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Da Aiazzone a Silvio

Creato il 03 giugno 2011 da Albertocapece

Da Aiazzone a SilvioChe i tempi stiano cambiando lo si avverte da molti segnali. Alcuni grandi, altri minimi, altri ancora inaspettati. Come l’assalto ai magazzini di Aiazzone organizzato da clienti e  creditori che avevano pagato fior di quattrini mobili e cucine che poi non sono mai arrivati a causa del fallimento dell’azienda.

Non si sa bene se anticipi e saldi siano stati chiesti ben sapendo che la merce non sarebbe stata mai consegnata o le cose siano precipitate per incapacità imprenditoriale, ma quello che mi colpisce è che questo assalto di massa ai magazzini in provincia di Bergamo, sia in qualche modo un segno dei tempi, forse anche qualcosa di simbolico. Come tutti ricordano, Aiazzone  è stata protagonista e pioniera di un mondo: quello delle televisioni private, delle pubblicità facili, dei capannoni che spuntavano dal nulla, dei piazzisti parlamentari, di un’economia facile supportata dal debito pubblico e dall’evasione, degli imprenditori come nuove figure di riferimento dell’immaginario nazionale, dei padroncini delle ferriere divenuti eroin positivi.

Sulla sponda politica sono stati i tempi del craxismo poi tramutatosi in berlusconismo, dove tutto quest’oro di Bologna e questo sogno italiano dai piedi d’argilla ha trovato alla fine il suo nido. Che adesso clienti e creditori vadano a riprendersi il loro, suona come la fine di un ciclo e al tempo stesso come l’effetto che esso ha avuto sull’antropologia italiana.

E c’è anche un’altra singolare coincidenza: Aiazzone, la prima azienda, quella classica del provare per credere, fu un caso di scuola della pubblicità: la prova che alla lunga l’eccesso di spot  finisce per diventare negativo e originare un’avversione. Lo stesso che succedendo Silvio con il suo ossessivo presenzialismo condito sempre dalle stesse tesi, dallo stesso slogan . I pubblicitari lo chiamano effetto Aiazzone.

Certo se qualcuno fosse stato davvero interessato a ridurre i tempi della giustizia e non soltanto ad evitare i processi, avrebbe cominciato a rivedere tutta la legislazione che riguarda i fallimenti. Una cosa troppo complessa per l’attuale governo, ma anche politicamente impraticabile per una maggioranza come questa. I tempi lunghi infatti avvantaggiano le aziende e i ricchi, foraggiano tutto un ambiente di curatori, legali e consigliori economicamente interessati a tirare più in lungo possibile e colpiscono invece i poveracci che rimangono invischiati  come quaglie nelle pastoie. Quelli destinati a perderci comunque. Come sempre del resto.

Non è strano perciò che ci sia un senso di ribellione a questo groviglio di immobilità e interessi, anche in un caso così particolare. E’ semmai indicativo che questo senso di ribellione si organizzi. E’ il sintomo di una ribellione più vasta. Provare per credere.

 

 


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