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da cosa nasce cosa

Creato il 23 settembre 2012 da Plus1gmt

A vedere bene come le stanno le cose c’è solo un dettaglio che stona tra i partecipanti alla riunione. Il dettaglio sono io perché sono l’unico che tra tutti non ha la cravatta. E meno male che sono lì seduto al tavolo già da un po’ e da prima che arrivassero gli altri, io sono uno di quelli che si presenta con abbondanti quarti d’ora di anticipo senza contare che sono anche quello che guadagna meno – questo in tutti i contesti professionali a cui sono stato invitato a partecipare per fornire il mio apporto – e che ha un’importanza come si suol dire meno business critical o strategica, fatto sta che gli altri che sono professionisti che contano arrivano alle riunioni quando cazzo pare a loro. Ma con la cravatta.

Dicevo che meno male per tutti questi motivi che ero seduto al tavolo quando sono entrati tutti gli altri perché altrimenti si sarebbero notati i miei pantaloni di una marca non-marca acquistati al supermercato e le snickers non-snickers, quelle sì di marca ma che dimostrano tutte le cinque o sei doppie stagioni che hanno trascorso ai miei piedi deformi. Essendo scarpe né troppo calde né troppo fredde rendono il loro onesto servizio nei periodi intermedi, prima dell’estate e prima dell’inverno, quindi in due occasioni per un totale di un paio di mesi l’anno come minimo. Quella che una volta veniva chiamata mezza stagione e che oggi, e non sono l’unico a sostenerlo, non esiste più. Nemmeno qui dove una volta era tutta campagna.

E in quell’ambiente di lavoro che è irrimediabilmente maschile perché dall’amministratore delegato all’ultimo dei commerciali si perpetua una tradizione che vuole nell’ICT quello un po’ babbione, molto b2b e per nulla consumer ma fatto di gestionali e business intelligence soltanto vertici virili e donne relegate al centralino, alla reception, al segretariato e al supporto marketing che è addirittura più segretariato di quello che prevede la prenotazione di voli e alberghi per la trasferta e l’acquisto dei regali di anniversario di nozze per le mogli dei manager. In quel meeting di poteri trasversali il fatto che ci sia un fornitore per giunta vestito da sfigato come me crea una funzionale valvola di sfogo dalla quale far defluire le tensioni in cui si manifestano le prove di forza tra colleghi, la versione incravattata di una rissa da angiporto dove al posto delle testate sul naso ci si colpisce a dati di fatturato per settore aziendale. E meno male che quello che poi io dovrò trasmettere all’esterno in belle parole di quel ginnasio di competizioni è che la società con il nuovo corso è una. Anzi, uan, come dicono loro agli investitori.

Ecco, questo è il quadro ed è descritto così apposta per far sì che le vostre simpatie vadano per l’unico senza cravatta (la camicia però ce l’ho, sia chiaro, in cotone fair trade della Coop comprata al cinquanta per cento nei saldi e pagata dodici euro e rotti) la cui partecipazione al consesso in oggetto è a dir poco superflua. E cioè me. Il vostro beniamino. Ma mentre sono lì e nessuno sembra dare molto peso alla mia casualfridayness penso a come starei conciato così, così come quelli per l’ascolto dei quali percepisco uno stipendio, perché non riesco proprio a trovare tra tutti quelli che vedo lì raccolti uno stile a cui potrei adattarmi. Con il mio fisico poi.

Quello meno peggio – secondo i miei canoni fermi al parka, jeans e anfibi – è seduto di fronte a me, ha uno spezzato con pantalone grigio scuro, giacca di una trama grigio chiaro-bordeaux, cravatta bordeaux su camicia classica azzurra e francesine testa di moro. Ecco, penso, domani vado dove so io e mi compro un abito così, di sicuro non sfigurerei in un ambiente come questo. Perché una volta era così. Da ragazzi ci si vestiva in un modo, da adulti in altro e non c’erano punti in comune e quando c’erano era perché c’era qualcosa che non andava. Ora non è più così, almeno nei posti come questi in cui non c’è nessuno che me lo fa notare.

Poi la riunione finalmente si conclude, e si interrompono le sfide subdole tra chi vuole mantenere il proprio spazio e le provvigioni a cui ha fatto presto ad abituarsi. Tutti si involano perché il loro tempo è più prezioso del mio, la sala resta vuota e posso alzarmi senza vergognarmi di quel campionario del mio guardaroba perché sono rimasto solo. Raccolgo quelle poche cose che ho usato per far finta che le posizioni che gli altri sostenevano erano di mio interesse, mi faccio restituire il documento di identità dalla receptionist e già varcata la porta di uscita capisco che acquistando uno spezzato come quello che ho visto prima non risolverei nulla, perché dovrei averne almeno due, avere un ricambio per quando uno è da portare in tintoria. Già, la tintoria.



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