E venne il giorno. Rispettoso di tutti i pronostici, non nella sostanza ma nel contorno: gli osanna dei violacei popolani (popolari, e forse pure populisti); il sostegno degli ultrà di Silvio, con quel carico di inarrivabile e grottesca idiozia tale per cui si esulta al momento della fine avversa. Un circo: quello che ci meritiamo.
Ora tutto è sfasciato, ora il re è morto: ora inizia il difficile.
Il Silvione nazionale è stato un’anguilla, e pinzarlo con le mani nel sacco davvero complicatissimo: eppure è nulla in confronto al compito che spetta ora alla politica italiana.
Non si ha una democrazia, bipolare o anche solo semplicemente maggioritaria, senza un avversario credibile: è un’anomalia che le istituzioni italiane si trascinano dal 1996, da quando la legittimazione morale del centrodestra è definitivamente scemata in seguito alle inchieste della magistratura e al movimento di pensiero imbastito dalla parte preponderante dell’opinione pubblica, sempre tendenzialmente mancina.
Collage delle home dei giornali di tutto il mondo
(Corriere.it)
Con chi si dovrà confrontare adesso il Partito Democratico? È ancora proponibile rapportarsi con il partito di proprietà di un condannato per reati contro il fisco – e dunque contro il patrimonio statale? Non è una questione che si risolve con la semplice votazione sul posto di senatore di Berlusconi – che comunque, c’è da giurarlo, creerà ben più di una crisi di identità nel partito di Epifani e Bersani, per non parlare di quello che sta già accadendo nelle rinnovate macerie del Centro, con Mariano Rabino di Scelta Civica che già mette le mani avanti e chiude al voto favorevole da parte dei montiani.
Il nodo grosso verterà su come far cadere il governo attirando su di sé meno responsabilità possibili, sia di fronte al popolo che di fronte a un furibondo Giorgio Napolitano. Il Presidente della Repubblica, nel suo discorso di re-insediamento, fu distruttivo e chiarissimo: mi avete rivoluto, ma da adesso non avete più alibi. Come presentarsi da lui ed aprire una crisi, con queste premesse? Ma soprattutto, come giustificare questa scelta di fronte alla maggioranza silenziosa e non ideologizzata che compone il 60% dell’elettorato italiano (quella, per essere provocatori, che corteggiava Matteo Renzi con tutte le tecniche imbonitrici più collaudate)? Costoro sono poco sensibili alle questioni morali e di principio, agli anatemi, perfino alle sentenze: vogliono soluzioni (leggasi: vogliono vantaggi) in virtù delle quali votare A o votare B. Sfuggire questa visione clientelare, seppure indirettamente, della politica è sciocco e miope.
Infine il centrodestra: sta prendendo piede la definizione gergale di “sultanato”, per descrivere il prossimo atteggiamento del Pdl. Le truppe cammellate berlusconiane con ogni probabilità verranno dirette dal salotto di Palazzo Grazioli o della Villa di Arcore, le piazze verranno convocate e ammansite da videomessaggi, i deputati e senatori e governatori di regione superstiti tenuti a freno dal portafogli di Silvio e dagli interessi personali comunque massicci. La stella polare sarà sempre la solita: i vantaggi del capo e di conseguenza dei suoi tirapiedi. In altre parole: giustizia, spesa pubblica, interventi sulla burocrazia per favorire almeno un pochino alcuni settori della media borghesia.
Ricostruire l’Italia, bisognosa di un rinascimento civico, morale, economico e istituzionale, da ieri è ancora più difficile. Ma nessuno se ne accorge: perché è tanto comodo festeggiare, perché è tanto bello illudersi di aver risolto un problema.
Umberto Mangiardi