D’Alema, Vietti, Di Pietro, Bersani. Tutti in soccorso di Silvio, che ringrazia

Creato il 25 giugno 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Se c’è una cosa che non avremmo mai voluto fare dopo l’ultima tornataelettorale e, soprattutto, dopo l’esito dei referendum, è tornare pentiti alle nostre care, vecchie posizioni barricadere. Non siamo rivoluzionari per moda, forse un po’ per vocazione, ma avevamo ceduto volentieri il passo alla resipiscenza e alla quasi saggezza senile pur di vedere Silvio tornarsene a casetta sua (si fa per dire) stanco pensionato, indaffarato a pettinare le bambole di Ruby dopo averlo fatto con la proprietaria. Insomma, visti i risultati delle ultime consultazioni popolari, eravamo convinti che l’aria in questo paese fosse realmente cambiata. Che le vittorie di Pisapia, di De Magistris, di Zedda e il raggiungimento del quorum referendario, avessero dato la spinta giusta per compattare una comatosa opposizione e renderla finalmente forza di governo. Il sogno è però durato pochissimo, il tempo necessario ai giornali di iniziare a pubblicare le intercettazioni telefoniche sulla cosiddetta P4. Non avevano neppure raccontato per intero quello che Bisignani aveva detto della Brambilla, che già dalle parti del Pdl si pensava a come fermare l’ennesimo “scandalo”, la gigantesca macchina del fango che la magistratura deviata aveva messo in moto per colpirli al cuore. Pensa che ti ripensa, Angelino Alfano si è detto: “Quasi quasi riesumo la legge-bavaglio finita in un cassetto per volere presidenziale”. Ma poi si è accorto che i tempi sarebbero stati lunghi e i passaggi parlamentari troppo delicati. Allora cosa fare per frenare prima dell’estate la valanga di merda che li sta investendo e tornare a leggere solo la cronaca della rottura del fidanzamento fra George Clooney e lady Canalis? “Ripropongo il decreto Mastella, andava bene all’Ulivo allora, andrà bene al Pd oggi”. A sostegno della tesi del Guardasigilli è sceso in campo il solito noto. Il più intelligente, bello, furbo, vincente leader politico degli ultimi 150 anni, Massimo D’Alema, il cui unico scopo sembra essere quello di far tornare in vita Berlusconi, una sorta di Gesù Cristo al quale il Padreterno ha concesso un unico miracolo e lui continua a farlo sempre alla stessa persona, Silvio suo. Delle nefandezze del “leader maximo” (dal governo truffa con Cossiga e Mastella che defenestrò Prodi alla bicamerale, dalla mancata legge sul conflitto d’interessi alle agevolazioni Mediaset e giù giù, fino al permesso per Rete4 di continuare a trasmettere in chiaro), ne abbiamo parlato fino alla noia e beccandoci pure l’accusa di essere disfattisti, ma evidentemente non è servito a nulla se D’Alema continua imperterrito a ricoprire indefessamente il ruolo di gommista del berlusconismo. Unico politico dell’opposizione presente nelle intercettazioni dei pm napoletani (Bisignani accompagnò da lui il generale Poletti), D’Alema non ha perso l’occasione per tentare di mettere il bavaglio alla stampa ed evitare che altre notizie che lo riguardassero potessero trovare spazio sulle colonne dei giornali. Insieme al casiniano Vietti vice presidente del Csm e, purtroppo, a Pierluigi Bersani, ha fatto sapere che “è giusto che le intercettazioni si facciano, ma profondamente ingiusto che vengano pubblicate specie se, come in questo caso, non hanno alcuna rilevanza penale”. Che D’Alema fosse uno e trino come Dio lo avevamo immaginato ma che fosse anche un arguto giurista onestamente ci è sempre sfuggito. Chi diavolo è lui, e con lui Alfano, Vietti e Bersani, per affermare che le intercettazioni non hanno rilevanza penale. Ma l’accertamento di un reato non spetta, secondo i dettami della Costituzione italiana e non di Antigua, alla magistratura? Non sono i giudici inquirenti a decidere se un fatto costituisce reato oppure è inquadrabile nella sfera meno delicata del gossip? Diamo un’occhiata ai tempi della cronaca. Silvio è alle strette. I processi di Milano lo stanno sfiancando. Quello cosiddetto Mills gli sta facendo rischiare una interdizione dai pubblici uffici che per lui sarebbe una catastrofe. Gioca tutte le carte elettorali in prima persona provocando l’ennesimo pronunciamento pro o contro di lui. Il processo Mills, nonostante i tentativi dei suoi legali, va avanti, il “referendum” su di lui è un disastro e quelli veri ne dovrebbero segnare definitivamente il tramonto politico. La popolarità è scesa al 28 per cento e il Pd, per la prima volta in 17 anni è, secondo i sondaggi, il primo partito italiano. Tutti questi fatti cosa dovrebbero far capire all’opposizione se non che è arrivato il momento di mandare a casa definitivamente Silvio? E invece no. Ecco D’Alema che si dichiara favorevole al bavaglio stampa sulle intercettazioni per cui, venendo a mancare le informazioni, i cittadini potranno pensare che non sta accadendo nulla, che la P4 è il nuovo modello della Panda e che Bisignani è il sagrestano del Duomo di Pisa. Detto, fatto. Silvio si salva ancora per il rotto di una cuffia fornita gentilmente dalla premiata ditta D’Alema & Co. E ora, a tentare di salvarlo ci si è messo pure l’antiberlusconiano per antonomasia. Antonio Di Pietro, diventato improvvisamente uno statista alla Casini, parla fitto fitto con Silvio non si sa di cosa. Alle domande dei giornalisti risponde: “È venuto lui da me, che dovevo fare, menargli? E poi, parliamoci chiaro, ormai Berlusconi è finito, non ha più neppure gli occhi per piangere, con quale coraggio potevo fargli mancare l’ascolto e la solidarietà umana? Non si può sparare addosso alla Croce Rossa”. Il che vuol dire che siccome Hitler stava perdendo la guerra e gli americani avevano distrutto Dresda e messo le mani su Berlino, gli ufficiali del Terzo Reich che tentarono di farlo saltare in aria con un attentato, commisero l’efferato delitto di sparare sulla Croce Rossa, cosa notoriamente disdicevole. Quello che più ci fa incazzare è il fatto che ancora una volta Berlusconi resterà dov’è non per merito suo, ma per demerito di una opposizione che non merita altro che una solenne gragnuola di calci nel culo. Torniamo a fare, e farci, la domanda di sempre. Sono questi i politici che dovrebbero sostituire Silvio alla guida del paese? E diamoci anche una risposta: “Purtroppo si”.

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