Dalle prigioni americane alle scuole per lo studio della Torah e del Talmud il passo non è breve, ma il rapper Shyne, dopo dieci anni di reclusione in seguito a una sparatoria in un locale nel 1999, lo ha fatto.
Si è cominciato ad avvicinare all’ebraismo già durante la permanenza in carcere, ma solo dopo che ne è uscito è diventato un ebreo ortodosso: prega nelle ore stabilite, segue tutti i rituali e le regole e studia i testi con diversi rabbini di stretta ortodossia a Gerusalemme. Ha anche cambiato il suo nome da Jamaal Barrow a Moses Levi e anche il suo modo di parlare, combinando il suo slang con parole ebraiche e yiddish.
Nato 32 anni fa nel Belize, è figlio di un avvocato che ora è il primo ministro di quel paese e di una donna che lo ha portato con sé negli Stati Uniti e lo ha mantenuto facendo le pulizie.
Le regole ebraiche sono diventate il suo modo di vita che, secondo lui, lo metterà in contatto con Dio e lo farà diventare un essere umano migliore.
Ovviamente non ha abbandonato la sua attività musicale che però ora è permeata di temi e valori acquisiti in questa sua nuova vita. Sono usciti due nuovi album e altri tre seguiranno. Sono in programma anche dei tour, con qualche punto interrogativo riguardo le tappe negli USA, da dove è stato espulso al termine della reclusione.
Che cosa lo ha attratto dell’ebraismo? O, aggiungo io, di cosa aveva bisogno Shyne che ha trovato nell’ortodossia ebraica? Di limiti, di regole, senza le quali, come afferma lui stesso tenendo il palmo della mano su una pagina del Talmud, “ si finisce con una manciata di pillole nello stomaco, si precipita nel baratro”.