É uno straordinario viaggio nel lavoro di ieri e di oggi. I protagonisti, le voci narranti, sono donne e uomini che hanno segnato la storia culturale di questo Paese. Hanno regalato a tutti noi storie, descrizioni, romanzi, poesie. Hanno nomi importanti: Luciano Bianciardi, Ottiero Ottieri, Elio Pagliarani, Giovanni Giudici, Vittorio Sereni, Paolo Volponi, Carlo Bernari, Italo Calvino, Elio Vittorini, Giovanni Arpino, Vasco Pratolini... Sono solo alcuni tra i tanti ricordati in questa poderosa antologia dal titolo invitante: "Fabbrica di carta, i libri che raccontano l’Italia industriale". È stata curata da Giorgio Bigatti e Giuseppe Lupo per le edizioni Laterza. Un prodotto di qualità voluto - e anche questa é una scelta da annotare - non da un qualche sindacato operaio o da un partito desideroso di richiamarsi al lavoro, bensì da un’associazione imprenditoriale, l'Assolombarda. Un’iniziativa meritoria.
L’ampia raccolta, divisa in fasi storiche, termina con "La morte della fabbrica", ovverosia il cosiddetto post fordismo. Sono gli anni delle dismissioni. Scrive Emilio Tadini in “Falck, nella Terra Desolata (1996)”: “Chiude, la Falck? Ma è chiusa, è già chiusa. Uno dopo l’altro, capannoni grandi come il Duomo di Milano, svuotati, in rovina. Fango, mattoni refrattari in disfacimento, macchinoni surgelati. Forme tecnicamente preziosissime stanno patendo la metamorfosi che le trasformerà in rottame. Ruggine, torva ruggine dappertutto. Gatti randagi che si divincolano, affamati, nel mezzo buio. Piantine tristissime, germogli squallidi di rampicanti pronti a sfrenarsi sui muri, a divorarli. La vera Terra Desolata. Anzi, peggio. Se esiste, l’inferno potrebbe non essere molto diverso. Un campo di battaglia dopo la battaglia. È pieno di cadaveri, non di uomini, ma di cose, di macchine, congegni d’acciaio resi addirittura quasi espressivi proprio da quella violenza che li ha sottratti bruscamente alla loro funzione e li ha sospesi nell’insensatezza”.
Eppure Antonio Calabrò nell'introduzione parla di “rinascimento manifatturiero". Una dizione presa in prestito da uno studio di due professori della Harvard Business School, Gary P. Pisano e Willy C. Shih. Qui si spiega perché l’America ha bisogno di “a manufacturing renaissance”, cioè “rinascimento industriale”. E già in quel Paese dopo la delocalizzazione produttiva si parla di ritorno a produrre in America, perchè “L’outsourcing è un modello di ieri”. Nasce così la “resilienza”, un termine, spiega Calabrò, che viene dal latino (resilere, saltare indietro), “adattarsi ai cambiamenti, assorbirli, non resistervi frontalmente rischiando di frantumarsi, ma accoglierli. Adattamento. Il contrario della rigidità. E della fragilità”. Con nuove relazioni tra cultura, scienza, ricerca e industria. Per fare, come diceva lo storico Carlo M. Cipolla, “cose belle che piacciono al mondo”.
Ecco, lo sguardo sul passato, presente nella raccolta, può aiutare questo “ritorno”. Cosi uno dei due curatori, Giuseppe Lupo, nel saggio “Orfeo tra le macchine” osserva come, in altri tempi, un impresa “per comunicare la propria immagine, si affidava all’estro di letterati e artisti”. E così “bisognerebbe convincersi che le fabbriche sono state davvero una via di libertà, sia per gli operai sia per gli intellettuali”. Anche, certo, attraverso conflitti e una dialettica non repressa. Mentre oggi, per dirla con un altro saggio del curatore Giorgio Bigatti “Paesaggi industriali e trasformazioni sociali” domina in tante pagine “un senso di vuoto e di precarietà latente (ma anche di naufragio)”. Perché c’è stata “Una trasformazione che spesso ha coinciso con una precarizzazione del lavoro…”. Sono annotazioni riferite alle ultime pagine della raccolta dedicate a una nuova generazione di scrittori, da Andrea Bajani a Laura Pariani, da Aldo Nove a Michela Murgia e Angelo Ferracuti. Scrive Bigatti: “Da vogliamo tutto a vogliamo un lavoro", rifacendosi a uno slogan del passato oggi ridimensionato a una possibilità di sopravvivenza. Con la speranza che il rinascimento industriale di cui parlava Calabró (ma anche di altri tipi di sviluppo non solo manufatturieri) accompagni un rinascimento delle forza organizzata del mondo del lavoro, sapendo che i conflitti fanno “da molla dell’innovazione e del cambiamento”.www.brunougolini.com