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Da leggere!....

Creato il 21 dicembre 2010 da Manuel
DA LEGGERE!....
UN BICCHIER DI VINO IDEALMENTE BEVUTO DAVANTI AL CAMINO A PARLAR DI CICLISMO PANE & SALAME. ESSENZIALMENTE CICLISMO PST. E ALESSANDRO MI RACCONTA CHE…
Il ciclismo ha una storia grande, fatta di tante storie piccole. E visto che il lato più sentito dalla gente, degli appassionati, è quello della semplicità, ho chiesto ad Alessandro Oriani se potevo “sfruttarlo” per quelli che erano i suoi anni ciclistici. Anni che lo portarono fino ai dilettanti. Sul tavolo due bicchieri e una bottiglia. Noi li riempiamo, fateci compagnia.
Alessandro, so che la tua famiglia ha conosciuto il mondo del ciclismo già tanti anni addietro, perché uno dei tuoi nonni faceva parte delle “carovane” nelle grandi corse. Ci puoi dire qualcosa su questo?
“La mia famiglia (fino al sottoscritto) ha sempre respirato ciclismo a partire da mio bisnonno Carlo Oriani che ha vinto un Giro d' Italia nel 1912 e un Lombardia nel 1913 in maglia "Maino", mio nonno Gino Oriani é stato l' autista dell' ammiraglia di Fausto Coppi dal 1946 al 1954, mi ha regalato due maglie di Fausto che custodisco gelosamente e che sono tutt'ora in perfetto stato, ho conservato per anni (e ho anche pedalato) una Bianchi con la quale aveva corso il campionissimo nel 1953 .
I racconti di mio padre sulle corse ascoltate alla radio, i grandi pistards come Maspes, Post, Plattner, Gaiardoni, Rousseau, Harris, le 6 giorni al palasport di Milano degli anni '70 e '80, le storie di improbabili allenamenti di mio padre e mio zio alle 5 del mattino perchè bisognava tornare in tempo per andare a lavorare o nel dopo lavoro, il velodromo Vigorelli, le cadute che ho rimediato su quella pista troppo difficile e tecnica per un corridore mediocre come me, il memorabile racconto di mio padre che una volta si finse meccanico di Peter Post ed entrò nel parterre bici (di Peter Post) in spalla nei giorni precedenti il mondiale su pista che si svolgeva a Milano; ecco, queste sono le mie radici di modesto ex corridore fallito con grande passione e grande memoria storica, ho conosciuto Maspes, ho pedalato (in allenamento) con Claudio Chiappucci, con Alberto Elli, con Stefano Allocchio, da ex ho incontrato Johan Musseuw in allenamento sulle colline della Brianza, ero in maglia Gewiss e mi ha scambiato per un corridore vero, grande emozione. Arrivo da qui”
Domanda classica; la tua prima bici. La ricordi?
“La mia prima bici da corsa era una "Terruzzi" blu metallizzata ricevuta a 7 anni (credo) che trattavo come una fuoriserie e che mi ha fatto da palestra per le mie prime uscite e i miei primi mal di gambe sulle collinette della Brianza ad un certo punto era diventata talmente piccola da costringermi ad usare un canotto reggisella talmente lungo da sembrare illegale; ero aerodinamico e ridicolo, la bici ? Non so che fine abbia fatto, non ricordo”
Da ciclista sei arrivato fino al dilettantismo. Con quali Gruppi Sportivi hai corso?
“Ho corso per il "Pedale Sestese" da allievo nelle stagioni 1983 e 1984, sono passato poi alla "UC Sestese cicli Taldo" che altro non era se non una costola del Pedale Sestese (società che esiste tuttora) formata da transfughi in rotta con la dirigenza e alcuni tecnici, per questa società ho corso nel 1985 e 1986, l' ultimo anno (il 1987, da dilettante di seconda serie) ho corso per una società bergamasca, il "GS Mobili Turani", conservo tuttora una maglia da gara di questa squadra”
Oggi ci sono dilettanti che possono permettersi di pensare solo al pedalare. Com’era la tua vita da ciclista dilettante? Dovevi dividerti tra lavoro e bicicletta?
