Efrem Raimondi, Lectio Magistalis allo IED di Torino.
Ieri pomeriggio mi è andata così. All'inizio fu Efrem Raimondi. Il piacere grande di vederlo di persona all'opera mentre si offre, con la sua esperienza più che trentennale, ai giovani studenti di fotografia del corso dello IED di Torino. su invito del coordinatore Paolo Ranzani. Parole in libertà, a volte anche amare, ma fertili per chi deve affrontare un percorso di studi ed avviarsi alla professione. Fotografare, anzi come dice Efrem "fare fotografia" vuol dire campare di questo. E come camparci è oggi la vera sfida.Dopo un'ora e mezza ho però dovuto uscire nel sole abbagliante che ieri festeggiava Torino per andare ad aprire la mostra di CONFINI 11 allo Spazio Giotto. Anche perché aspettavo uno degli autori, Fabrizio Intonti in arrivo da Roma.
Niente fotografie con e di Fabrizio. Non sarò mai un fotografo ritrattista perché quando con le persone ci parlo a tutto penso meno che a far loro delle fotografie. In compenso bei momenti insieme, a completamento della frequentazione sulla rete, utile, anzi oggi indispensabile, ma che non vale mai come un sorriso di persona.
Dopo una pizza in un locale imprevedibilmente gestito da una interista...
...ecco la serata alla C.R.D.C. per la fase conclusiva di Donna Fotografa.
Quest'anno non ero in giuria ed ho quindi potuto godermi serenamente le fotografie presentate, molte e di buona qualità, riabbracciando gli amici. Il colpo davvero grosso è stato tenuto però in serbo per la fine della serata. Andreja Restek, una fotoreporter torinese (e mi piace che sia definita così, nonostante nome e cognome, perché Torino se ha un futuro è proprio nel rendere torinesi i talenti di qualsiasi origine essi siano) ha preso la parola per testimoniare le sue esperienze nei teatri di guerra, in particolare ad Aleppo, in Siria.
Una voce gentile, persino timida, ma ferma. Si coglieva la volontà, da missionaria laica direi, di fare fotografie per contribuire a cambiare qualcosa, per impedire che esistano solo massacri e massacratori, come quei medici che ha conosciuto lì, i quali con pazienza infinita, pur senza più ospedali e medicine, non smettevano un minuto di curare, ventiquattr'ore su ventiquattro, le tante vittime che arrivavano da loro. Il suo modo di fotografare è quello che preferisco: foto che sembrano foto. Niente post, niente paciocchi simbolizzanti per vincere qualche premio. Stai lì davanti a tracce, spesso insaguinate, di quello che succede e ti puoi immedisimare perché ciò che vedi assomiglia molto a ciò che vedresti, se tu potessi superare l'orrore di essere lì. Un pomeriggio e una serata che valgono giorni interi. Grazie ai fotografi, grazie al fotografico.
Andreja Restek in azione.
Tutte le fotografie di questo post, tranne l'ultima, sono mie:
©2014 Fulvio Bortolozzo.
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