Era un genio a suo modo. In un tema di terza elementare Dragomir scrisse voglio fare l’imprenditore. Per realizzare il suo sogno percorse molte strade, una di queste lo portò nel bel paese. E lo trasformò in un ricco imprenditore. Apparteneva alla nuova generazione. L’anello d’oro al mignolo aveva lasciato il posto all’orecchino di diamanti. Far pendere i propri rotoli di grasso da una lettiga come Traiano non era più in. La storia aveva fatto il suo tempo, a regnare era lo stile. Eppure per entrambe il mattone era lo stesso, il denaro.
Il Bel Paese lo aveva sempre visto irraggiungibile e ora che ci aveva posato sopra il culo non era cambiato nulla. Per entrare nei giri giusti uno come lui doveva pensare, agire e fottere al doppio della velocità. Dragomir lo sapeva bene. Come sapeva che ci vuole culo, perché è dal culo che esce il meglio di quel che sei stato. Glielo aveva insegnato il nonno. E intanto lo accarezzava e lo graffiava con quel mignolo grasso che sembrava un cazzo enorme incastonato in un anello d’oro. L’insegnamento del nonno gli servì. Anche nel Bel Paese fu solo una questione di culo, con un uomo la prima volta.
D’altronde tutti i più grandi imprenditori erano stati prima operai. Dragomir lavorava di notte. Tutte le notti senza ferie. Mai tradire la propria fetta di mercato, ancor di più se il mercato era saturo. Intanto quel mercato lo studiava, ci parlava col mercato. Vendeva la sua merce e ascoltava i bisogni ancora inappagati del mercato. Si chiamavano buchi di mercato. Quando il mercato ne ha uno, vince chi lo riempie per primo. Era finalmente arrivato il momento di metterlo in culo al mondo. E non di notte. Di mattina. La mattina presto, prima che aprissero gli uffici.
Dragomir si fece spedire un vasto assortimento di merce fresca dal suo paese. Basta farsi il culo, si era detto. E piazzò la merce sul mercato. Dalle sei alle dieci. Poi due ore di pausa. E di nuovo da mezzogiorno alle due. Non poteva permettersi un buco di mercato durante la pausa pranzo. Non passò un mese che si infilzò prima un lobo, poi l’altro di diamanti. Non passò un anno che era già nei giri giusti. La merce, ora, la portava nelle case dei clienti.
Aveva lo stile in pugno quando si fotografò col cellulare al volante di una rossa. Il cellulare squillò. Lo chiamavano dal suo paese. Suo nonno. Ospedale. Era questione di. Dragomir gettò il cellulare a fargli da passeggero. Più di duemila chilometri senza sosta, maledicendo quella rossa che beveva un litro di benzina per ogni scoreggia. Arrivò che il vecchio lo attendeva al limite della notte. Lo chiamò a sé e lo carezzò come sempre aveva fatto, con quel mignolo che era ormai un cazzo moscio sepolto in un anello d’oro.
Al pari della benzina, Dragomir aveva consumato un litro di lacrime per ogni scoreggia della rossa. Ma ora che il suo pianto avrebbe dovuto schiudere al vecchio il check-in del paradiso, ora era rimasto a secco sulla statale del purgatorio, poco più in là dell’inferno. Spinse d’istinto sul gas. Ma le fiamme lo raggiunsero. Era al vecchio che doveva la sua fortuna d’imprenditore. Non poteva lasciarlo lì. Col suo abbraccio gli strappò l’ultimo respiro intorno al collo. Un modo per andarsene con stile, pensò.
Tratto da “Erano – 26 racconti per gente che fu”.
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“Erano – 26 racconti per gente che fu”.
Ventisei racconti. Minimali; a volte irriverenti, altre delicati. Perché dopo un pugno nello stomaco è piacevole tornare a respirare.
Ventisei ritratti. Inconsueti; a volte deliranti, altre pacati. Perché di pagina in pagina è piacevole continuare a sorprendersi.
Dalla a alla z, ventisei testamenti al tempo passato eppure attuali. Ventisei ricordi di vita di persone e di oggetti, senza censure e inibizioni. Ventisei confessioni che seppelliscono sotto una lacrima dolce e una crassa risata chi si prende troppo sul serio.
L’autore è Chet, un italo-americano nato a Oak Hill e trasferitosi nella citta’ eterna.
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