“Spiace deludere i romantici di un certo ciclismo che non esiste più da tempo immemorabile, ma già allora il ciclismo (ancorché dilettantistico) era uno sport al quale (solo per finire bene le corse) era necessario rivolgere il 101 % dell' impegno, chi lavorava non riusciva a reggere certi ritmi, sopratutto quando le categorie dilettanti di prima (gli elitè senza contratto di oggi) e seconda serie (gli "under 23" odierni) correvano insieme senza classifiche separate, a me ragazzo 18enne di belle speranze é capitato di provare a "subire" le trenate di gente di 26 - 27 anni che non passava prò perché tra i dilettanti guadagnava di più; c'era da soffrire perchè "quelli" spingevano il 12 con la facilità di un bimbo che gioca e finire bene le corse era già una mezza vittoria, anche perché al via si presentavano squadre come la "Carrera Inoxpran", la "Brescialat", la "Chateau d' Axe", mica facile”
Il tuo ciclismo da dilettante che mondo era? C’erano delle cose buone che si sono mantenute e che ricordi volentieri? Altre che secondo te si sono perse?
“Una cosa buona del ciclismo dilettantistico di allora ? Mah, è difficile, diciamo che c'era un pò meno (ma poca eh ?) esasperazione, c'era la possibilità di crescere accanto a corridori più esperti che sapevano darti i consigli giusti se vedevano che ti impegnavi e ti facevano abbassare la cresta se ti comportavi come uno "arrivato", c'erano delle gerarchie e si rispettavano. Cosa é rimasto ? Francamente non lo so, non vedo una corsa maschile da 10 anni, non so come sia l' ambiente, può sembrare strano per chi legge, ma non ne sento la mancanza. Sorry...”
Che allenamenti facevi? Eri tabella-dipendente?
“Per quanto riguarda gli allenamenti devo dire che non sono mai andato "a sensazione", se in tabella c'era scritto 160 km, quelli erano e il più delle volte diventavano 175 - 180 meglio se percorsi assieme a dilettanti di prima serie (quando in salita aprivano il turbo erano dolori !), le tabelle le facevo io perché mi piaceva essere coinvolto in prima persona, perché ho sempre pensato che un corridore debba sapersi gestire da solo per quanto riguarda gli allenamenti.
Capitolo ripetute: ho iniziato a farle da junior ma erano un qualcosa che già conoscevo fin dai tempi delle non competitive podistiche che disputavo da ragazzino, ne avevo sentito parlare da corridori come Massimo Magnani (poi ct della maratona) e Franco Arese, avevo visto gli allenamenti dei nazionali di atletica al Parco di Monza: gente che alle 7 del mattino, d' inverno, al freddo, nell' anonimato, si preparava, sputava sangue; io ho preso quei concetti e li ho trasferiti nel ciclismo, in manier molto artigianale certo, però avevo capito che mi avrebbero giovato. Mi sentivo un precursore e mi davano del pirla. Pazienza.”
Che ricordi hai dei ciclisti con cui correvi e che poi hanno avuto fortuna nei professionisti?
“Questa é una nota dolente, quelli forti (il nome che ricorre puntualmente è quello di Gianluca Bortolami) erano irraggiungibili anche al di fuori delle corse, mai capito dove e come si allenassero, andavano già in giro con la Nazionale e facevano vita a se stante, ad essere sincero ho fatto meno fatica a parlare con i "pro" che incontravo in allenamento che non con i miei pari età, c'era una barriera invisibile che nessuno (meno che meno chi lottava per terminare le gare) voleva o poteva oltrepassare.”
Ci sono un paio di corse più di altre che ricordi in particolare, nel bene o nel male? E per quale motivo?
“Ci sono diverse corse che ricordo con particolare piacere: la "Coppa d' inverno", ultima gara di calendario, si correva la prima domenica di Novembre a Biassono (MI): freddo, alta velocità, un pubblico numerosissimo (la Brianza é terra di ciclismo) e appassionato, la malinconia perché sapevo che non ci sarebbe stato un "prossimo anno"; bella gara la "coppa d' inverno",un anno ho visto vincere Bugno su quel traguardo (correva per la "Supermercati Brianzoli"), ho visto un immenso, dominante Mario Scirea, ero allievo e lì ho capito cosa significasse "fare la corsa", sembra facile, a me é capitato un paio di volte, per sbaglio, credo. Un altra corsa bellissima alla quale ho partecipato é il "piccolo giro di Lombardia", le "mie" strade, i colori dell' autunno, il lago di Lecco e di Como, il Ghisallo, il Pian del Tivano, atmosfera da "grandi", in due parole "una figata".
