizia a pagare le tasse nel paese in cui lavora e non in Svizzera”. Ieri mattina, inaspettatamente, Susanna Camusso è arrivata a Piazza Navona intorno a mezzogiorno, è salita su un palco messo su all’ultimo momento e, davanti a qualche centinaia di cigiellini in presidio permanente al Senato, ha inscenato una piccola conferenza stampa nella quale ha ribadito punto per punto le criticità della manovra e le proposte del suo sindacato. Ma la ragione vera di questa performance fuori da ogni protocollo, sta nel fatto che il più grande sindacato italiano doveva in qualche modo rispondere alla ennesima presa di distanza di quello che una volta era il suo partito di riferimento. Piergigi Bersani infatti, dopo una rapida consultazione telefonica satellitare con l’Ikarus, aveva bocciato lo sciopero generale del 6 settembre con una frase che aveva lasciato tutti di stucco, perfino Pierfy Casini abituato a ben altre acrobazie verbali. “Non possiamo disperdere la convergenza con le parti sociali”, aveva dichiarato il segretario del Pd a seguito dell’incontro avuto con i rappresentanti delle cosiddette parti sociali capitanati da Emma Marcegaglia, che è come se Gengis Khan si fosse messo alla testa delle truppe della Croce Rossa Internazionale. E la Camusso, già in crisi profonda con la sua base, si è ritrovata perfino a dover fare i conti con il senso dello Stato del segretario del Pd. Questi sono i momenti nei quali a Susanna daremmo volentieri una mano, perché da situazioni così non se ne esce senza tirare qualche pugno e senza testate ben assestate fra le palle di qualsiasi interlocutore ti si ponga davanti. Come si fa a ragionare con il corvo Rockfeller senza Louis Moreno? Impossibile.

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