Di corse che ricordo nel male ce ne sono diverse: percorsi pericolosi, buche enormi, tombini a cielo aperto (mi capitò a Pozzo d' Adda (BG) ) che il gruppo evitava tutte le volte per miracolo, ne ho disputate troppe e le ho rimosse dalla mia memoria.”
Eri un maniaco del millimetro (come chi scrive) per la tua bicicletta, oppure ti affidavi al meccanico di fiducia senza pensarci troppo?
“La bici doveva essere in ordine anche perchè era la MIA bici e non potevo permettermi di sfasciarla, i lavori meno impegnativi li facevo io per il resto mi affidavo al meccanico di fiducia, avevo l' abitudine di controllare e ricontrollare tutto più e più volte, non che non mi fidassi, però mi capitava di perdere dei piazzamenti a causa dell' imperizia altrui, ero diventato meticoloso PER FORZA.”
Ora dov’è la bici?
“La bici (una Taldo rossa) é in solaio mezza smontata, la prossima primavera vorrei rimetterla in sesto, vederla nello stato in cui versa mi fa star male, non credo che pedalerò più lì sopra perché il telaio ne ha subite di ogni, ma un bel restauro se lo merita.”
Per tanti anni hai seguito il ciclismo femminile. Come iniziò la passione per quell’ambiente?
“La passione per il ciclismo femminile é nata alla 6 giorni di Milano (1983 ? 1984 ? Non ricordo esattamente), forse perché... boh, mi sembrava un mondo un pò più "pulito" rispetto a quello del ciclismo maschile, forse perché sono sempre stato dalla parte degli "underdogs" per dirla all' americana, ho sempre pensato che il movimento (le atlete in primis) avrebbe meritato ben altra considerazione e attenzione da parte di pubblico e media, ho avuto l' onore di vedere all' opera atlete del calibro di Maria Canins, Roberta Bonanomi, Imelda Chiappa, Francesca Galli, Catherine Marsal, Antonella Bellutti, Jennifer Thompson, Rebecca Twigg, Connie Carpenter, Marianne Berglund, Mery Cressari, Luigina Bissoli, Zita Urbonaite (r.i.p.), Diana Ziliute e nella mia lunga carriera di tifoso ho avuto rispetto delle atlete, della loro fatica, mi sono entusiasmato, ho pianto un sacco di volte, mi sono immedesimato nel loro dolore quando le ho viste a terra ferite nel corpo e nell' animo. Può bastare ?”
Finita la carriera agonistica, hai corso anche nelle granfondo?
“Mai fatto le Gran Fondo, ho sempre pensato che c'é un tempo per tutto, non sono riuscito a sfondare per evidenti limiti fisici e caratteriali, ho corso, mi sono divertito, non rimpiango nulla e ringrazio Dio di essere ancora qui a parlarne, correre le Gran Fondo non avrebbe aggiunto nulla alla mia (già) fallimentare carriera di mediocre dilettante No, va bene così.”
Hai conosciuto il ciclismo dilettantistico, poi anche quello femminile. Ci sono persone, in questi due “movimenti” con cui sei rimasto in contatto?
“Non sono rimasto in contatto con nessuno nell' ambiente dei dilettanti , abito di fronte alla sede della mia ex società ma onestamente non mi é mai passato per la testa il pensiero di tornare anche solo per un saluto, come tanti altri non ne ho più voluto sapere e lo stesso vale per il ciclismo femminile: gli ultimi casi di positività al doping (Cucinotta prima, Rossi poi) hanno contribuito ad allontanarmi; a volte penso che ho fatto male, che ho messo nel girone dei cattivi anche chi non c'entrava niente e ha sempre corso con mezzi leali, ma come ho già detto e ripetuto un sacco di volte sui miei defunti blog, amo troppo il ciclismo, non sono uno che fa finta di niente e passa oltre con un "dimentichiamo tutto". Mi dispiace.”
La chiacchierata finisce qui. Grazie Alessandro. Resta nei bicchieri l’ultimo sorso; alla salute.

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